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Una importante riflessione sul “mestiere di giudicare”: “Il giudice e la legge” di Carlo Nitsch

Carlo Nitsch

IL GIUDICE E LA LEGGE. Consolidamento e crisi di un paradigma nella cultura giuridica italiana del primo Novecento, Milano, Giuffrè editore, 2012 (Per la storia del pensiero giuridico moderno, 96)

Il saggio, ampio, denso e dotto di Carlo Nitsch si propone di affrontare un tema classico nella riflessione filosofica sul diritto e la scienza giuridica e cioè quello di pensare alla relazione esistente tra diritto e fatto, tra norma astratta e norma concreta ” Problema autentico, che non conosce soluzioni definitive, ma una lunga e articolata storia di pensiero.” (p. 1). Lo studio di Nitsch è organizzato in due parti; la prima vede l’analisi attenta e puntuale del paradigma “giudice e legge” nel loro reciproco rapporto  tra norma astratta e realtà concreta. L’autore parte da un’ampia e documentata disamina dell’apporto del pensiero di Benedetto Croce a tale paradigma – personalità, peraltro, che Nitsch ben conosce e maneggia con padronanza –  e che lo vede escludere la possibilità di un’applicazione logica della norma dal generale al particolare. Per Croce, secondo quanto ci dice l’autore, “il giudice sarebbe dunque costretto a decidere, nelle specifiche circostanze di controversia, non attraverso un esercizio di pensiero, bensì traducendo in azione effettiva il proprio concreto volere” (p. 2). Partendo dai principi formulati da Vittorio Scialoja e Giuseppe Chiovenda prima e da Piero Calamandrei e Francesco Carnelutti poi, l’autore ripercorre con precisione e con prospettive originali il confronto tra questi ultimi sul tema della genesi logica della sentenza civile. La seconda parte, invece, analizza la crisi che ha colpito tale paradigma attraverso lo studio del pensiero di Emilio Betti e Guido Calogero, due figure queste “di certo eterogenee, ciascuna a modo suo, rispetto alla comunità degli scienziati del diritto processuale civile” (p. 34): Betti giurista e storico carico di filosofia e Calogero un filosofo imprestato talora al diritto.

Non si può non segnalare l’accuratezza con la quale l’autore utilizza le fonti d’archivio: non solo numerose sono le citazioni e le trascrizioni di documenti nel testo al fine di comprovare una teoria o di avallare un’idea, ma è presente anche un’ appendice documentaria finale che risulta utile e stimolante anche per chi non ha le basi teoriche per addentrarsi in questioni giuridiche così raffinate. Ma l’efficacia del lavoro di Nitsch è anche questo: il suo saggio può essere letto a più livelli e uno di questi è senza dubbio quello documentario. Occupandomi dell’inventariazione delle carte Calamandrei conservate nell’Archivio di Montepulciano non posso nascondere la mia soddisfazione nel leggere i nomi di Scialoja, Chiovenda e Carnelutti, le cui lettere e materiali di lavoro sono conservati anche presso l’archivio poliziano e  lo stesso Nitsch ha utilizzato alcuni documenti conservati a Montepulciano (cfr. Appendice, doc. 11, p. 322).  Vederli messi in relazione con altri documenti presenti in altri archivi non può che essere motivo di orgoglio per chi fa questo mestiere, spesso snobbato o ritenuto di poca utilità, non pensando a quanto sia importante il mantenimento della nostra memoria collettiva, oggi più di sempre. Di recente infatti è stato scoperto nella carte di Montepulciano un fascicolo contenente appunti, schemi e note bibliografiche da cui si desume come Calamandrei progettasse, nei primi anni ’20, un’opera intitolata Giustizia e politica, di cui ci restano l’introduzione e un avvio di primo capitolo su Diritto e politica. Tale inedito sarà presto pubblicato a cura di Silvia Calamandrei, continuando così a diffondere quei pensieri così alti che ancora oggi sono attuali e stringenti sulla nostra realtà.

Il mio è il punto di vista di chi lavora con le carte e  i documenti ma credo sia oggettivo affermare come il lavoro di Nitsch oltre che interessante sia denso di dettagli, prodigo di spiegazioni, chiarimenti, semplificazioni logiche che accompagnano il lettore non esperto della materia a comprendere “questi esercizi di pensiero tra i più raffinati e profondi del panorama degli studi giuridici in Italia del Novecento” (p. 36). Forse è su questo che dovremmo riflettere senza timori: ricercare e pretendere la raffinatezza del pensiero, il rispetto delle diverse opinioni, l’attenzione a ciò che siamo e a ciò che saremo. Mi sembra che il libro di Nitsch abbia praticato questa strada.

(Francesca Cenni)

Leggendo questa recensione, viene spontaneo il pensiero: quanti giudici “sanno” tutto questo? Senza prestare affatto il fianco a facili e strumentali critiche all’ordine giudiziario, si ha l’impressione che il mestiere di giudice sia sempre più (o forse, nella pratica. non è mai stato diversamente?) un “disbrigo burocratico” di alto livello, piuttosto che l’esercizio di una funzione che richiede una continua riflessione filosofica…. (Duccio Pasqui)

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