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Una importante riflessione sul conflitto tra mondo rurale e vita cittadina, che vale per l’Oriente come per l’Occidente

Yan Lianke

Pensando a mio padre

Roma, Nottetempo, 2013

(traduzione di Lucia Regola)

 

Yan Lianke ci ha divertiti con il boccaccesco Servire il popolo (Einaudi 2006), la novella dell’attendente e della moglie dell’ufficiale, e angosciati con Il sogno del Villaggio dei Ding (Nottetempo 2011), ispirato alla tragica vicenda dell’epidemia di AIDS da trasfusioni.

Stavolta racconta del padre, dell’infanzia contadina, del desiderio di fuga verso la città maturato fin da bambino, che esaudisce arruolandosi nell’esercito, unica via di ascesa sociale per i figli dei contadini: memoria autobiografica di uno scrittore cresciuto nelle campagne  più diseredate, dove la fame è sempre incombente, il lavoro spezza la schiena e le malattie senza assistenza sanitaria gravano come un incubo sugli altri membri della famiglia.

Colpisce la narrazione da un punto di vista opposto dell’arrivo dei “giovani istruiti”, gli studenti cittadini inviati a schiere a rieducarsi in campagna dopo la stagione “alta” della Rivoluzione culturale. Lo scrittore l’ha vissuta ragazzino dalla parte dei contadini che devono accogliere questi giovani, a volte nutrirli a scapito della propria magra razione e sopportarne la scarsa attitudine al lavoro manuale, ed esprime decisa antipatia per la letteratura delle cicatrici o delle ferite, prodotta nei primi anni Ottanta dai cittadini reduci dall’esperienza in campagna.  Traspare dalle sue memorie la profonda divisione città-campagna ed il rancore che un ragazzo di villaggio può provare per dei giovani relativamente ben vestiti che bighellonavano e suonavano il flauto:

Per la verità, la “letteratura dei giovani istruiti” che vide rumorosamente la luce all’inizio degli anni ottanta del secolo scorso nei circoli letterari cinesi rappresentò il loro trasferimento in campagna alla stregua di una carcerazione. Essa attribuiva tutte le sofferenze da loro patite, in modo diretto e lineare, alle aree rurali in cui erano stati inviati e all’ignoranza che vi imperversava. Ciò mi ha spinto a pensare che il trasferimento dei giovani istruiti nelle campagne abbia costituito una vera e propria catastrofe per un’intera generazione e un’intera parte del popolo cinese. Ma anche prima del loro arrivo, così come durante la loro permanenza nelle aree rurali, la vita e la sopravvivenza della gente di campagna, il suo millenario destino, non erano forse stati anch’essi un susseguirsi di catastrofi? A essere sincero, proprio come i contadini non sono mai stati in grado di capire fino in fondo la città, né di comprendere come l’invio dei giovani istruiti nelle loro terre abbia costituito una catastrofe per una generazione e per un gruppo sociale, anche i giovani istruiti e gli scrittori, i poeti, i professori che un tempo si trovarono a far parte di quel gruppo, in realtà non sono mai riusciti a capire la terra nella quale hanno vissuto per qualche anno, né la gente che in quella terra viveva da migliaia di anni.

Questa mancanza di comunicazione e questa incomprensione reciproca viene sintetizzata in un episodio emblematico, la fucilazione di un contadino che ha tentato di stuprare una studentessa, a cui i giovani del luogo assistono ben sapendo che nessuna punizione è stata inflitta ad uno studente che ha violentato una giovane contadina: costui se la cava con delle scuse ed un risarcimento pagato dai genitori.

Memorie di un passato recente che circolano in una Cina che ha conosciuto una urbanizzazione vertiginosa, la trasformazione in muratori e operai di centinaia di milioni di contadini, ma nella quale il divario città campagna continua a costituire un nodo irrisolto per la classe dirigente.

(Silvia Calamandrei)

 

 

 

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