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Lucciole e Montedison: “Eugenio Cefis” di Paolo Morando

Paolo Morando

Eugenio Cefis, Una storia italiana di potere e di misteri

Roma-Bari, Laterza 2021

 

Appassionato di indagini, dopo averci dato una ricostruzione limpida e mirabolante delle trame che hanno preceduto la strage di Stato del 12 dicembre 1969, preparando il depistaggio anarchico (Prima di Piazza Fontana, Laterza 2019), Paolo Morando ha affrontato un personaggio complesso ed oggetto di molteplici sospetti, il grande manager di Eni e Montedison Eugenio Cefis, defilatosi dalla scena italiana già nel 1977, ma continuamente richiamato in causa in processi e ricostruzioni giornalistiche e saggistiche sui “poteri forti”.

Ci ha lavorato a quattro mani, assieme a Luca Dal Bosco, compulsando tanti materiali scritti e audiovisivi e seguendo le innumerevoli piste che si addensano attorno al personaggio, fin dalla sua partecipazione alla resistenza bianca in Val d’Ossola e alla sua collaborazione con i servizi americani. Militare di formazione, allievo dell’Accademia di Modena, Cefis non appartiene ai salotti buoni della razza padrona privata, e subentra a Mattei subito dopo la sua tragica e tuttora non chiarita morte nell’incidente aereo. Una vicenda che coinvolge forse servizi segreti stranieri, oltre che la mafia, e su cui chi ha indagato come il giornalista De Mauro è andato incontro a tragica fine. L’ombra della vicenda Mattei grava su Cefis e lo perseguita fino alla fine, e si intreccia dunque nella narrazione di Morando offrendogli fino all’ultimo nuovi spunti di indagine. Così come incombe la versione tragica pasoliniana di Petrolio, in cui Cefis veniva indicato come il Grande Vecchio della nuova fase del capitalismo delle multinazionali, esplicitamente preso di mira nel personaggio di Troya. Mandante degli omicidi di Mattei, De Mauro, Pasolini, vero fondatore della P2?

Ẻ forse l’aggrovigliarsi di troppi fili e il moltiplicarsi delle possibili responsabilità di Cefis che rende quest’opera di Morando meno godibile della precedente, che ci illuminava su un pezzo di storia con un andamento quasi da serie tv. Stavolta abbiamo un biopic, ma con un personaggio non di spettacolo, anzi sempre attento a tenersi defilato, a non comparire più di tanto, e quindi da scovare e da scavare, anche recuperando le poche interviste rilasciate o delle inquadrature rubate in filmati di repertorio. La ricerca è stata condotta in tutte le direzioni, cercando di stanare un personaggio sfuggente e riservato. Ma è l’opacità dei poteri economici in Italia che balza all’attenzione, la difficoltà di districare l’imbricazione tra politica ed economia, con una classe imprenditoriale sostenuta e sostenitrice del sistema politico, in cui il sistema delle partecipazioni statali gioca un ruolo fondamentale. Cefis e Fanfani, un progetto autoritario presidenziale, un’accoppiata sconfitta però. E i fondi neri, i finanziamenti ai partiti, il controllo delle testate giornalistiche, i disastri ambientali e sanitari per mancato rispetto del principio di precauzione.

Un quadro torbido, nel quale Cefis tutto sommato conserva una sua dignità di manovratore sagace, intelligente, ma schiacciato dai troppi ostacoli, da troppe pastoie, che finisce per tirarsi indietro fino a lasciare l’Italia. Un ritratto in chiaroscuro, che non lascia soddisfatti gli interrogativi: sempre nuove piste da indagare, sempre nuovi spunti e connessioni, ma col rischio di rimanere con un pugno di mosche per le troppe versioni dei fatti. Bisogna dare atto a Cefis di aver ben saputo cancellare le sue tracce: forse ha perso una partita, consapevole com’era che il mondo stava cambiando, le multinazionali stavano spingendo verso la globalizzazione superando i confini nazionali e l’Italia non aveva saputo attrezzarsi alle nuove sfide ed aveva un sistema industriale condannato al declino.

Dal libro di ricavano tante notizie, ma anche una complessità di intrecci che domanderebbero ulteriori approfondimenti: dopo la vicenda dei fanghi rossi di Scarlino, Pasolini accostava le lucciole alla Montedison, sostenendo che avrebbe dato l’intera Montedison, ancorché multinazionale, per una lucciola. Si scopre che la legge Merli (1976), non delle peggiori in termini di difesa delle acque, fu adattata alle esigenze della salvaguardia legale di Cefis. Ma nonostante tutte queste imbricazioni tra politici e “razza padrona”, l’Italia non ha saputo mantenere l’asset della chimica. Forse la parte più interessante è quanto emerge sul nostro sistema industriale, mentre i coinvolgimenti di Cefis nelle varie ipotesi di colpo di Stato sembrerebbero smentite dal suo pragmatismo militaresco: per la sua conformazione, l’Italia non è adatta a colpi di Stato: così liquidava le domande che ripetutamente gli venivano rivolte circa la sua partecipazione alle trame eversive.

(Silvia Calamandrei)

 

 

 

 

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