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Una “nuova” voce sul conflitto israelo-palestinese: “Apeirogon” di Colum McCann

Colum McCann

Apeirogon

Milano, Feltrinelli 2021

 

Ho affrontato con diffidenza questo libro molto elogiato da nomi come Englander e Elizabeth Strout, chiedendomi che senso aveva per un irlandese narrare le vicende di due padri che hanno perso le figlie in Palestina ed in Israele, e che tentano un dialogo di pace diffondendolo nel mondo. Pensavo ai tanti libri che ci venivano da scrittori israeliani e arabi che affrontavano la tematica ciascuno dal proprio punto di vista. Qui invece c’è un osservatore-narratore esterno che li combina insieme, un terzo che assume il loro duplice punto di vista, e si presenta con un titolo ambizioso, il nome greco di un poligono dagli infiniti lati, per dichiararci subito la complessità del reale, la sua sfuggevolezza, e la necessità di affrontarla. Ma si tratta di persone vere e di fatti realmente accaduti, sui quali l’autore si è documentato per anni.

 Anche la scrittura è per frammenti: al filo narrativo che ricostruisce l’assassinio delle due figlie e le reazioni dei padri si interpolano infiniti dettagli di informazione, che vanno dal volo degli uccelli alle formule algebriche, dall’ultimo pasto di Mitterand agli scambi tra Einstein e Freud, alle vicende del conflitto israelo-arabo alle memorie della Shoah, alla prigionia del padre palestinese, alle reazioni di rigetto dei genitori della ragazza morta nell’attentato suicida di Gerusalemme alla annunciata visita di Netanyahu e ai doni annuali da parte dello Stato di Israele nel giorno della memoria. Il lettore non ha pace, subissato com’è da temi che spaziano in tutte le direzioni ma rimane avvinto perché si rende conto che quel conflitto lo riguarda e si riverbera nel mondo come una esplosione.

Non è vero che sia un libro consolatorio e pacificatorio, un’ennesima operazione rassicurante e falsificatoria come è stato scritto, soprattutto da critici palestinesi. Ho letto con sgomento i commenti della scrittrice Susan Abulhawa, pubblicato su Al Jazeera l’11 marzo, preoccupata che Spielberg abbia già acquistato i diritti cinematografici del romanzo. L’intenzione sarebbe di preparare un nuovo Exodus per nobilitare il sionismo e per diffondere l’idea di un dialogo che favorirebbe solo Israele.

Ecco quanto scrive:

“Io non conosco McCann, anche se sospetto che abbia scritto il suo libro con un senso di solidarietà e il desiderio di promuovere il “dialogo”. Ma è possibile fare grandi danni avendo le più nobili intenzioni. La retorica del dialogo può essere attraente, l’idea che parlare per trovare un’umanità comune sia tutto quello che ci vuole per smantellare il razzismo strutturale e le nozioni di supremazia etnocentrica. Può trasformare ogni tipo di persona, persino le vittime stesse, in persone che contribuiscono a diffondere l’ingiustizia.

Come ben sanno i palestinesi, avendo fatto proprio questo per quasi trent’anni, dialogo e negoziati hanno sempre favorito i potenti.

È chiaro che McCann abbia fatto lunghe ricerche, incluse lunghe conversazioni con i personaggi principali di questo libro e forse, presentando una storia vera, ha tentato di indicare la via in merito ai temi etici che riguardano l’appropriazione. Ma c’è un messaggio coloniale complessivo che si presta alla propaganda sionista. È come Jared Kushner che, dopo aver letto 25 libri, pensa che ciò lo qualifichi a fare l'”accordo del secolo”, una “soluzione” per accontentare “tutte le parti” del “conflitto”.

In verità l’empatia che McCann sottolinea come possibile arma di pace non nega l’ingiustizia della Occupazione, né la giustizia che i genitori palestinesi ricevono dal processo civile celebrato in Israele pretende di idealizzare la democrazia israeliana. L’autore stesso sottolinea le diverse interpretazioni della sentenza del 2007. C’è chi decanta il verdetto ed il risarcimento come decjsione epocale che mostra l’integrità del sistema giudiziario israeliano, e chi la considera un’eccezione che conferma l’esistenza di un sistema brutale, un gesto minuscolo per ingenerare l’illusione che ai palestinesi si stessero permettendo una serie di diritti di autodeterminazione all’interno del sistema più ampio.

E’ proprio dopo la narrazione del processo che McCann evoca l’apeirogon, un poligono con un numero infinitamente numerabile di lati, che si avvicina al cerchio, ma di cui un segmento appare come linea retta:

“si può arrivare ovunque all’interno di un apeirogon e, complice di questo viaggio, è la totalità della sua forma, anche la parte che non è ancora stata immaginata”.

L’irlandese McCann ha le radici nel conflitto del suo paese natio, e forse ha l’empatia necessaria per spingere l’immaginazione oltre lo stallo del reale, inducendo speranza,senza indulgere a rassicuranti retoriche.

(Silvia Calamandrei)

 

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