-------- Un appassionato e vero amore per la natura: “Apprendista di felicità” di Pia Pera – Biblioteca Montepulciano Calamandrei
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Un appassionato e vero amore per la natura: “Apprendista di felicità” di Pia Pera

Pia Pera

Apprendista di felicità

Firenze, Ponte alle Grazie, 2019

 

Raccontando la sua esperienza di cura del giardino, seguendo il ciclo delle stagioni», dal 2006 al 2016 Pia Pera ha tenuto una rubrica mensile sulla rivista “Gardenia”, raccolta ora in volume. Questo apprendistato alla felicità può essere letto come un romanzo o una autobiografia, a compendio della breve intensa vita di Pia, scrittrice ed artista di orti e giardini.

Come scrive a proposito dell’arte del giardino:

Non so se qualcuno di noi osa pensare al suo giardino come a un’opera d’arte. Scommetterei però che anche il semplice atto di disporre pochi vasi di geranio, e poi arretrare di qualche passo per vederne l’effetto, sia un’esperienza estetica. Il giardino è la più effimera delle arti, eppure ancorata a quel cuore pulsante d’eternità che ha come sistole e diastole il ciclo delle stagioni.

Con una educazione familiare che l’ha resa attenta alla dimensione sociale e al bene comune, Pia è stata impegnata nella costruzione della rete degli Orti di Pace: orti terapeutici, carcerari, sociali: spazi dove ci si prende cura di fiori e ortaggi scoprendo al contempo nell’orto un luogo ideale dove intrecciare tutta una serie di scambi con la natura, l’ambiente e la comunità.

Ed il paesaggio delle colline toscane le ispira riflessioni che si amplificano alla tematica del rapporto con la natura:

C’è da perdersi nella contemplazione di certi paesaggi. Ce ne allontaniamo, incalzati dal da farsi; subito ci punge nostalgia. Da cosa nasce tanta felicità nel semplice guardare? Appaga, certo, il senso di armonia di fronte a un intreccio di forme, colori, luci e suoni, riuscito al punto di parere frutto di un disegno, opera d’artista. Non di un singolo, ma di una intera popolazione di gusto e intento condivisi. Il paesaggio testimonia la qualità o no dell’incontro tra uomo e natura. Spia e sintomo di incontro riuscito è il senso di pace, pienezza, gioia nel semplice essere al mondo comunicato dalla visione.

Ẻ una battaglia incessante quella della conservazione delle piante, soprattutto di fronte alla siccità che comincia a manifestarsi nel secondo decennio del nuovo millennio:

È stata dura, l’ultima estate, con l’acqua razionata e il pozzo che lasciava irrigare a singhiozzo, pochi quarti d’ora per volta, tra recuperi sempre più scarsi dalla falda esausta. Ce l’hanno fatta solo i più forti, ma pur così, quanti alberi ancora, quanti cespugli, e quanta speranza da quei giovani cipressi spuntati vigorosi tra le pietre. Perché basta un seme, un riparo, umidità condensata in gocce contro i sassi raffreddati dall’alba, e la vita ritorna.

E Pia si appassiona non solo alle specie più preziose, ma alle erbe selvatiche, le squisite ancorché spontanee erbe di campo, col loro sapore anarchico e libertario. E ricorda un’opera del 1614, Brieve racconto di tutte le radici, di tutte l’erbe e di tutti i frutti, che crudi o cotti in Italia si mangiano. In cui Giacomo Castelvetro, esule, spiegava agli inesperti inglesi, come lavare l’insalata – non scolando acqua e foglie tutto insieme, ma levando le foglie dopo avere lasciato depositare la sabbia in fondo al catino – e come condire -con abbondanza di sale prima e di olio poi.

E racconta di Lia, che ha recuperato la memoria della nonna mezzadra, virtuosa delle insalate in cui mescolava, a quanto coltivava in orto, le erbe raccolte nei campi. Dopo la guerra si sfamavano così, le contadine di cui racconta Moravia nella Ciociara. Lia ne ha raffinato gli insegnamenti: non mescola a casaccio, ma tiene ben separati, ad arte, i gusti della tavolozza. Tanti vanno per erbe, mi aveva detto mentre ce ne stavamo sedute, alla fragranza di una rosa, in quello che lei chiama il suo orto scapigliato, pochi però sanno orchestrarle in bouquet. Come nella musica e nella poesia, è questione di armonia, proporzione, ritmo e cadenza.

Ed ecco come descrive la misticanza che Lia le ha preparato:

sono bastate tre o quattro foglioline, di più avrebbe guastato, con l’acetosella lo stesso, mentre con la cicorietta ha abbondato così come col lattughino. I fiorellini azzurri della borragine li ha fatti cascare a pioggia per ultimi, sono tanto delicati, con quelli del nasturzio ha screziato il verde tenero del radicchio. I fiori del tarassaco me li ha fritti; il segreto, mi ha spiegato, è prendere il peduncolo e smuovere leggermente i petali sul pelo dell’olio, così restano leggeri e fragranti.

Questa descrizione di ricetta di insalata mi ha ricordato alcuni passaggi di Casalinghitudine di Clara Sereni, trovandoci la stessa premura per il quotidiano, la ricerca del bello e del buono nei piccoli gesti.

Una citazione di Resurrezione di Tolstoij sembra compendiare la filosofia di Pia,

«Invano gli uomini, ammucchiati a centinaia di migliaia in un piccolo spazio, si sforzavano di isterilire la terra su cui vivevano; invano la ricoprivano di pietre affinché nulla vi crescesse; invano strappavano anche il più piccolo filo d’erba e affumicavano l’aria col carbon fossile e la nafta; invano tagliavano alberi e scacciavano animali e uccelli. La primavera era sempre primavera, anche tra le mura della città. Il sole scaldava, l’erba – ove non la raschiavano via – cresceva di un bel verde vivido; e cresceva non solo nelle aiuole dei viali, ma anche fra le lastre di pietra».

Un esempio di resilienza, quello di Pia, anche nella lotta contro la malattia di cui ci ha lasciato splendida testimonianza in Al giardino ancora non l’ho detto (Ponte alle grazie 2016).

Ci piace che abbia provato la gioia di sapere che il papa apriva la porta alle erbacce, con la sua enciclica ispirata a Francesco d’Assisi, che cita:

«Poiché Dio si manifesta in ogni sua creatura, San Francesco chiedeva che nel convento si lasciasse sempre una parte dell’orto non coltivata, perché vi crescessero le erbe selvatiche in modo che quanti le avrebbero ammirate potessero elevare il pensiero a Dio autore di tanta bellezza».

E così commenta:

Non credo che un Papa abbia mai speso sinora la sua influenza per parlare di energie rinnovabili, raccolta differenziata, attenzione all’ambiente, risparmio energetico, riscaldamento globale, esaurimento degli oceani e delle terre coltivabili. In un gesto di pietas molto concreta per ogni creatura che abita questo pianeta. Arriveranno le sue parole a quel miliardo e più di cattolici in tutto il mondo? Si scuoteranno la pigrizia di dosso, i don Abbondio, ne parleranno ai fedeli? Allora sì che potremo sperare. Cambierà qualcosa solo quando ciascuno di noi comprenderà di avere un compito su questa terra: farsi custode del creato, proteggere la vita di piante animali e umani.

Fino all’ultimo Pia si interroga sulla sorte delle sue piante, degli alberi del giardino, del salice che risulta inestirpabile:

Quatto quatto, mimetizzandosi tra l’acero e le canne d’India, il salice si è fatto strada su su fino al cielo, e adesso la sua chioma vittoriosa mi ride in faccia: acchiappami qui se puoi. No, non posso, è inestirpabile ormai, abbarbicato al bordo in un modo che per farlo levare da lì dovrei stravolgere tutto, e per non vederlo risorgere con mille polloni dal ceppo tagliato dovrei avvelenarlo. Ha vinto lui. Cosa ne sarà dell’acero? E l’acqua dello stagno, se la succhierà tutta? E con la quercia, come si metterà? Lascio ai posteri la soluzione del rompicapo.

Altri se ne prenderanno cura, se avranno appreso la sua lezione di vita.

(Silvia Calamandrei)

 

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