Skip to content Skip to left sidebar Skip to footer

Un aspetto forse poco conosciuto della Resistenza: i GAP, nel testo di Santo Peli

Santo Peli

Storie di GAP. Terrorismo urbano e resistenza

Torino, Einaudi, 2014

 

Gli anniversari incoraggiano rivisitazioni e nuove sistemazioni, ed ecco questa storia dei GAP, le formazioni che operarono nelle “belle città date al nemico”, stralciata dalla storia della Resistenza e contrapposta a quella delle brigate che operarono in montagna, storia a detta dell’autore restata “marginale nella memoria collettiva, come anche nella storiografia della Resistenza”. Secondo Santo Peli questo sarebbe avvenuto sia perché i Gruppi di azione patriottica erano formazioni esclusivamente comuniste, e quindi connotate ideologicamente, sia perché il loro operare secondo modalità terroristiche, ed il loro reclutamento estremamente selettivo, le distingue dalle bande partigiane di montagna, aperte a tutti, “microcosmo di democrazia diretta”. Questa separazione netta non risulta troppo persuasiva: forse si è operata nell’immaginario a partire dagli anni Settanta con il corto circuito innescato dalle azioni terroriste e la polemica sul terrorismo delle Brigate rosse, che si richiamava al mito della resistenza rivoluzionaria. C’è un rischio di idealizzazione della banda di montagna e di schematizzazione di cosa siano veramente stati i gruppi di azione patriottica, al di là di quanto programmato nei documenti ufficiali del Partito comunista. In effetti, se i documenti di partito, ispirati tra l’altro all’esperienza francese (vedi Roasio), ipotizzano strutture altamente disciplinate di “rivoluzionari professionali”, ben diversa ed eterogenea sarà l’esperienza concreta dei giovanissimi intellettuali ed operai che operano nelle città, come si puo’ ricavare dalla ricca memorialistica in merito. Peli attinge ad entrambe le fonti, ma forse avrebbe dovuto farle maggiormente interagire; inoltre l’esperienza concreta è molto diversa da città e città e non sempre le azioni contro i fascisti ed i tedeschi eseguite in città sono di esclusiva matrice comunista; c’è poi anche un intreccio tra guerra di montagna ed azioni in città che andrebbe maggiormente indagata. Il libro offre una utile ricostruzione e stimola ulteriori approfondimenti e colma una lacuna venutasi a creare nella memoria collettiva nel passato recente: l’autore stesso sottolinea come manchi “un’adeguata mole di studi locali criticamente fondati” e intitola la sua opera “storie di Gap” per sottolineare come si tratti di una prima approssimazione, volta ad uscire dalla alternativa tra “deprecazioni calunniose e acritiche esaltazioni”. Interessante soprattutto la seconda parte, un primo “corpo a corpo più ravvicinato con i gappisti e le condizioni esistenziali e materiali nelle quali la loro esperienza è inscritta”.

(Silvia Calamandrei)

« Torna indietro