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L’Italia di ieri, di oggi e (speriamo) NON di domani: “Una stella incoronata di buio” di Benedetta Tobagi

Benedetta Tobagi

Una stella incoronata di buio, storia di una strage impunita,

Torino, Einaudi, 2013

 

Due buone ragioni per leggere il libro di Benedetta Tobagi che abbiamo presentato a Montepulciano ai primi di dicembre: l’empatia con cui riesce a restituirci alcune delle persone che furono fatte saltare in aria sulla piazza di Brescia il 28 maggio 1974 e l’accurata e minuziosa indagine sulle trame nere degli anni settanta, condotta non solo sugli atti giudiziari ma attingendo a tante fonti, scritte ed orali, documentate in appendice.

Per chi ha vissuto gli anni Settanta come stagione della pienezza della vita, come tutti quelli della generazione del 68, la memoria ricostruita da Benedetta Tobagi ha una freschezza narrativa che nessuno dei testimoni saprebbe raggiungere, impastoiati come sono nei loro ricordi. Il suo sguardo illumina il passato, gettando un fascio di luce prezioso nel buio.

E’ ammirevole che una ragazza nata nel 77 voglia confrontarsi con gli anni immediatamente alle sue spalle, anni che aveva già affrontato in Come mi batte forte il cuore (2009) nello sforzo di ricostruire la figura ed il percorso di suo padre, il giornalista Walter Tobagi, assassinato da un commando di Prima Linea nel 1980.

Sarebbe stato facile per lei rifugiarsi in una chiave di lettura basata sugli “opposti estremismi” , ed invece Benedetta scava nel groviglio di quegli anni, partendo dalla strage di Brescia del 1974, per ricostruire la pista nera delle stragi, il ruolo dei gruppi neofascisti, le coperture delle istituzioni e delle forze dell’ordine, le tante complicità e gli innumerevoli depistaggi per nascondere la verità. Impegnata con le associazioni delle famiglie delle vittime, e nella costruzione di quegli Archivi per non dimenticare che vogliono essere di monito e di educazione alla ricerca della verità, Benedetta ha seguito le varie fasi del processo di Brescia, in cui frammenti di verità si sono andati stratificando nel corso degli anni, anche se la sentenza d’appello più recente, del 2012, si conclude  con un’assoluzione.

Benedetta sostiene che bisogna andare oltre la constatazione amara di Pasolini, che sosteneva di conoscere i colpevoli ma di non avere le prove, e rivendica con consapevolezza civile la ricerca di una verità complessa che qualcuno ha cercato di nasconderci e che può aiutarci a camminare in avanti:

E’ tempo di lasciarci alle spalle l’incantesimo di Pasolini[….] La consapevolezza dell’artista e dell’intellettuale, come quella tutta popolare ed istintiva che accompagna alcuni delitti, dalla certezza immediata che la bomba di Brescia era “nera”, alla convinzione che Peppino Impastato e Mauro Rostagno, checché ne dicessero, erano stati uccisi dalla mafia, è formidabile. Ma non basta. Col tempo sfiorisce, e può diventare pericolosa. […]

L'”io so” di Pasolini è stato saccheggiato e stravolto, abusato al punto di diventare anch’esso formula rituale da messa, “solenne ovvietà”; o peggio, presupposto acritico per condanne a priori o sciagurati appelli a una “verità del proletariato” che il popolo conoscerebbe senza bisogno di prove.

Benedetta, assieme ai familiari delle vittime, ed in particolare a Manlio Milani sopravvissuto alla strage in cui ha perso la vita la sua compagna Livia, continua a credere nella giustizia, a non demordere,  con lo spirito di Sisifo, che ricomincia a spingere il masso, sempre più in alto, dopo ogni assoluzione.

La seconda parte del libro, che richiede una lettura attenta per la complessità delle vicende, è una ricostruzione minuziosa di tutte le prove e le conoscenze accumulate sul terrorismo nero, le sue responsabilità nelle stragi, i suoi intrecci con i tentativi di colpo di Stato ed i suoi legami con gli apparati dello Stato. E ne emerge la convinzione che la bomba di Brescia, forse un’iniziativa a ruota libera di elementi di Ordine nuovo che non si sentivano più abbastanza protetti, abbia fatto segnare un salto qualitativo, innescando una moltiplicazione dell'”antifascismo militante” ed un innalzamento dei livelli di violenza, favorendo il passaggio alla lotta armata e alla clandestinità.

E’ quel “nesso che connette ogni strage impunita agli omicidi brigatisti”, di cui scrive la Tobagi nelle pagine introduttive, pagine in cui c’è una metafora preziosa nel paragone tra l’Italia delle stragi e una famiglia borghese che nasconde segreti innominabili:

Il trauma delle stragi impunite, confinato nel silenzio, coltiva un tumore nel corpo della società.

La Tobagi è alla ricerca di anticorpi, e li trova nel perseguimento della verità da parte dei familiari delle vittime e di tanti avvocati, giudici e giornalisti onesti che non demordono. Ma li trova soprattutto nei ritratti che ci offre delle vittime e dei sopravvissuti alla strage, belle persone, impegnate nei movimenti di quella stagione, come il gruppo di insegnanti ed operai uniti da tanti progetti culturali e di cambiamento, che vengono a trovarsi proprio accanto al cestino dove è nascosta la bomba. Un nucleo di speranze e di affetti che viene fatto esplodere. Livia e Manlio, Clem ed Alberto, Giulietta ed i tanti altri che si trovano in piazza per una manifestazione antifascista. Sono figure che Benedetta riesce a restituirci con finezza e partecipazione emotiva, e che assurgono a  numi tutelari a guidarla nell’indagine.

Il volume è illustrato con sobrietà da fotografie ed immagini inserite nel testo, ad arricchire la riflessione. Immagini di distruzione ma anche tanti ritratti che ci restituiscono il senso di quegli anni, parte della nostra storia che continua.

Il ritratto di Livia ed i  versi di una poesia di Celan chiudono su una nota di speranza.

…Una

Stella

Ha forse ancora luce.

Niente,

niente è perduto.

 

(Silvia Calamandrei)

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