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Una Cina fuori dagli schemi: “Canzoni dell’aglio” di Mo Yan

Mo Yan

Le canzoni dell’aglio

Torino, Einaudi,  2014

 

Sembra che nella Cina di Xi Jingping ricominci la politica della letteratura e dell’arte “al servizio del popolo” e dell’invio dei letterati e degli artisti a rieducarsi in campagna. Per il momento se ne parla sui giornali e bisognerà vedere quanto l’orientamento si traduca in pratica. Fa parte anche questo della esigenza di riequilibrare i grandi divarii che si sono creati nello sviluppo tumultuoso degli ultimi anni?

Una scrittore che certo non ha bisogno di essere inviato in campagna è il premio Nobel Mo Yan, di origine contadina e cantore dell’epopea contadina nella maggior parte delle sue opere.

Nelle Canzoni dell’aglio, appena pubblicato nella sapiente traduzione italiana di Maria Rita Masci, è addirittura una rivolta contadina contro le autorità locali il contesto della narrazione, non un episodio del passato, ma un accadimento della Cina di oggi, dopo le riforme e l’avvio di meccanismi di mercato nelle campagne.  La repressione che segue all’assalto di massa contro la sede del governo distrettuale, con incendi e distruzioni, è il filo narrativo principale, interrotto da flashback che ci consentono di conoscere le storie dei protagonisti ammanettati, incarcerati e sotto processo. La vicenda si conclude tragicamente, ma un capitolo finale, il XXI,  introduce una versione “politically correct”, parafrasando la narrazione della stampa di regime. Ed ecco che i fatti di Tiantang diventano un disastro causato dal burocratismo e dalla negligenza sul lavoro dei quadri, che non hanno saputo ben adeguarsi all’economia di mercato, mentre i “facinorosi” condannati, si sono abbandonati all’anarchia, probabilmente “fomentati da elementi criminali”.

Ironicamente, i dirigenti colpevoli di negligenza, vengono spostati altrove, per rieducarsi studiando “la linea del Terzo plenum del partito” (quello che avviò la politica delle riforme di Deng Xiaoping).

Il romanzo è stato pubblicato in Cina nel 1988, quasi un’avvisaglia delle tensioni che montavano nella società e che sarebbero esplose nel 1989. Ma il lettore non si aspetti un’opera di inchiesta sociale, bensì un affresco della Cina profonda, con i suoi paesaggi, i suoi animali e le sue piante in cui sono immerse le vicende umane.

I fiori di sofora, i frutti viola o bianchi dei gelsi, i pidocchi, le zanzare e gli asini sono protagonisti quanto gli umani, e i tempi lunghi della natura sembrano inghiottire e stemperare le tragedie degli uomini.

(Silvia Calamandrei)

 

 

 

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