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Intervento di Silvia Calamandrei presso Casadeipensieri FestUnità Bologna, 30 agosto 2024

Bologna 30 agosto 2024

Marco Polo e il suo ponte: un ricordo del 1955

 

Vi ringrazio di avermi invitata a presentare il mio libro Attraverso lo specchio, Cina andate e ritorni, una memoria privata della mia relazione con la Cina.  L’invito avviene nel contesto della rievocazione del personaggio di Marco Polo., un personaggio di cui si celebra il 700mo centenario e che ha una forte valenza simbolica nel tratteggiare una relazione tra Italia e Cina aperta alla conoscenza reciproca e alla collaborazione.

Non a caso quest’anno è oggetto di esposizioni e convegni in Italia e in Cina, spunto per colloqui diplomatici e d’affari che si tenta di ricucire e rilanciare dopo la pausa del COVID e il ripudio dell’accordo sulla via della Seta che Xi Jinping era riuscito a stringere con Conte nel 2019.

La diffusione della pandemia impedì di dare luogo alle celebrazioni del 50mo delle relazioni diplomatiche tra Italia e Cina, pur inaugurate in pompa magna a Roma dai due ministri della cultura. Per me fu l’occasione per una riflessione più intima della mia personale relazione con la Cina, aiutata anche dal ritrovamento fortunoso di un diario di me bambina a Pechino. Ma fu anche l’occasione di un progetto insieme all’italianista Yanglin, colpita dai racconti di scrittori italiani, Fortini e Cassola, che avevano visitato la Cina insieme a Piero Calamandrei nel lontano 1955. Avremmo editato in Italia e in Cina antologie di quel numero speciale del Ponte del 1956, che raccoglieva le testimonianze di quel viaggio.

Ora Marco Polo ha riofferto lo spunto di scambi, come lo offrì già alla fine degli anni 70, all’epoca della politica di apertura e riforme inaugurata da Deng Xiaoping, per accogliere una troupe cinematografica italiana, quella di Giuliano Montaldo, nella città proibita di Pechino e darle accesso agli sterminati territori percorsi dal veneziano per girare una serie televisiva sul viaggiatore italiano. Serie di grande successo in più di quaranta paesi, con le musiche di Morricone, che in questo 2024 è stata ritrasmessa in Cina e si può rivedere su Raiplay, esempio di una collaborazione in campo cinematografico che avrebbe prodotto altri capolavori famosi, e di scambi incoraggiati anche dal lavoro di Marco Muller, direttore di festival nei due paesi.

In un anno contrassegnato da foschi venti di guerra, in Europa e in Medio oriente, evocare un viaggiatore che percorre in pace un lunghissimo percorso tra Europa ed Asia grazie alla pax mongolica che l’impero fondato da Gengis Khan riuscì per un certo tempo a garantire è quasi paradossale.

La narrazione di Marco Polo, una sorta di Rough Guide del XIII secolo, divulgata soprattutto oralmente e nelle tante copie manoscritte tradotte in Occidente, fino ad ispirare Colombo nella versione spagnola (ben più del suo postero Galilei, checché ne dica il nostro Ministro della cultura) è stata conosciuta relativamente tardi in Cina, soprattutto attraverso le versioni ottocentesche in inglese. Le traduzioni cinesi risalgono alla fine dell’Impero, tra fine Ottocento e primo Novecento, in una fase di esplorazione della cultura occidentale che vede anche la traduzione dell’altra fondamentale opera trecentesca italiana, la Divina Commedia, il resoconto di un viaggio nell’ al di là di spessore interiore, che offre una geopolitica dell’immaginario contemporanea al pragmatismo descrittivo del mercante veneziano.

Per noi occidentali quel ponte di Marco Polo che varca il fiume Yong Ding, opera straordinaria di ingegneria e architettura in pietra che colpì il viaggiatore veneziano è anche il luogo dell’incidente che scatenò la guerra sino-giapponese del 1937, antefatto della nascita della nuova Cina nel 1949. Per i cinesi, è ora monumento nazionale: in verità il ponte odierno non è più quello descrittoci da Marco Polo, ma venne ricostruito all’epoca dell’imperatore Kangxi della dinastia dei Qing nel 1698, dopo che una inondazione lo aveva distrutto. La pietra e le statue dei leoni ne ricordano e conservano per taluni tratti la forma originaria.

Permettetemi ora di evocare una dimensione più personale , che è affrontata nel mio libro, risalendo al 1955, quando il personaggio di Marco Polo, che poco conoscevo da bimba italiana che frequentava la scuola cinese a Pechino, fa irruzione simbolicamente in duplice veste, in un incrocio familiare che vede mio nonno Piero a capo di una delegazione culturale in Cina e mio padre e mia madre, corrispondenti dell’Unità in viaggio in Tibet con un gruppo di giornalisti stranieri per incontrare il giovanissimo Dalai Lama, ancora presente a Lhasa.

Per pubblicizzare quelle corrispondenze l’Unità fece un manifesto in cui la foto di mio padre era affiancata a quella di Marco Polo e a quella di Giuseppe Tucci per sottolineare che l’inviato dell’Unità era giunto “sul tetto del mondo”.

A sua volta Piero Calamandrei visitò il Ponte di Marco Polo insieme alla moglie Ada, mentre il resto della delegazione aveva già raggiunto Shanghai. Non era una tappa della visita ufficiale; rimasti bloccati a Pechino per problemi di salute di Piero, la gita venne organizzata a livello individuale, e le fotografie del Ponte ritraggono la meraviglia e l’emozione della coppia, accompagnata dall’interprete Hongxing.

Piero annota nel suo diario di viaggio il 14 ottobre:

Al Ponte di Marco Polo. Andiamo coll’interprete: traffico contadino carretto trascinato da ciuchi, piccoli cavalli, piccoli buoi. Un cammello. Moltissime biciclette pedicab. Circa 15 chilometri. Sul ponte: al di là per fare la fotografia delle arcate, passo tra noccioline del Brasile distese in terra. In capo al ponte venditori di kaki. Ada conta i leoni, tutti differenti e decorati da medaglia. I leoni colla palla sotto la zampa, le leonesse coi piccoli. Un uomo che passa col carretto e che vede che contiamo dice: dovete contare anche i piccoli, centoquaranta per parte. In fondo monti come le Apuane: viti, cotone, sorgo.

Questa visione sarebbe divenuta lo spunto del suo editoriale per il numero speciale del Ponte dedicato alla Cina: cosa c’era di meglio di un ponte ad assurgere a funzione simbolica del dialogo, per agevolare l’invito ad andare oltre la Grande Muraglia? Senza dimenticare il logo della rivista di Calamandrei, in cui su un ponte distrutto dalla guerra un omino attraversa su una passerella, intento ad un’operosa ricostruzione.

Rispondendo al grande scrittore cinese Lao Shi, che aveva accolto la delegazione italiana e inviato una lettera personalmente vergata per il numero speciale, sottolineando la strada della cultura che univa Pechino a Roma, Calamandrei scriveva:

A dieci miglia da Pechino sul fiume Hun Ho la strada passa su un antichissimo ponte monumentale, del quale Marco Polo, che vi passò, ha lasciato una descrizione ammirativa.[…] Per questo si chiama anche oggi il “ponte di Marco Polo”: attraverso quel ponte la cultura cinese e quella italiana possono ancora incontrarsi e comprendersi.

Quella delegazione fu una prima tappa di conoscenza reciproca e di dialogo, sintetizzata nel corposo numero speciale di cui nel 2020 si è pubblicata in Italia un’antologia, rievocandone la genesi (ancora nella rivista Il Ponte). Ora finalmente ne è uscita l’edizione cinese, curata dall’italianista Yang Lin e tradotta dagli studenti dell’Università Nankai di Tianjin. E in copertina c’è ritratto di Calamandrei sul ponte di Marco Polo, quasi a riprenderne il messaggio. (Un ritratto analogo c’è sulla bella pubblicazione fotografica e saggistica della Fondazione Museo storico del Trentino, curata da Silvia Bertolotti, intitolata Sguardi dal ponte, un’altra delle opere che in questi anni hanno ricostruito quel viaggio).

È interessante comparare le due antologie: al pubblico cinese, che deve confrontarsi con periodiche cancellazioni di memorie e documentazioni, le descrizioni della Cina alla metà degli anni cinquanta sono argomento di grande interesse, mentre a noi possono apparire datate ed appaiono più rilevanti le riflessioni di Bobbio e di Calamandrei sulla prima Costituzione cinese ed il ruolo della magistratura, argomenti che invece risultano “sensibili” nella Cina di Xi Jinping, e potrebbero incorrere in censure.

Pur nella differenza, la duplice pubblicazione è un segnale positivo, e personalmente sono grata alla tenacia di Yang Lin e alla disponibilità della professoressa Luo Hongbo, esperta di politica europea, di firmarne la prefazione, nella quale troviamo anche un significativo omaggio a Norberto Bobbio, citandone le traduzioni in cinese. Scrive Luo:

“L’amicizia delle nazioni sta nell’affinità dei popoli, e l’affinità dei popoli sta nell’affinità dei cuori. Gli scambi culturali sono un modo sicuro per raggiungere la comunicazione cuore a cuore, che può consentire a persone di Paesi e regioni diverse di comprendere meglio la storia, i valori, le tradizioni, i costumi e le caratteristiche culturali dell’altro, in modo da eliminare i malintesi e gli stereotipi, e migliorare la comprensione e la fiducia reciproche.

Si può dire che la Delegazione culturale italiana guidata da Calamandrei nel 1955 e il numero speciale del Ponte del 1956, Cina Oggi, sono stati i pionieri nel mettere in pratica questa idea, e il contributo dei membri della Delegazione e di tutti gli autori del numero speciale all’instaurazione delle relazioni diplomatiche tra la Cina e l’Italia non va trascurato”.

A quasi settant’anni di distanza da quel viaggio esplorativo la duplice attenzione, italiana e cinese, mi pare un ottimo auspicio, e il ponte di Marco Polo ne è l’emblema nella copertina cinese, mentre l’antologia italiana reca il carattere ponte tracciato da un magnifico calligrafo contemporaneo dell’Università di Pechino, Wen Zheng, presidente dell’Associazione per l’insegnamento dell’italiano in Cina.

E non dimentichiamo che il programma di scambi culturali e linguistici tra Italia e Cina prende nome da Marco Polo: gli studenti cinesi che vengono in Italia ad apprendere l’italiano hanno come riferimento un personaggio storico, Marco Polo, ed un personaggio immaginario, Turandot, vista la popolarità universale della nostra opera lirica. Grazie dunque a tutti i traduttori che contribuiscono a fare da ponte tra le due culture, perché la lingua è strumento essenziale di comunicazione.

Chi sa chi tra gli intellettuali cinesi ebbe l’idea di invitare la troupe italiana, un ruolo importante di contatto lo svolse sicuramente il nostro ambasciatore Francisci: la vicenda è ben ricostruita in uno studio di Chiara Lepri. Una vicenda di successo, a differenza di quanto era avvenuto per l’invito ad Antonioni, attribuito agli ambienti attorno a Zhou Enlai; il suo documentario era incorso nelle ire della fazione avversa della Banda dei Quattro, divenendo oggetto di una violenta campagna ideologica.

Ora Marco Polo torna a fare da ponte e chi sa che un domani anche il nostro Matteo Ricci non torni agli onori, se i rapporti diplomatici col Vaticano procedono per il verso giusto. Ad un certo punto tra le immagini di copertina per l’antologia mi era stata proposta la cupola di San Pietro e mi ero chiesta se i rapporti col Vaticano non avessero acquistato preminenza…

La cultura resta comunque un veicolo fondamentale nell’avvicinare i popoli.

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