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L’Istituzione per il Giorno della Memoria: proposte bibliografiche

27 GENNAIO 2009: GIORNO DELLA MEMORIA

La nostra Istituzione già da tempo va raccogliendo in una collezione particolare, denominata “HEBRAICA”, materiale relativo alla controversa storia del popolo ebraico, dello Stato d’Israele, e della Palestina in riferimento alla situazione attuale e ai conflitti che purtroppo vedono contrapposti i due popoli ebreo e palestinese. I titoli sono al momento circa una quarantina, una goccia nel mare delle pubblicazioni sull’argomento: ma, anche dato il carattere della nostra Biblioteca, riteniamo (forse presuntuosamente) che la lettura e lo studio di questi testi, il cui numero naturalmente è destinato ad aumentare, possa essere un buon avvio per chi volesse approfondire un argomento di tanta attualità.

In occasione del Giorno della Memoria 2009 vogliamo segnalare due opere secondo noi basilari. Il primo è:

Marcello Pezzetti

Il libro della Shoah italiana. I racconti di chi è sopravvissuto.

Torino, Giulio Einaudi Editore, 2009

(dalla copertina)

“Più di cento sopravvissuti raccontano la loro storia, componendo un grande racconto corale dell’ebraismo italiano. Dal mondo di prima, l’infanzia, la scuola, alle leggi antiebraiche e alla conseguente catena di umiliazioni. E poi l’occupazione tedesca, gli arresti, le detenzioni, la deportazione. Complessivamente nel 1943 venne deportato circa un quinto degli ebrei residenti sul territorio italiano: oltre 9000 persone. Nella quasi totalità dirette ad Auschwitz. Ma chi erano gli ebrei italiani? All’inizio degli anni Trenta erano circa 45 000 persone; le comunità più consistenti erano quelle di Roma (oltre 11 000), Milano, Trieste, Torino, Firenze, Venezia e Genova. Comunità, in generale, fortemente integrate nel tessuto sociale del Paese, a tal punto che dopo la liberazione solo un’esigua minoranza dei sopravvissuti scelse, a differenza degli ebrei di altre nazionalità, di vivere altrove. Un mosaico di testimonianze che ha sui lettori un effetto dirompente proprio grazie al fittissimo intreccio di ricordi, traumi, sogni, rabbia, smarrimento, sensi di colpa, e persino speranza, dopo il ritorno alla vita.”

Recensione comparsa su “Il Piccolo”, quotidiano di Trieste, il 13 febbraio 2009, a firma di Daniela Gross.

TRIESTE. Un affare tra ebrei e tedeschi. Un eccidio remoto, consumatosi nel gelido cuore dell’est Europa, in paesini alla Chagall affollati di ebrei in palandrana nera e riccioli alle tempie. Per tanti anni la Shoah è stata raccontata così, lontana nello spazio e distante dalle nostre coscienze. A scardinare in via definitiva questa consolatoria rappresentazione, finora appena incrinata dalla memorialistica e dalla narrativa e, per certi versi, da «La vita è bella» di Benigni, giunge ora “Il libro della Shoah italiana – I racconti di chi è sopravvissuto” di Marcello Pezzetti (Einaudi, pagg. 490, euro 42,00). Il volume sarà presentato oggi, alle 16.30, alla Casa della musica dalla storica Tullia Catalan e dallo scrittore Livio Sirovich in un incontro promosso, in occasione del Giorno della Memoria, dall’Istituto Livio Saranz, dalla Comunità ebraica di Trieste e dal Dipartimento di storia dell’Università di Trieste. Interverranno, insieme con l’autore, il presidente della Comunità ebraica di Trieste Andrea Mariani, lo storico Giacomo Todeschini e Ariella Verrocchio, direttrice scientifica del Saranz. Nikla Panizon e Massimiliano Borghesi proporranno alcune letture delle testimonianze accompagnati al piano da Alessandro Carreri, che eseguirà una selezione di musiche composte nei Lager.
Frutto di un lavoro durato oltre quindici anni, “Il libro della memoria” raccoglie la testimonianza di oltre cento deportati ebrei italiani che raccontano il loro mondo prima delle leggi razziali, i rapporti con il fascismo, l’avvento della discriminazione e poi le persecuzioni, la deportazione, i campi di sterminio e il ritorno a casa. Marcello Pezzetti, esperto del Centro di documentazione ebraica, collaboratore di Yad Vashem, massimo conoscitore di Auschwitz, dal primo gennaio chiamato a dirigere il nuovo Museo nazionale della Shoah, compone così un affresco di rara potenza che di voce in voce, mischiando dialetti e inflessioni diverse ricostruisce lo sfaccettato mosaico dell’ebraismo italiano falcidiato dalla persecuzione nazifascista.
Un’ampia sezione (quasi il 20 per cento delle interviste) riguarda proprio la realtà ebraica di Trieste, colpita in modo feroce dalla macchina dello sterminio con un migliaio di deportazioni.

Marcello Pezzetti, come nasce l’idea di questa raccolta di testimonianze?
«Mancava finora una parte della storia che poteva essere raccontata solo da chi l’aveva subita sulla propria pelle. Per moltissimi anni le vittime avevano in modo inconscio affidato a Primo Levi il compito di narrare quanto accaduto, anche perché convinti che la società non avrebbe voluto ascoltarli. Poi, dagli anni Novanta, le cose piano piano sono cambiate. I testimoni si sono sentiti sollecitati a raccontare, in parte dalle richieste dei nipoti e dalle istituzioni ebraiche, in parte dal rinascere in Europa dell’antisemitismo».

Della Shoah si parla e si scrive molto. Cosa può raccontare una vittima che già non si conosca?
«Il primo stereotipo da sfatare è proprio che già si sappia. Della Shoah si sa di solito ciò che i media raccontano, per lo più in toni molto emozionali. Non si conoscono invece le ragioni che hanno portato alla deportazione e la realtà del meccanismo di sterminio. I testimoni ci raccontano proprio questo, ciascuno dal suo angolo visuale. E così facendo ci aiutano a comporre un quadro denso di novità. La specificità di Auschwitz, ad esempio, esce in modo devastante dalle pagine di Primo Levi, usate in tante scuole per raccontare la Shoah. Ma Primo non è mai stato a Birkenau, non ha mai vissuto all’ombra del crematorio. E non ha vissuto l’esperienza di essere deportato insieme alla famiglia, com’è stato per tanti altri».

Qual è dunque l’elemento che emerge con maggiore forza dalle nuove testimonianze?
«I sopravvissuti raccontano la distruzione del loro nucleo familiare: c’è chi ha perso una cinquantina di parenti… E ci riportano al meccanismo di morte e di annientamento che dopo la prima selezione all’arrivo ad Auschwitz si ripeteva ogni giorno nel campo. Per capire Auschwitz non dobbiamo soffermarci sulle condizioni di vita al suo interno. Dobbiamo comprendere che il quid di tutta quest’esperienza è la distruzione costante».
L’altra novità del libro è l’inquadramento della Shoah nel contesto italiano.
«È una dimensione che troppo a lungo è stata trascurata, rappresentando la Shoah come qualcosa di lontano, come una questione tra ebrei e tedeschi. Ma è stato un affare anche dell’Italia e degli italiani che prima hanno consentito le leggi razziali e poi hanno collaborato con i nazisti a tante catture. Si tratta dunque di una restituzione di responsabilità».

Veniamo a Trieste e ai testimoni di queste terre. Cosa contraddistingue il loro racconto?
«La realtà ebraica triestina non era un gruppo omogeneo e rappresentava una sorta di laboratorio del futuro. Gli ebrei avevano origini diverse – tedesche, greche, ungheresi, polacche – e ciascuno, anche il più umile, parlava almeno tre lingue oltre al dialetto che accomunava ricchi e poveri. Il loro spirito mitteleuropeo li accomunava più agli ebrei dell’est che agli ebrei romani. E alcuni ebbero il destino segnato proprio dalla loro triestinità».
Stiamo parlando della conoscenza del tedesco, che contribuì alla salvezza di Primo Levi?
«Certo. Moltissimi ebrei triestini parlavano tedesco e questo consentì loro di capire subito i meccanismi del campo e fece la differenza tra la vita e la morte. Nessuno però cercò di entrare nella galassia dei funzionari, nella zona grigia. Tutti rimasero dalla parte delle vittime». Cosa risponde a chi, come sentito spesso in questi giorni da parte negazionista, afferma che la testimonianza dei sopravvissuti non ha valore?
«Il negazionismo non è una posizione scientifica: è ideologia. Non si può pensare che tutte le vittime mentano. A decenni di distanza vittime che non si conoscono e non si sono mai parlate concordano nelle descrizioni e nei dettagli. E il loro racconto coincide nei particolari con le testimonianze e le documentazioni naziste. Addirittura con quelle dei costruttori di forni crematori».

Di grande interesse come guida è invece il seguente:

Andrea Molesini

Nero latte dell’alba. Libri che raccontano lo sterminio

Milano, Mondadori, 2001.

In questo libro Andrea Molesini afferma che “se la Shoah non fosse mai esistita, potrebbe essere un romanzo dell’Orrore dall’impianto epico, ma rischierebbe di non venire pubblicato: molti editori lo rispedirebbero al mittente perché gravido di eccessi e di crudeltà poco verosimili. Ma noi sappiamo che la Shoah è parte del nostro passato, e che rappresenta uno dei momenti più tragici del cammino millenario dell’Occidente. Quello che non sappiamo, invece, è cosa le quasi dodici milioni di vittime dei campi di sterminio nazisti avrebbero potuto dare alla nostra civiltà, in termini di arte, di scienza, di filosofia, e di semplice vita vissuta; non si può in alcun modo quantificare la perdita, ma solo contemplarla con costernazione. Però esistono i libri dei sopravvissuti, a dire che il tentativo di desertificare l’Europa, di renderla Judenrein, è nonostante tutto fallito. E’ a questi libri che ci affidiamo, oggi che diventa indispensabile riscoprire la memoria dello Sterminio (senza offenderla con ricostruzioni agiografiche o strumentali) per sottrarla non solo al tentativo di negazione totale dei revisionisti, ma anche all’informazione demandata quasi esclusivamente all’affabulazione filmica e al sentito dire giornalistico.” (pp. 52 segg.)

“Questo libro si rivolge agli insegnanti di scuola media e del biennio, ai bibliotecari, e a quanti desiderano suggerire ai ragazzi libri che raccontano la Shoà, lo sterminio degli ebrei avvenuto durante la Seconda Guerra Mondiale. Concepito per essere un agile strumento di lavoro, illustra le più recenti elaborazioni teoriche sul tema e propone una serie di schede dettagliate su racconti, romanzi e testimonianze che affrontano, da diversi punti di vista, uno degli eventi più tragici di tutta la nostra Storia.” (dalla 4a di copertina)

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