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Monti ed Acque: Cina e Occidentali dupo la Rivoluzione

Anne Marie Brady

Making the Foreign Serve China

Lanham| (Maryland, USA), Rowman and Littlefield, 2003

 

La ricercatrice neozelandese Anne Marie Brady ha esplorato la politica estera cinese dal punto di vista dell’utilizzazione e gestione degli “amici stranieri”, nelle diverse fasi della storia del PCC, fin dai tempi delle basi rosse e della straordinaria operazione Stella rossa sulla Cina, il libro del giornalista Edgar Snow che già nel 1937 rese i comunisti cinesi popolari in Occidente.

Alla base di questa “gestione” degli amici c’era l’esperienza sovietica, condivisa negli anni Venti nell’Internazionale comunista, ma la Brady sottolinea come i cinesi seppero farne un uso specifico dentro la propria tradizione, grazie alle cure che soprattutto Zhou Enlai dedicò alle relazioni con l’estero (waishi), la selezione dei propri interlocutori e la formazione del personale addetto ai contatti con gli stranieri. Il mix di marxismo leninismo e tradizione confuciana si prolunga fino al giorno d’oggi, riciclandosi nel riferimento a Confucio che ispira la rete degli istituti culturali cinesi sparsi in tutto il mondo, presso le più prestigiose sedi accademiche.

Personaggi come l’americano Snow, il neozelandese Rewi Alley, l’inglese Needham sono stati grandi divulgatori dell’epopea e delle realizzazioni dei comunisti cinesi, e la Brady ne ricostruisce le vicende nelle varie fasi della storia della nuova Cina, a partire da quella di relativo isolamento degli anni Cinquanta, quando gli stranieri in Cina erano un drappello ridotto e coeso, agli anni turbolenti della Rivoluzione culturale, quando non pochi amici stranieri vecchi residenti vennero anch’essi travolti dalle alterne vicende degli scontri di fazione.

La svolta si ha con l’apertura riformista di Deng Xiaoping, a partire dalla fine degli anni Settanta, quando la Cina apre le porte all’ingresso di moltitudini di tecnici, esperti e investitori stranieri, e non è più la fedeltà ideologica a contare, ma l’interesse economico oppure la autorevolezza del personaggio sulla scena internazionale: negli anni più recenti uno dei migliori “amici” della Cina è stato ad esempio Henry Kissinger, che con il suo On China, oltre ad esaltare il proprio ruolo di grande factotum della politica internazionale, assieme a Zhou Enlai, per il riavvicinamento Cina-USA,  raccomanda oggi una pacifica coesistenza con la Cina in ascesa.

Particolarmente interessante è come l’autrice coglie il mix culturale nell’approccio agli stranieri, che risale a formule antiche come “utilizzare gli elementi stranieri per servire la Cina”, o al relativismo con i quali si scelgono amici e nemici a seconda delle fasi, nella migliore tradizione dell’Arte della guerra. Lo studio di una serie di manuali cinesi ad uso del personale diplomatico ma anche di una più larga cerchia destinata a venire a contatto con gli stranieri offre spunti di riflessione fino al giorno d’oggi, quando i contatti della Cina con il resto del mondo si sono moltiplicati e non si parla più di “propaganda” ma di “public relations” nei confronti del mondo esterno. Il forte senso nazionale cinese continua a percepire l’altro come estraneo e da manipolare, o comunque da gestire oculatamente.

(Silvia Calamandrei)

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