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Una lezione attuale più che mai: “L’utopia e il terrore, Mosca 1937” di Karl Schlőgel

Karl Schlőgel

L’Utopia e il terrore, Mosca 1937. Nel cuore della Russia di Stalin

Milano, Rizzoli,  2016

Una nuova lettura delle epurazioni staliniane del 1937


Un nuovo approccio narrativo al 1937, l’anno cruciale delle epurazioni staliniane, prendendo spunto dal volo di Margherita del romanzo faustiano di Bulgakov, che descrive una Mosca surreale in cui imperversa  il diavolo. Lo storico tedesco ha voluto darci una immagine sfaccettata, ispirata a Bachtin, di quel terribile anno, alternando i processi alle trasformazioni urbane, la lotta contro i sabotatori alle celebrazioni del centenario di Puskin, la riunione del Comitato centrale  che prepara la condanna di Bucharin alla partecipazione degli architetti e artisti sovietici all’Esposizione universale di Parigi.

Karlo Schlőgel, che insegna all’Università di Francoforte, ed ha vinto nel 2012 il premio Lipsia per quest’opera, attinge non solo a documentazione storico-archivistica, ma abbondantemente a stampa, resoconti, diari e letteratura d’epoca, con tanti punti di vista di testimoni diretti, a volte attoniti, altre volte sedotti dalla grande finzione, dallo spettacolo agghiacciante di confessioni da parte di imputati delle cui colpe non c’è lo straccio di una prova.

Ma, come dice il Grande Inquisitore, Viscinski, è proprio la mancanza di prove che dimostra la cospirazione: che complotto, che cospirazione ci sarebbe se se ne lasciassero tracce? L’abilità dei cospiratori, dei traditori è proprio nell’agire in totale segretezza, in collusione col nemico. E le miriadi di incidenti frutto di una industrializzazione forzata non si spiegano altrimenti che con il sabotaggio trotskista: dalle esplosioni in miniera ai deragliamenti di treni quale migliore scusa delle infiltrazioni del nemico?

Lo stile narrativo non é brioso come avrebbe saputo fare un anglosassone, ma talvolta ci si interroga se i traduttori (ne sono stati incaricati ben tre per affrontare la mole in tempi rapidi) non avrebbero potuto rendere il testo meno farraginoso. La fretta di stampare forse ha tagliato in tempi di una revisione e armonizzazione di cui il testo si sarebbe giovato. 

Comunque la tragedia si tinge di grottesco: l’annullamento ad esempio del censimento del gennaio 1937, perché la dirigenza non poteva permettersi dati statistici che fotografassero una situazione che non corrispondeva a quella propagandata (per fortuna gli archivi li hanno conservati). Da notare anche che Schlőgel non appiattisce il totalitarismo sovietico su quello nazista o mussoliniano, ma ne fa un caso del tutto specifico.

Contemporaneamente alla repressione lavora la macchina del consenso, i parchi dei divertimenti, le celebrazioni delle spedizioni polari e delle traversate aeree, le grandi parate per festeggiare il ventennale. E lavora anche la macchina della cooptazione di nuove leve mentre si elimina la vecchia guardia e gli specialisti borghesi.

Un vortice che consuma tanti falsi colpevoli, spediti in campi di lavoro o alle fucilazioni di massa, mentre perplessità e inquietudine dei tanti testimoni vengono bloccate dalla creazione di uno stato permanente di emergenza. L’epurazione fa sfracelli nelle schiere del Comintern, tra i tanti comunisti stranieri rifugiati a Mosca, in particolare tedeschi e polacchi, tra gli emigrati rientrati perché convinti che solo i bolscevichi potranno far grande la Russia. È paradossale che la repressione si scateni proprio dopo che la Costituzione del 1936 ha sancito la fine della lotta di classe e restituito i diritti elettorali alle categorie escluse: ma è forse proprio la paura di essere travolti alle elezioni della fine del 1937 che induce il gruppo dirigente a scatenare una epurazione di massa che colpisce centinaia di migliaia di persone.

Ancora una volta ci confrontiamo con il dramma di Bucharin e la sua ultima tragica lettera a Koba/Stalin, ed al suo incredibile lavoro teorico nell’ultimo anno trascorso in carcere.

Ed ancora una volta partecipiamo dello sgomento dei tanti russi e stranieri che hanno quasi reticenza ad esprimerlo e si rifugiano nel credo quia absurdum.

Il ponderoso volume si chiude con lo sterro, l’area dello smantellamento della cattedrale di Cristo Salvatore (1931), sulla quale avrebbe dovuto sorgere il Palazzo dei Soviet: Boris Iofan, l’architetto vincitore del concorso, ne discute con i più eminenti architetti dell’epoca, ivi compreso Wright, e si ispira a Roma e New York. Ma la costruzione non vedrà mai la luce.

Alla tragedia dell’epurazione farà seguito la catastrofe ancora più immane della guerra. All’epilogo, scrive l’autore, “avrebbe dovuto far seguito un resoconto della guerra successiva, una descrizione di come il Paese abbia sfiorato il collasso e si sia salvato grazie ai propri sforzi. Sarebbe opportuno dunque esaminare la fine di una tragedia all’ombra di una tragedia ancora più atroce”.

(Silvia Calamandrei)

 

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