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La perdita della memoria collettiva: “Sepoltura soffice” di Fang Fang

Fang Fang,

Ruan Mai [Sepoltura soffice]

Pechino, People’s Literature Publishing House, 2016

 

Segnalato un anno fa da Maria Rita Masci esce ora in francese la traduzione del romanzo di Fang Fang Ruan Mai, l’espressione cinese per indicare una sepoltura soffice, senza bara, direttamente nel terreno . il francese titola Funerailles molles, l’inglese Soft burial, ma l’espressione ha connotazione negativa in cinese perché questo tipo di sepoltura impedirebbe la reincarnazione.

Fang Fang (1955), scrittrice affermata in Cina, pluripremiata, ha affrontato con questo romanzo del 2016 il tema tabù della memoria del passato, risalendo all’indietro ben oltre la Rivoluzione culturale ed anche il “Grande balzo in avanti” e le carestie che ne seguirono: è la ferocia e la brutalità della riforma agraria che sta nel patto d’origine della nuova Cina comunista che viene messa in luce, sepolta nelle memorie dei discendenti e dei sopravvissuti con meccanismi di rimozione e di oblio. Una donna salvata dalle acque nei primi anni Cinquanta, segnata da un’amnesia post-traumatica per tutta la vita, è il personaggio cardine attorno alla quale ruota la vicenda, intrisa di mistero.

Nella Cina del nuovo millennio che si è arricchita e che ha visto  riemergere strati privilegiati e consumi di lusso c’è una riscoperta dei valori del passato che venivano custoditi dai clan aristocratici nelle loro dimore raffinate, arredate da preziosi dipinti, porcellane ed arazzi in un labirintico susseguirsi di cortili e padiglioni riservati alle tante spose e concubine. Ci sono architetti che ne ristudiano lo stile e speculatori immobiliari che vogliono restaurarle esplorando aree della Cina profonda tra montagne e foreste. Il figlio della donna smemorata protagonista partecipa ad una di queste spedizioni e trova le tracce che consentirebbero di ricostruire vicende drammatiche e dolorose. Un’intera famiglia di proprietari terrieri andata incontro alla morte volontaria e ad una frettolosa sepoltura pur di evitare l’onta e le sevizie di un processo popolare preliminare alla distribuzione delle terre e dei beni tra i contadini poveri. Quei processi di massa organizzati dai quadri comunisti nelle campagne per segnare il passaggio di potere e consolidare nuovi gruppi dirigenti locali, smantellando i clan agrari, che c’erano stati descritti con tanta efficacia documentaria da William Hinton in Fanshen (1966, Einaudi 1969), un classico della letteratura maoista.

Nel frattempo gli studiosi occidentali hanno rimesso in discussione l’equità di quella riforma evidenziandone gli eccessi tanto in termini di numero di esecuzioni che di classificazione arbitraria di tanti contadini medi tra gli agrari feudatari da eliminare: in particolare Frank Dikőtter in The Tragedy of Liberation (2013),  che smonta il canone che vuole che il primo decennio del regime comunista cinese sia stato l’età dell’oro, quella della “Nuova democrazia”, improvvisamente spezzato dall’accelerazione impressa da Mao dopo il 1956 alle trasformazioni rivoluzionarie. Secondo Dittőker l’alleanza di Nuova democrazia, che dà garanzie agli imprenditori privati e alla piccola borghesia, nonché agli intellettuali che rientrano dall’estero  è un mero espediente tattico, e comincia ad essere scalfita dalle campagne di persecuzione lanciate fin dai primissimi anni 50, con il pretesto della corruzione, dello spionaggio a favore di Taiwan o di attività controrivoluzionarie in genere. Per non parlare dei disastri della riforma agraria, che porta alla liquidazione fisica di più di tre milioni di proprietari terrieri, spesso contadini medi o ricchi denunciati come grandi feudatari, al fine di scompaginare le élite tradizionali nei villaggi e cooptare nuovi beneficiari della redistribuzione delle terre e del potere.

Anche all’interno della Cina c’è stato chi si interroga sulla riforma agraria e sulla distruzione del tessuto agricolo tradizionale, come Zheng Shiping, protagonista tra i tanti delle giornate di Tien An’men, e poi lungamente in carcere, autore di una serie tradotta in inglese da Andrew Clark. Con lo pseudonimo di Yen Fu (Uomo selvatico) l’autore insegue le labili tracce del nonno paterno, suicidatosi nel 1951, all’epoca della riforma agraria, scrivendo Requiem per un proprietario fondiario, Cronaca della riforma agraria  e della distruzione di una famiglia. La memoria di questo nonno, patriarca del clan in un villaggio collinare del Sud della Cina, era andata completamente dispersa, anche perché i familiari pagarono cara la classificazione in “proprietari fondiari” per origine, diventando bersaglio di ogni campagna di ricerca di possibili controrivoluzionari o elementi di destra. Il padre di Zheng Shiping, così come la madre, figlia di un comandante militare del Guomindang, avevano fatto di tutto per rinnegare quelle origini, impegnandosi in prima fila nella riforma agraria ed in altre mobilitazioni, ma invano. Ed è stato il nipote a ricostruire le vicende del clan ancestrale, elevando una elegia alla cultura armoniosa tradizionale che avrebbe imperato nel Sud della Cina prima che quel tessuto venisse sconvolto dalla guerra, dalla guerra civile e dalle squadre inviate nei villaggi a individuare i bersagli da colpire.

Anche Fang Fang si è ispirata ad una storia vera, raccontatale da un’amica, ed ha creduto di poterla romanzare, scoprendo un coperchio che il regime preferisce non sollevare. Il libro, pur avendo avuto riconoscimenti dopo una pubblicazione regolare, è stato oggetto di critiche accese ed è stato ritirato dalla circolazione. E dire che gi stessi protagonisti della indagine per ricostruire il passato della donna smemorata si interrogano se ne valga la pena, e se non sia meglio che l’oblio copra ferite ormai irreparabili.

Il tema dell’amnesia ricorre spesso nella letteratura contemporanea cinese, assieme all’interrogativo se valga la pena di risvegliare gli addormentati nella casa di ferro, come si chiedeva Lu Xun.

(Silvia Calamandrei)

 

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