L’importanza della Rivoluzione Culturale: “Red legacies in China…” a cura di Jie Li e Enhua Zhang
Complessità della memoria affrontando i fantasmi del passato
Red legacies in China, Cultural afterlives of the Communist Revolution, a cura di Jie Li e Enhua Zhang, Harvard University Press, 2016 [Eredità rosse in Cina, sopravvivenze culturali della rivoluzione comunista]
I saggi riuniti nel volume sono rielaborazioni di interventi ad un convegno ad Harvard del 2010 sulla eredità e la sopravvivenza della cultura comunista nella Cina d’oggi e nella memoria globale: si tratta non tanto di fantasmi del passato, ma di operazioni di rievocazione e rivisitazione attraverso opere artistiche, narrazioni, musei, esposizioni; collezioni di memorabilia, creazione di parchi a tema e luoghi della memoria, circuiti di turismo rivoluzionario.
L’approccio è il medesimo dell’ampio saggio di Barbara Mittler sulla cultura della Rivoluzione culturale (Cambridge 2013) nella misura in cui si sottolinea l’ambivalenza, anzi la multivalenza del messaggio trasmesso in una memorialistica sfaccettata. La fase acuta della Rivoluzione culturale, quella dell'”attacco al quartier generale” e dell’insorgenza della gioventù ribelle, ha difficoltà ad essere liquidata nel paradigma dei “dieci terribili anni”e riemerge sia pure attraverso un uso pop e consumistico del culto di Mao.
A questo approccio storiografico siamo abituati rispetto alla memoria della Grande Guerra, rivisitata ormai da decenni al di fuori dei miti e analizzata nella iconografia e nei lasciti culturali, nonché in un secolo di reinterpretazioni, monumenti e cerimonie commemorative.
Per la Rivoluzione culturale, nonostante censura ed oblio imposti dall’autorità del PCC dopo averla valutata una volta per tutte in una risoluzione del 1981, continuano ad accumularsi memorie e testimonianze in una sorta di museo diffuso che percorre tutta la Cina. Non è quel museo unico che avrebbe voluto lo scittore Ba Jin nel 1986 per evitare che la storia dovesse ripetersi, e questo non solo perché la censura lo impedisce, ma perché la memoria è troppo frammentata e divisa tra ripudio e nostalgia.
La memoria non è la stessa per le vittime e i carnefici, ma neppure tra i diversi partecipanti, tra la élite intellettuale colpita e le masse, come fa rilevare Jie Li nel saggio sui musei e memoriali dell’era maoista, passando in rassegna i musei virtuali (archivi informatici), le collezioni di reperti messe assieme da privati, i video e montaggi fotografici e i cimiteri delle Guardie Rosse dove sono sepolte le vittime delle lotte tra fazioni che entrambe si richiamavano a Mao.
Tra i saggi tutti interessanti segnaliamo in particolare quello di Denise Y. Ho sulla vicenda del museo-sito del Primo Congresso del PCC a Shanghai, ora reperto sopravvissuto dentro lo spazio turistico-commerciale ricostruito di Xin Tiandi e soggetto a continue riorganizzazioni in base alle successive riscritture della vicenda del PCC e del ruolo di Mao nel Partito: un bel grattacapo per gli archivisti, curatori e accompagnatori, ora per fortuna soccorsi da una presentazione video continuamente aggiornabile.
Tante notizie curiose si ricavano dal saggio di Zhu Tao Edificare in grande, dedicato ai dieci grandi edifici progettati per il decimo anniversario della fondazione della repubblica, il più gigantesco dei quali è l’Assemblea del popolo, costruita in un solo anno con una mobilitazione straordinaria di architetti e poi di popolo sotto la personale supervisione di Zhou Enlai. Una mobilitazione ad ondate, una marea umana, come quelle che evocherà Zhang Yimou nello spettacolo di apertura delle Olimpiadi del 2008, la cui regia viene analizzata da Andy Rodekohr sottolineando il suo culto della folla, o meglio della massa organizzata negli spettacoli e in film come Hero.
Eccellente il saggio sulla letteratura di David Der-wei Wang, con preziose osservazioni su Mo Yan, Yu Hua e Yan Lianke, ma non solo. Illuminante la disanima delle opere di Wang Guangyi e soprattutto della serie La Grande Critica con la rivisitazione pop e warholiana dei manifesti della rivoluzione culturale: L’esperienza visuale socialista come identità culturale di Tang Xiaobing ci aiuta a comprendere come non si tratti di una demistificazione o di una mera critica al consumismo, ma di una ambivalenza che valorizza una identità culturale, un patrimonio iconografico imprescindibile.
L’ambiguita dell’immaginario evocato dai manifesti rivoluzionari, divenuti oggetto di collezione in Cina ed in Occidente, è analizzata anche da Harriet Evans: colorati e festosi, risvegliano i sogni di una gioventù ribelle, che si sentiva protagonista non solo in Cina e che vedeva Mao come un padre bonario che le affidava il mondo con questa citazione/
ll mondo è vostro quanto nostro, ma, in fin dei conti, è a voi che appartiene. Voi giovani siete dinamici, in piena espansione, come il sole alle otto o alle nove del mattino. In voi risiede la speranza. Il mondo appartiene a voi. A voi appartiene l’avvenire.
Il vecchio leader sapeva blandire i giovani ed è difficile scalfirne l’icona. Secondo il saggio conclusivo del sinologo australiano Geremie Barnmé, il maoismo è stato parte costitutiva del discorso rivoluzionario globale e del pensiero del Ventesimo secolo e nei decenni successivi le sue complesse eredità, linguistiche, intellettuali, carismatiche, sistemiche continuano ad avere un mercato. Si tratta peró di una eredità sfruttata anche dal partito dominante e Barmé si chiede se la retorica pro maoista sia l’unica forma di critica di sinistra a disposizione.
(Silvia Calamandrei)