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L’Istituzione a Vicenza: “L’Avvocato e il Segretario” di Francesco Sansovino, a cura di Piero Calamandrei

Presentazione del libro di Calamadrei dedicato a Francesco Sansovino

Mercoledì 19 Ottobre 2016 11:57

A Vicenza, la Biblioteca Comunale di Montepulciano protagonista culturale
I manoscritti originali conservati nell’Archivio di Montepulciano

pierocalamandrei-librosansovino650Mercoledì 19 ottobre, a Vicenza, la Biblioteca Comunale di Montepulciano è stata al centro della presentazione del libro “L’Avvocato e il Segretario” di Francesco Sansovino, a cura di Piero Calamandrei, Ronzani Editore

La presentazione si è tenuta alle 18.00 nel luogo più simbolico e più bello della città veneta, la Sala degli Stucchi di Palazzo Trissino. Tra gli interventi in programma, anche quello di Silvia Calamandrei, nipote di Piero e Presidente della Biblioteca – Archivio comunale, intitolata all’insigne giurista e Costituente.

Fondamentale è anche il ruolo che la Biblioteca ha avuto per l’edizione del libro: la documentazione originale, relativa al lavoro di Piero Calamandei su Francesco Sansovino è conservata infatti presso l’Arcivio di Montepulciano in fascicoli che contengono manoscritti, lettere, bozze, appunti e note.

“Il primo fascicolo – spiega Francesca Cenni, collaboratrice della Biblioteca –  appartiene alle carte di Piero che sono arrivate grazie alla donazione di Silvia e Gemma Calamandrei alla biblioteca di Montepulciano, mentre il secondo fascicolo è pervenuto all’archivio grazie alla donazione fatta da Matelda Cappelletti delle carte del padre Mauro che riguardavano Calamandrei. Il terzo, intitolato da Calamandrei stesso “Francesco Sansovino. Dialogo dell’avvocato”, risalente al 1941, conserva alcuni dattiloscritti e manoscritti. Tutti i manoscritti e dattiloscritti contengono note autografe di Piero, ripensamenti, correzioni, appunti, riferimenti. Il secondo fascicolo – sottolinea Cenni – conserva invece il manoscritto originale vero e proprio della prefazione che conta trentatre carte e il primo dattiloscritto, di quarantatre carte con correzioni autografe di Piero”.

Il bel volume, pubblicato dalla Casa editrice Ronzani di Vicenza, è corredato da uno scritto di Paolo Carta, una postfazione di Silvia Calamandrei e dalla nota archivistica di Francesca Cenni.

Ecco il testo presentato a Vicenza da Silvia Calamandrei:

Corredato da alcuni originali provenienti dal nostro archivio di Montepulciano presentiamo questo elegante volumetto che in copertina riproduce una chinadiferro di Giulio Pellegrini ispirata ad una caricatura di Calamandrei dell’amico Piero Bernardini, illustratore dei Colloqui con Franco e dell’Elogio dei giudici.

Si tratta di un instant book del 1942, che ripropone un classico, sia pur minore, e che offre il destro per alcune considerazioni sul presente.  E’ un esemplare della collezione in ventiquattresimo che Pancrazi e Calamandrei hanno concepito per Le Monnier negli anni quaranta, un’edizione  per la quale i due amici hanno discusso a lungo sulla scelta della denominazione e degli autori da inserire. In quello stesso anno 1942 esce un altro trattato di ambiente veneto, quello di Alvise Cornaro sulla Vita sobria, curato da Pancrazi. Chissà che i due personaggi, il Sansovino e il longevo Cornaro (uno slow food ante litteram?) non si siano incrociati in una fase in cui nelle corti e negli staterelli italiani si vanno accumulando una serie di trattati di divulgazione precettistica sulle buone maniere, le buone abitudini, il modo migliore per nutrirsi, scrivere lettere o fare il cortigiano. Il nostro Rinascimento sedimenta ricette di civiltà e costume che poi torneranno utili altrove alla costruzione delle monarchie assolute, mentre il bel paese si avviva verso il declino.

Pensiamo a Baldassar Castiglione e Il Cortegiano, pubblicato nel  1528,  uno dei libri più venduti del XVI secolo, tradotto in Francia e libro di culto di Francesco Primo. Il Castiglione vi condensa la propria esperienza  ad Urbino alla corte dei Gonzaga, mentre trent’anni dopo uscirà a Venezia (1558) il Galateo di Monsignor della Casa,  formatosi  nella tumultuosa Roma papale, nelle corti e nella diplomazia della Repubblica veneziana (Pancrazi lo aveva curato per Le Monnier nel 1940)

E  la Repubblica di Venezia è il perno di questa ricca produzione editoriale e delle raffinate edizioni che circolano in tutta Europa ed offre ospitalità ad una serie di personaggi reduci dagli alti e bassi della Roma papale dopo il sacco del 1527 e delle corti principesche in un’Italia sulla via del tramonto, ma che ha tanto da diffondere e comunicare nei mille rivoli del manierismo artistico e culturale che si irradiano verso altre pari di Europa.

Ė la Venezia delle prime edizioni a stampa, in cui Sansovino è attivissimo artefice; ed è forse questa la competenza che di lui Calamandrei meglio apprezza.

Pancrazi e Calamandrei  cercano un retroterra nella trattatistica rinascimentale, in un’Italia fascista precipitata in una guerra invisa. Forse questi repéchages servono a prendere una boccata d’aria fresca e a sfuggire il fosco presente come era avvenuto nelle passeggiate organizzate assieme negli anni Trenta per i borghi della Toscana, dell’Umbria e del Lazio? Oppure ragionare sul Sansovino offre il destro di alludere agli intellettuali del proprio tempo, come fa Calamandrei a proposito di avvocati e letterati?

Il tornante 43-44  segnerà anche le scelte della collana in 24mo, innalzandola a proposte più esplicite :  Calamandrei cura il Beccaria  dei Delitti e delle pene, lavorando alla prefazione nell’esilio di Colcello in una intensa meditazione sui nuovi orizzonti della legalità e pubblicato nella sua Firenze liberata; Pancrazi cura La servitù volontaria di de la Boétie, dedicandolo a Leone Ginzburg, martire a Via Tasso.

Nella nuova Italia da ricostruire i due amici continuano a collaborare, non solo sul fronte culturale ed editoriale:  scambieranno intense lettere nella fase della Costituente; mentre Piero conduce la sua battaglia nelle diverse Commissioni e in aula nella formulazione della nuova Costituzione Pancrazi verrà incaricato della sua revisione linguistica, impegno non trascurabile a garantirle quella chiarezza che sembra oggigiorno difficilmente riproducibile nei testi di revisione.

Nel 2008 un convegno tenutosi al Senato sotto l’egida di De Mauro fu proprio dedicato al linguaggio della Costituzione, ricordando il contributo di Pancrazi, ufficialmente autore di una serie di proposte di revisione linguistica. Altri furono forse coinvolti in questa “ripulitura e semplificazione”, come Concetto Marchesi e Antonio Baldini, ma sono di mano di Pancrazi le osservazioni raccolte in un faldone della Costituente.[1]

Commentava Sebastiano Messina in quel convegno a proposito della nostra carta fondamentale: “per stenderla sono stati usati 1.357 vocaboli, dei quali 1.002 appartengono al vocabolario di base italiano, quello di massima trasparenza. E non solo: questi 1.002 vocaboli hanno occupato il 92,13 per cento del testo, con una lunghezza media per frase inferiore alle 20 parole. Abbiamo quindi un testo semplice, scritto con parole semplici e nella struttura più semplice possibile. Giustamente, è stato scritto dal professor De Mauro che questo è uno dei pochissimi testi italiani, probabilmente insieme alla Lettera a una professoressa della Scuola di Barbiana, comprensibile dalla stragrande maggioranza della popolazione, perlomeno quella che ha l’uso della parola”.

E aggiungeva de Mauro: “Ė una Costituzione che nasce dall’espressione e dal filtro delle volontà delle grandi forze politiche e ideali rappresentate nella Costituente e tradizionali in Italia. Da questo punto di vista, il bellissimo discorso di Calamandrei cerca di spiegare quante voci del nostro patrimonio ideale nazionale che c’è (anche se ogni tanto dubitiamo che sussista) risuonano e si intrecciano nella fattura della Costituzione. E dunque la Costituzione meriterebbe anche dai giuristi aggettivi più cauti. È breve, 9.300 parole o poco di più, una trentina di cartelle dattiloscritte, e soprattutto grande cura nella scelta delle parole. Questo non è casuale. Voi sapete come sono andate le cose: i 75 hanno elaborato un testo, questo testo è stato portato in Aula (nel gennaio 1947, mi sembra) perché venisse discusso, se possibile migliorato, e parallelamente era stato chiesto a Pietro Pancrazi, che era un bravissimo letterato, molto stimato, all’epoca un “contemporaneista”, diremmo oggi, di migliorarlo stilisticamente. Poi il testo dei 75 e le proposte di Pancrazi sono arrivate in Aula, e l’Aula pochi mesi dopo ha approvato la Costituzione nella forma che conosciamo. Nella tradizione italiana, prima e dopo la Costituzione, forzare la mano nella direzione del vocabolario di base, cioè del vocabolario di massima trasparenza, del vocabolario in cui si dice io vado e non io mi reco, si dice compito (tornerò un attimo su questa parola) e non ufficio (l’ufficio è un’altra cosa, è quello dove si va, o non si va, secondo Brunetta), forzare la mano nella direzione delle parole di più larga comprensibilità è una sfida alle abitudini non tanto del troppo bistrattato ceto politico, ma dell’assai poco bistrattato, e bistrattando invece, a mio avviso, ceto intellettuale”.

Ecco, la collaborazione e la sintonia tra Pancrazi e Calamandrei approda fino alla redazione della carta fondamentale dell’Italia democratica: è il culmine di un’amicizia nata da affinità letterarie, dall’attenzione dedicata dal critico del Corriere della sera anche ad un testo privato come quello delle Balze di San Lazzaro, edito da Piero nei primi anni Trenta dopo la morte del padre Rodolfo. Un’amicizia che si nutre di scambi culturali ma che sbocca in un comune impegno civile.

Ė bello ricordare questa collaborazione nel sessantesimo dalla scomparsa di Calamandrei, e molto opportunamente l’editore ha voluto illustrare il volumetto con foto dall’album dedicato alle passeggiate degli anni Trenta. Uno spettacolo di letture e musica dedicato a questo tema si sta preparando per la cura di Nino Criscenti e Tomaso Montanari e l’Accademia Filarmonica Romana, e la prima è prevista per la primavera prossima al teatro Olimpico di Roma, con anteprima a Montepulciano. I tanti semi gettati negli anni del fascismo fioriscono e maturano i loro frutti nella stagione della libertà e della democrazia, in un sentimento di appartenenza saldato da un patto tra uomini liberi.

[1] Progetto di Costituzione – Osservazioni; 02.1947- faldone-busta 80 -1-130 cc. cartaceo. 


 

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