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Un modo di affrontare una moderna crisi senza fine: “Due democrazie, una sorveglianza comune” di Laura Di Fabio

Il volume sarà presentato Sabato 23 febbraio 2019 a cura della nostra Istituzione al Palazzo del Capitano, Piazza Grande, Montepulciano, h. 17, come da locandina allegata

Laura Di Fabio

Due democrazie, una sorveglianza comune. Italia e Repubblica Federale Tedesca nella lotta al terrorismo interno e internazionale (1967-1986)

Firenze, Le Monnier, 2018.

 

La questione della sicurezza, l’organizzazione degli apparati interni, l’equilibrio tra repressione del delitto e garanzie individuali, la gestione sotto il profilo della sicurezza del dissenso e del conflitto sociale. Temi centrali per le democrazie moderne, che il volume di Laura di Fabio che qui si recensisce affronta forte di un approccio comparativo e un’ampia indagine d’archivio.

Al centro dell’analisi dell’A. la fase di forte conflittualità sociale tra le seconda metà degli anni Sessanta e la metà degli anni Ottanta, periodo nel quale tutti gli Stati occidentali dovettero fronteggiare minacce – interne come esterne – alla propria sicurezza e stabilità politica. Il primo capitolo prende in considerazione somiglianze e divergenze tra i modelli di pubblica sicurezza dei due Paesi. Va ovviamente considerato il contesto complessivo della Guerra fredda che influì su tutti i Paesi del blocco atlantico – l’operazione Stay behind operò in Germania come in Italia -, ma Di Fabio sottolinea la fondamentale differenza che in Germania, nonostante la presenza di molti funzionari di pubblica sicurezza già di carriera durante regime nazista, mancò quella saldatura tra frange degli apparati di sicurezza e l’estrema destra che avvenne invece in Italia a partire dall’inizio degli anni Sessanta. Questo perché, postula l’A., gli esecutivi tedeschi mantennero un controllo più saldo sui servizi segreti, mentre in Italia si verificò uno scollamento a partire dalla trasformazione del Sifar in Sid (p. 19).

Di Fabio sottolinea quindi l’impatto dei movimenti del Sessantotto, «una forza sociale dirompente e transnazionale» (29). Frange di quel movimento si radicalizzarono, senza che questo tuttavia sia sinonimo di terrorismo o lotta armata. Ma se in Italia la violenza di estrema sinistra seguì di qualche anno le prime clamorose dimostrazioni eversive del neofascismo, in Germania essa fu intimamente legata al movimento sessantottino. Un’altra, importante differenza risiede nelle culture politiche dei due Paesi: «Erano, infatti, diversi gli immaginari legittimanti la lotta armata: un antifascismo militante in Italia e un antiautoritarismo e terzomondismo nella RFT» (p. 36). Infine, il contesto socio-politico, e in particolare le condizioni della classe operaia, condussero in Italia al movimento del ’77, fenomeno prettamente italiano e non globale come il ’68.

Il secondo capitolo si occupa dell’attuazione di provvedimenti normativi d’emergenza, che intendevano rispondere e reprimere gli atti di violenza ma, spesso, anche l’area del consenso esplicito – seppur senza azioni concrete – che in alcuni ambienti (università, fabbriche, carceri) circondava la lotta armata. In Germania, tra i vari atti legislativi si segnalava in particolare la legge antiterrorismo del 1976, che prevedeva tra l’altro la punibilità penale per la «propaganda o appoggio» ideologico al terrorismo (p. 43). I dipendenti pubblici – in particolare gli insegnanti – finirono nel mirino del governo: in caso di idee reputate anticostituzionali (tra cui il sostegno al partito comunista tedesco), si era passibili di licenziamento, ovviamente con estrema discrezionalità da parte delle autorità. Nel caso italiano, «è senz’altro vero», afferma Di Fabio, che negli anni Settanta lo Stato italiano non abbia fatto ricorso a «rotture costituzionali» per reprimere il terrorismo; piuttosto, «ha prevalso l’assenza di una giurisdizione speciale, dell’interdizione dai pubblici uffici – diversamente che nella RFT -, di un trasferimento dei poteri ordinari di polizia all’autorità militare, dell’emanazione di uno stato di guerra. Questa condizione, però, non equivale a una mancata restrizione delle libertà civili, che è avvenuta in numerosi casi. Non si trattò di una vera e propria sospensione dei diritti: l’emergenza terroristica ha prodotto, piuttosto, una maggiore delega dei parametri repressivi agli organi di PS e alla magistratura» (p. 54). Il biennio 1974-75 produsse così una serie di leggi antiterrorismo, non accompagnate però dalla necessaria riforma della PS e da innovazioni in campo penale e giudiziario. Nel 1982 vennero approvate le misure «premiali» per i collaboratori di giustizia, in un momento di crisi della lotta armata in Italia: «Incentivare il dissociazionismo e la delazione diventò, per lo Stato, il fulcro centrale su cui costruire una strategia antiterrorismo capace di far implodere i gruppi armati – già in una fase di grande indebolimento» (p. 63). L’omicidio Dalla Chiesa, nel settembre 1982, fece subentrare/sovrapporre il terrorismo mafioso a quello di matrice politica: le normativa antiterrorismo furono estese alla lotta alla mafia, rivelandosi funzionali anche a tale scopo.

Il capitolo terzo è dedicato ai modelli di sorveglianza delle polizie italiana e tedesca. Una prima differenza era sistemica: la stabilità dei vertici ministeriali nel caso tedesco, la cronica instabilità in quello italiano (p. 79). In Italia centrale era la questione della riforma degli apparati di sicurezza, che scontava arretratezze e sclerotizzazioni ormai anacronistiche e che, soprattutto, li rendevano inadatti a fronteggiare la nuova stagione della contestazione prima e, poi, della lotta armata.

Il volume si sofferma anche sui progressi tecnologici (con i primi rudimenti dell’informatica), che consentirono agli apparati di sicurezza di tenere sotto controllo un numero elevato di soggetti, con una disponibilità di dati senza precedenti. In particolare nel caso italiano, ciò permise un’arbitrarietà che impediva un controllo del potere politico a giudiziario sulle attività delle stesse autorità di polizia: i cittadini sottoposti a sorveglianza, di norma, non sapevano di essere sotto controllo, e sfuggiva loro qualunque elementare ipotesi di difesa legale.

Il quarto e ultimo capitolo si occupa della rete internazionale di polizie, e nello specifico della cooperazione italo-tedesca. L’approccio comparativo consente all’autrice di approfondire l’aspetto della professionalizzazione delle forze di PS, e contemporaneamente di indagare come lo scambio dei saperi abbia «contaminato» un’idea nazionale della democrazia stessa, e di cosa gli apparati intendessero per «sicurezza».

Questa collaborazione italo-tedesca si andò a calare in un quadro più ampio. Una serie di gravi atti terroristici (per esempio la strage di Monaco nel 1972) spinse i paesi occidentali a costituire alcuni «club» sulla sicurezza, considerando insufficiente la cooperazione già attiva attraverso l’Interpol, l’agenzia creata nel 1946. I servizi di sicurezza di alcuni paesi della Cee cominciarono a scambiarsi dati su elementi ritenuti pericolosi, normalmente senza che i rispettivi governi fossero informati. Così, Di Fabio intende anche «riflettere sulle criticità di dinamiche concorrenti, competitive, negoziali o egemoniche, nell’interazione tra gli organi di sicurezza nazionali. Ciò per esaminarne le resilienze, gli effetti e i riverberi sulla società, tra cui la produzione di immaginari securitari e di nuove rappresentazioni e resignificazioni del nemico interno» (p. 148).

Il volume di Di Fabio, attraverso l’attenta e competente analisi di fonti di varia provenienza (italiane, tedesche, americane) e di un’approfondita conoscenza della bibliografia internazionale, dipinge lo scenario nel quale si sono sviluppate le politiche di sicurezza non solo italiane in una fase di acuta conflittualità sociale, gettando una luce preziosa su meccanismi sinora rimasti nel cono d’ombra della pubblicistica o dell’indagine giornalistica, talvolta con mere finalità scandalistiche. Una storicizzazione di quei fenomeni, al contrario, risulta quanto mai necessaria anche considerando quanto tali tematiche risultino ancor oggi attuali.

(Filippo Masina)

 

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