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“MANGIA COME PARLI” DI CINZIA SCAFFIDI AL LAGO DI MONTEPULCIANO

 

COMUNE DI MONTEPULCIANO

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Giovedì 4 settembre alle ore 21,00, presso i locali “La Casetta” del Lago di Montepulciano, sarà presentato il libro

 

Mangia come parli. Com’è cambiato il vocabolario del cibo,

di Cinzia Scaffidi, Slow Food Editore, Bra, 2014

  

Apre ed introduce Susanna Cenni, deputata PD alla Camera dei Deputati, portavoce nazionale Ecodem e membro della Commissione Agricoltura.

 

Sarà presente l’Autrice, Direttrice del Centro Studi Slow Food Italia

 

Saremo lieti di avervi fra noi

 

 

Una breve introduzione…..

  

  

Le parole servono per parlare, si dice, ed è ovvio. Anzi è più che ovvio: dirlo, rubando un’espressione all’Autrice, a Cinzia Scaffidi, significa muoversi sull’orlo dell’abisso della banalità. Così sembra a prima vista. Però, se si guarda meglio, si vede che proprio perché le parole ci servono per parlare, il loro uso si intreccia con modi e momenti in cui le usiamo. Un occhio attento riesce a scorgere in esse i fili che le legano non solo ai contenuti che esprimono, ma a noi che le usiamo per parlare e per capire, al nostro modo di vivere, di orientarci. I fili a volte portano lontano, spesso si aggrovigliano. Ci vogliono calma e riflessione per seguirli e per sciogliere i grovi­gli. Sono le qualità che Scaffidi ha saputo e sa avere.
Ogni parola, quando l’Autrice svolge i fili dell’uso che se ne fa, porta di filo in filo a percorsi che arrivano lontano. Leggiamo la scheda dedicata a etichetta. Parola ovvia, ovvio che dovrebbe elen­care gli ingredienti di un prodotto, di un alimento. Ma basta così? Basta dire che quel formaggio è fatto col latte? Cinzia Scaffidi aiuta a capire che non basta e perché non basta.

«Dovremmo sapere come sono stati trattati gli animali che hanno prodotto il latte, cosa hanno mangiato, di quale razza sono, se è una razza del luogo in cui sono stati allevati o no, e dove sta questo luogo, insomma da dove viene il latte di quel formaggio, quali trattamenti ha subito, chi sono le persone che si sono incaricate della trasforma­zione del latte in formaggio, quale tipo di relazione hanno con quel lavoro, e via di questo passo.

 

Ci vuole ben altro che un secco elenco di ingredienti senza specificazioni, senza storia. Quella che Slow Food chiama l’Etichetta Narrante non è dunque solo un elemento di comunicazione, di promozione (di cibi e territori) e di educazione alimentare. È uno strumento di democrazia, di realizzazione del bene per i molti. Non è un caso se ogni volta che la società civile chiede nuove norme in materia di etichettatura, ovvero maggiori informazioni, sono sempre le grandi industrie a mettersi per traverso: non solo spesso a loro non conviene dare informazioni dettagliate, ma in più molte delle informazioni che il consumatore vorrebbe non le hanno. Si crea così una situazione un po’ paradossale, per cui gli alimenti industriali, non essendo più in grado di raccontare la propria storia (o nella certezza che il racconto della propria storia non creerebbe alcun tipo di appeal), vengono venduti grazie alla costruzione di altre storie, accesso­rie, che fabbricano un’identità alternativa per prodotti che hanno smarrito la propria. Ma questa non è informazione, è pubblicità.»

Quietamente la scheda porta a vedere che il tipo di etichet­tatura ha a che fare con le pressioni della grande industria ali­mentare, da una parte, dall’altra con la nostra capacità o, meglio, incapacità di esercitare un controllo vero su prodotti, produzione e produttori. È in gioco la nostra capacità di non essere sudditi rassegnati, consumatori passivi, ma attori consapevoli delle scel­te che facciamo. Vediamo un altro termine: sovranità.

«Il legame tra sovranità alimentare, agricoltura sostenibile e diritto al cibo ci fa comprendere che la situazione alimentare in cui si trovano i Paesi ricchi non solo è in qualche modo connessa alle condizio­ni in cui si trovano i Paesi poveri, ma condivide con quei problemi l’origine della soluzione, che non può che essere politica. Il diritto a un cibo culturalmente adeguato e sano va difeso oggi anche nei Paesi ricchi, nei quali la fame non è, da decenni, un problema; la diffusione di cibo prodotto industrialmente a basso costo e di bassa qualità nutrizionale sta creando vere e proprie epidemie di diabe­te, obesità, malattie cardiovascolari. Così come sta creando una so­stanziale perdita di identità e di legami con le culture cui le persone appartengono, con conseguente perdita di consapevolezza, capacità di scegliere, di esercitare un controllo sulla propria alimentazione e in definitiva perdita di democrazia. La difesa, o il ripristino, della sovranità alimentare avviene, a ogni latitudine, attraverso molti stru­menti, alcuni di carattere educativo – come il recupero delle competenze necessarie a identificare il cibo più adeguato -, alcuni di carattere politico – come l’avvio di misure che tutelino la produzione sostenibile e supportino gli agricoltori di piccola scala nel loro me­ritorio lavoro -, alcuni di carattere commerciale – come il sostegno alle vendite dirette e la promozione dei prodotti di qualità, siano essi lasagne o insetti.»

Insetti? Certo, ottime per esempio le formicone arrostite che possono mangiarsi nei locali popolari dalle parti del tempio di Asakusa a Tokyo e in tanti altri luoghi dell’Asia orientale. Ma leggiamo la scheda di Scaffidi e svolgiamo con lei i fili che si dipanano dalla parola.

«Ecco una parola interessante. Gli insetti avevano a che fare con il cibo solo come antagonisti dell’uomo, alle nostre latitudini. Erano quelli che attaccavano le colture, oppure quelli che provavano a cibarsi della frutta lasciata scoperta in casa o venivano attirati dall’aceto, o si producevano come per miracolo, con grandissimo disappunto della massaia di turno, nella farina o nel riso lasciati in dispensa per troppo tempo. Poi abbiamo iniziato a viaggiare e a leggere i report sulla situazione del cibo a livello globale e abbiamo imparato che tante popolazioni gli insetti li mangiano e in alcuni casi ne vengono fuori piatti che in fondo non ci dispiacciono. Qualcuno già prefigura futuri possibili, in cui gli insetti diventeranno voci ordinarie dei nostri menù. L’idea, dal punto di vista nutrizionale, ecologico ed energetico, è tutt’altro che disprezzabile: si tratta di proteine nobili derivate dalla trasformazione dei vegetali da parte di animali a basso dispendio energetico, dal momento che non dissipano risorse per la termoregolazione. Quello che raramente ci fermiamo a considerare, però, è: avremo – in quell’eventualità – abbastanza insetti per le nostre tavole? Li stiamo sterminando senza criterio nelle nostre campagne, al punto che molte specie in- settivore si sono trasferite nelle città, dove le dosi di pesticidi di sin- tesi sono limitate alle aree verdi – sempre più striminzite. Come ha fatto notare in una conferenza Francesco Panella, presidente dell’Unione nazionale apicoltori, fino a pochi anni fa chi d’estate viaggiava in autostrada lungo la pianura padana si ritrovava il pa- rabrezza e i fari ricoperti di insetti che avevano malauguratamente incrociato la loro rotta con il veicolo. Oggi il problema non si pone: le automobili attraversano quelle stesse regioni senza recar danno, si direbbe, e giungono a destinazione immacolate. Ma il punto è che il danno è già stato fatto, perché la chimica di sintesi di cui tanta nostra agricoltura si serve per combattere gli insetti “nocivi” combatte in realtà gli insetti e basta. Compresi gli insetti pronubi, o impollinatori, che sono essenziali proprio per l’agricoltura, prime fra tutti le api. L’agricoltura non funziona senza gli insetti, bisognerà che ce lo mettiamo in testa. Non tanto e non solo perché abbiamo in animo di mangiare insetti prima o poi, ma anche e soprattutto se abbiamo intenzione di continuare a mangiare polenta, frutta o carne»

Così di nuovo siamo sospinti a riflettere sui nostri modi vita, su come senza capirlo li abbiamo o ce li hanno cambiati, sulle scelte che condizionano la nostra alimentazione: scelte che i grandi produttori fanno nei loro interessi e non negli interessi dei più, di noi che dobbiamo alimentarci. Dal libro siamo portati a badare bene alle parole con cui parliamo di alimentazione e siamo quindi portati in modo concreto, leggero e persuasivo, parola per parola, a entrare nei meccanismi profondi che regolano la nostra vita sociale e personale. E così, infine, siamo invitati pressantemente a riprendere il controllo delle nostre scelte. Dalla riflessione sulle parole siamo sollecitati a ragionare sui fatti, sulle azioni da compiere per conquistare una cultura del cibo più con- sapevole della sbadataggine indotta dal consumismo.

Tullio De Mauro

 

Da Mangia come parli Com’è cambiato il vocabolario del cibo, di Cinzia Scaffidi, Slow Food Editore, Bra 2014

 

 

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