La Rivoluzione culturale cinese: due testi per capirne di più
ICONOGRAFIA DELLA RIVOLUZIONE CULTURALE
Un approccio problematico alla “cultura” della Rivoluzione culturale cinese è quello adottato nell’ampia disamina di Barbara Mittler, ” A Continuous Revolution. Making Sense of Cultural Revolution Culture”, Harvard University Press 2012, che sostiene una possibile doppia lettura di tanti aspetti ambivalenti del decennio 1966-76: non furono solo “dieci anni terribili”, pieni di persecuzioni e sofferenze, ma anche momenti di mobilitazione della gioventù, scambi di esperienze, felice anarchia. E le campagne di studio non inculcavano solo ossessivamente i pensieri di Mao, ma consentivano l’accesso ai “materiali neri” da criticare: quanti non hanno potuto leggere Confucio grazie alla campagna “Criticare Lin Biao criticare Confucio”? E quante Guardie Rosse che sequestravano i libri “neri” nelle case borghesi non se li portavano poi a casa per leggerseli? E quante biblioteche in abbandono venivano saccheggiate per leggere romanzi classici francesi e russi durante le lunghe serate trascorse negli inverni in campagna dagli studenti spediti in zone remote? Basti pensare a “Balzac e la piccola sarta cinese” di Dai Sijie…. Secondo la Mittler, la cultura di propaganda veicolata da manifesti, opere rivoluzionarie, dazibao e libretti è stata una grande esperienza di diffusione di massa di contenuti che ciascuno poteva anche reinterpretare e ridiffondere a modo suo, vista la difficoltà di controllo capillare dell’enorme mobilitazione. Una interpretazione forse ottimistica, ma che consente di sfumare il bianco e nero del bilancio fatto subito dopo il 1978 e la “letteratura delle cicatrici e delle ferite”. Il ponderoso saggio della Mittler si articola in tre parti: orecchie, bocca e occhi, ovverosia suoni, parole e immagini, o ancora meglio musica, discorso/narrazione, pittura e iconografia all’insegna del culto di Mao. L’introduzione si intitola al naso, all’odore, per darci un sentore del tutto, inquadrato nella storia della cultura cinese senza trascurare un prequel e un sequel prima e dopo la Rivoluzione culturale. Anche la periodizzazione dei Dieci anni terribili viene rimessa in discussione dai risultati della ricerca e soprattutto dalle tante interviste a protagonisti, che tendono distinguere tra una prima fase intensa 66-68, movimentista e violenta, e la lunga coda successiva, con il trasferimento delle Guardie Rosse in campagna ed il consolidamento di nuove forme di potere con l’ausilio dell’esercito; spartiacque nella credibilità della propaganda e’ la caduta e la damnatio di Lin Biao, il più fedele compagno d’armi accusato di colpo di stato e di fuga verso l’Unione sovietica. Eppure era stato lui a inventarsi il libretto rosso, alla cui storia e diffusione è dedicato “Mao’s Little Red Book. A Global history”, una storia globale del libretto rosso di Mao, sul suo uso in Cina e sulla sua diffusione a livello mondiale, con analisi specifiche sul suo impatto nella Rivoluzione culturale cinese, nelle lotte studentesche americane ed europee, tra gli afroamericani, nei movimenti di liberazione nazionale. Alexander C. Cook, professore a Berkeley, ne ha curato una utile rassegna con il contributo di vari studiosi, ed edita dalla Cambridge University Press nell’aprile 2014. Il libretto, edito nel 1964 dall’Esercito Popolare di Liberazione sotto la guida di Lin Biao come manuale di studio ed addestramento, diventa accessorio indispensabile delle Guardie Rosse cinesi e della gioventù radicale in tutto il mondo. I saggi raccolti lo analizzano nei contenuti, nella valenza simbolica ed identitaria, nella diffusione mediatica come una icona pop, nonché nella millenaria tradizione cinese delle raccolte di citazioni e massime dei saggi dell’antichità, da mandare a memoria per gli esami imperiali. Oggetto pop di culto fin dall’inizio, o ridotto a tale ora che è divenuto ambita preda di collezionisti? I milioni di esemplari diffusi in tutto il mondo ed agitati nelle manifestazioni di piazza rappresentarono un veicolo di identità collettiva ed un esempio di massificazione mediatica globale, inverando la affermazione di Mac Luhan che il medium è il messaggio. La copertina plastificata, il formato tascabile, concepito inizialmente per la tasca dei soldati dell’Armata rossa cinese, ma adattabile alle tasche dei giovani ribelli di tutto il mondo, si presta alla diffusione come distintivo, e l’idea che circola attraversando le frontiere è “RIBELLARSI E’ GIUSTO”. Culto della personalità e cult si incrociano nell’ultima ondata di rivolte e ribellioni del Novecento. Gli studiosi autori della rassegna sono consapevolmente critici dei rischi di dogmatismo insiti nella ripetitività e nella semplificazione delle formule scandite, ma riescono anche a cogliere gli elementi di spirito critico che la diffusione di massa delle idee può indurre. E’ come quando la Bibbia viene stampata e diffusa in migliaia di esemplari, messa in mano direttamente ai fedeli senza più bisogno di intermediari, e ne scaturisce la riforma protestante. Due contributi occidentali ad una storia che in Cina viene fortemente censurata, e rischia di creare un vuoto di memoria nelle nuove generazioni.
Silvia Calamandrei