Opere ricevute: “Guerra alle donne” di Michela Ponzani
Michela Ponzani
Guerra alle donne. Partigiane, vittime di stupro, “amanti del nemico” 1940-45
Torino, Einaudi, 2012
Per la sua ricostruzione della Guerra alle donne, Michela Ponzani attinge a piene mani alle memorie risvegliate da una trasmissione televisiva del 1990, La mia guerra, la cui documentazione (soprattutto lettere di testimonianza) è stata provvidenzialmente depositata all’Istituto nazionale per la storia del movimento di liberazione in Italia (Insmli), per accortezza di Giovanni De Luna, consulente storico della trasmissione condotta da Enza Sampò e Leo Benvenuti. Altre testimonianze provengono dall’Archivio della memoria delle donne di Bologna e dall’ Archivio segreto vaticano e da archivi privati.
Il montaggio viene organizzato per temi, raggruppando esperienze di vissuto delle vittime civili accanto alle testimonianze delle donne combattenti nella resistenza..
La chiave di lettura è quella inaugurata da una serie di studi degli anni Novanta, di cui sono capofila storiche come Gabriella Gribaudi e Anna Bravo, che rivedono i parametri interpretativi della storia della guerra e della resistenza mettendo a fuoco la tematica della resistenza civile e delle vittime civili, offuscata da una storiografia centrata sulla resistenza combattente. Il punto di vista di genere, centrato sulle memorie femminili, consente di illuminare meglio tale versante, e di inaugurare una narrazione sulle violenze subite dalla popolazione civile che tende a mettere in discussione lo stesso concetto di “guerra giusta”. Sembra che la Ponzani condivida questo approccio quando afferma:
“la storia delle donne tra il 1940 e il ’45 invita [però anche] a rimettere in discussione il fondamento e la legittimità del concetto di “guerra giusta”, con le sue strategie e l’uso della forza, compresa la condotta criminale dei combattenti impiegati nei conflitti armati”.
Raccogliendo e cucendo insieme testimonianze rese a tanta distanza temporale, ed in un contesto in cui i ricordi vengono filtrati dalle percezioni presenti degli orrori della guerra, in particolare dell’esperienza del conflitto nei Balcani e di quello in Iraq,si mettono a fuoco particolari che erano andati smarriti nella memoria collettiva elaborata nell’immediato dopoguerra. Emerge soprattutto la violenza subita dalle donne, indistinguibile se compiuta dagli occupanti tedeschi, dai liberatori marocchini o dell’Armata rossa; lo stesso vale per i bombardamenti alleati, che vogliono indurre il terrore della popolazione civile oltre che mirare ad obiettivi militari e produttivi.
Insomma le donne assurgono a protagoniste della vasta area grigia troppo a lungo ignorata, oltre ad essere spesso relegate a ruoli secondari nelle formazioni combattenti, per poi essere oscurate nel dopoguerra e ricondotte al ruolo tradizionale di madri e mogli.
C’è molta materia viva nelle testimonianze ampiamente citate, spesso di grande crudezza, ma è difficile ricondurre il tutto a una narrazione coerente: già il sottotitolo “partigiane, vittime di stupro, “amanti del nemico”” denuncia una difficoltà a coniugare la visione classica ed eroica delle partigiane emancipate combattenti per la libertà con gli infiniti spezzoni di una condizione femminile travolta dalla guerra e dalla violenza.
Un libro da discutere, che si sarebbe giovato di un editing più attento nell’organizzazione del materiale, soprattutto nel passaggio dalla citazioni alle riflessioni dell’autrice, che oscillano tra un punto di vista più strettamente femminista e l’interpretazione storiografica più canonica. L’autrice stessa sembra rendersi conto dei rischi della propria operazione, quando afferma come sia necessario “sforzarsi di smussare il proprio senso di compartecipazione empatica col [loro] dolore” e avverte il rischio”del transfert tra chi parla o racconta e chi ascolta”, “fino al rischio di creare una “solidarietà di genere” certamente apprezzabile da un punto di vista morale ma che può condurre in un vicolo cieco”.
(Silvia Calamandrei)