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Che fare del “nuovo” paesaggio?: “Architettura e democrazia” di Salvatore Settis

Salvatore Settis

Architettura e democrazia

Torino, Einaudi, 2017

 

Settis invoca un nuovo giuramento, quello di Vitruvio, per gli architetti, sul modello di quello di Ippocrate per i medici. La cura del corpo della città, la salute del paesaggio e del territorio, la prevenzione degli scempi ambientali sono altrettanto importanti della cura del corpo individuale, perché sono i luoghi della convivenza e della cittadinanza, da tutelare secondo quanto chiede l’articolo 9 della nostra Costituzione.

Ma evidentemente il problema non è solo quello della responsabilità etica degli architetti, contro la logica della dissennata espansione urbana, del consumo dei suoli e della devastazione dei paesaggi e dei territori agricoli. Si tratta di coniugare l’estetica e l’etica per salvaguardare spazi di vita in nome di valori collettivi, nella consapevolezza di un patto da rispettare verso le generazioni future.

E’ questo il messaggio che scaturisce dalla raccolta delle lezioni tenute dall’archeologo e storico dell’arte italiano tra Mendrisio e Lugano nell’anno accademico 2014-2015, sulla tematica del paesaggio, dell’ambiente e dell’architettura , nel quadro dei diritti di cittadinanza: una serie di efficaci conferenze divulgative in cui lo studioso di beni paesistici e culturali si confronta con temi a lui cari, proiettandoli su scala europea e globale.

La costituzionalizzazione della tutela, inaugurata dalla Costituzione di Weimar, ha avuto una degna prosecuzione nell’articolo 9 della nostra Costituzione. Ce n’erano le radici già nel diritto romano, a cui si è riferito Benedetto Croce, ministro dell’istruzione per la prima legislazione italiana di tutela del paesaggio (1920).

Questa eredità, iscritta nel Costituto di Siena del ‘300, si ritrova nelle operazioni di salvaguardia dell’integrità paesistica, anche recenti, come l’iscrizione della val d’Orcia nel patrimonio Unesco e le battaglie civili contro gli scempi edificatori. Bellezza, decoro, dignità della città e disegno armonioso delle campagne erano tematiche ricorrenti nell’Italia dei comuni, e ne abbiamo una splendida raffigurazione negli affreschi di Ambrogio Lorenzetti. Esiste una tradizione civile italiana che coniuga armonia ed uso sapiente dello spazio, che rischia di essere ormai travolta dall’urbanizzazione selvaggia, dalla implosione della forma città e dei suoi confini, dallo sprawling delle megalopoli. Solo un intreccio di competenze che coniughi paesaggio territorio ed ambiente può contrastare una deriva che sta erodendo le nostre forme di convivenza.

Il confine esterno della città, ben segnato negli affreschi del Lorenzetti, si perde ormai nella espansione a macchia, mentre nuovi confini si creano all’interno della città stessa dividendo i ricchi e i poveri, gli abitanti delle favelas e dei ghetti urbani e i privilegiati che vivono in cittadelle sorvegliate e quartieri residenziali recintati (gated communities). Avanzano i suburbi e si espandono i non luoghi, dai centri commerciali ai megaparcheggi: spazi dell’indecisione, terra di nessuno, zone grigie.

Rischia di perdersi il capitale civico, il codice dello spazio e della dignità abitativa, l’identità culturale e dialogica che lo spazio ben gestito ed equilibrato dovrebbe garantirci, mentre occorre trovare un quid medium tra immobilismo ambientalista e immobiliarismo liberista sfrenato.

Abbiamo percezioni del rischio distorte e non ci inquietiamo abbastanza per la pervasività del junkspace e del land grabbing che ci assediano. C’è una bruttezza dilagante, un’angoscia territoriale, una dismorfofobia, che inquinano la qualità del vivere civile. Come salvare la bellezza e i diritti delle generazioni future, si chiede Settis, ed invoca una città che favorisca il vivere in comunità ed i servizi di cittadinanza, chiedendo agli architetti di non piegarsi alle esigenze di una committenza avida, e di farsi combattenti attivi di una battaglia per la giustizia sociale.

(Silvia Calamandrei)

 

 

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