Ancora la Cina vista con gli occhi incantati di un occidentale: “René Leys” di Victor Segalen
Victor Segalen
René Leys. L’incanto della Città proibita
Milano, ObarraO, 2017
Il grande sinologo belga Simon Leys, alias Pierre Ryckmans, si ispirò a quest’operetta del primo Novecento per scegliere il suo pseudonimo, tanto la riteneva paradigmatica: alla vigilia della Grande Guerra Victor Segalen (1878-1919) aveva scritto una perfetta epitome del rapporto Occidente-Oriente, di cui è protagonista un giovanissimo belga che ci fa esplorare la Città proibita di Pechino nei giorni della caduta dell’Impero millenario, tra eunuchi, concubine, reggenti e imperatrici vedove.
Renè Leys, ispirato a personaggi reali della piccola colonia straniera (in particolare il diplomatico e sinologo belga Charles Michel) che popola Pechino tra la rivolta dei Boxers e la caduta dell’Impero nel 1911, introduce l’autore ai misteri del Grande Interno (Danei), in un vano assalto al nucleo, all’essenza della Città proibita. Millantatore o vero capo della polizia segreta imperiale, adolescente mitomane o amante della Imperatrice vedova e ed amico del Reggente, animatore di complotti o deus ex machina della salvezza dei suoi protettori imperiali in pericolo, avvelenato o suicida, il ragazzo ci fa da guida narrativa nella cittadella di Pechino di cui è frequentatore privilegiato, ed il suo racconto favolistico affascina e intriga. Non si sa se dica il vero, ma crea quello spaesamento che è essenziale per l’esotismo. Così lo definiva Segalen, nel suo Saggio sul’esotismo, un’estetica del diverso (Edizioni scientifiche italiane 2001):
“che altro non è che la nozione del differente, la percezione del Diverso: la consapevolezza che qualcosa è altro da noi: e il potere dell’esotismo è il potere di concepire altro”.
L’incanto, parola che si è utilizzata per il sottotitolo a differenza dell’edizione Einaudi (1973) che ha come sottotitolo il mistero della città imperiale (l’originale francese non ha alcun sottotitolo, si tratta dunque di scelte editoriali dei curatori), sottolinea il fascino esercitato da questo anelito di cogliere il Diverso, quanto mai sfuggente. Il diario immaginario di Segalen, datato 11 marzo 1911, si colloca su un crinale: la Cina sta per entrare nella modernità, e la sua alterità è destinata a ridursi nel secolo a venire. Eppure ancora oggi Segalen docet, perché c’è sempre qualcosa che sfugge e intriga.
A proposito di questa nuova edizione di O barra O, curata da Alessandro Giarda, si spiega nell’introduzione che è basata sull’originale del 1922 e non sull’ultima versione messa a punto dalla figlia nel 1971; è dunque filologicamente più rigorosa, anche nell’interpunzione, ed è corredata da note esaustive con la consulenza di Emma Lupano.
Un altro gioiellino nella collana Occidente/Oriente che la casa editrice mette a disposizione dei lettori, riscoprendo titoli di Barthes, Michaux e Loti che ci offrono uno sguardo europeo sulla Cina, e offrendo reportage sulla letteratura d’oggi come quello di Marco Del Corona su Mo Yan, già da noi segnalati.
(Silvia Calamandrei)