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Il libro della settimana…dall’11 al 16 settembre 2011: “Storia della mia gente” di Edoardo Nesi

A distanza di dieci anni dalla distruzione delle Torri Gemelle di New York ci sembra opportuno ricordarla segnalando non uno dei tanti libri sull’evento, ma su una delle conseguenze “provinciali” dei cambiamenti di cui quella catastrofe può essere considerata un simbolo. Si dirà: “ma che c’entrano le Torri Gemelle con la crisi di Prato?” Ebbene, siamo del parere che quel che è successo a Prato, la scomparsa drammatica dei due edifici allora orgoglioso manifesto della nostra prosperità, la lunga serie di guerre e rivolte fino alla cosiddetta Primavera Araba del 2011, siano solo alcune delle sfaccettature della fine di un’epoca, che l’Occidente sembra non riesca a fronteggiare con quell’intelligenza che si sentiva certo di possedere.

Lasciamo ai lettori la discussione sull’argomento.

 

EDOARDO NESI

STORIA DELLA MIA GENTE

Milano, Bompiani, 2011

 

Storia della mia gente, vincitore del premio Strega, è un saggio autobiografico, che ripercorre l’ascesa e il declino di una famiglia di imprenditori tessili toscani.   

Edoardo Nesi, autore e protagonista ci racconta la storia della sua gente, degli industriali pratesi che come lui si sono trovati ad affrontare una crisi economica mai vissuta prima.

Il libro, sospeso tra il romanzo e l’autobiografia, non ha una narrazione lineare, poiché i pensieri e i continui flashback dell’autore sono collegati tra di loro in un disegno caotico di cui si conosce solamente il punto di partenza segnato da una data. Citazioni, divagazioni e il succedersi di digressioni rinviano a più riprese lo scorrere del tempo narrativo dell’opera rendendola sempre più articolata, permettendo comunque al lettore di immergersi in una storia personale ed intima.

Il racconto parte dal settembre del 2004, quando i Nesi sono costretti a vendere l’azienda tessile di famiglia.

Questo evento drammatico sarà vissuto come un momento di svolta nella vita dell’autore, da sempre divisa tra essere un imprenditore e allo stesso tempo sentirsi un intellettuale amante della letteratura soprattutto americana.

È  lui stesso che confessa: “mentre lavoravo nel lanificio avevo sempre desiderato-ardentemente desiderato-di poter fare solo lo scrittore nella vita”. E così la vendita dell’azienda che poteva essere considerata come la possibilità di realizzazione dei suoi progetti di scrittore lo destabilizza e lo getta in una profonda crisi esistenziale. 

É bene sapere fin dall’inizio che l’autore è figlio di industriali ma nonostante tutto si sente profondamente legato alle sorti di tutta la sua gente. Così proprio lui che si trova in una posizione privilegiata rispetto ai tanti operai licenziati e cassaintegrati, prova un peso ancora maggiore, si percepisce il suo sentirsi responsabile nei confronti non solo di una comunità, di un’azienda ma di tutta la sua famiglia. 

Fin dal titolo Nesi ci vuole ricordare questa sua originaria appartenenza, dichiara con orgoglio di far parte di un mondo di artigiani che grazie al duro lavoro e alle capacità imprenditoriali, si affermarono come industriali e crearono benessere per loro ma soprattutto per le generazioni successive.

Nesi ricorda di essere appartenuto a quella jeunesse-dorée italiana del boom economico, figli di ricche famiglie che potevano permettersi una vita spensierata “leggera e lucida come la seta” dove “i sogni non avevano confini e il futuro era un gran regalo brillante”. Il suo destino sarebbe stato quello di continuare l’attività di famiglia, diventare imprenditore e sentirsi padrone del suo destino, se le nuove regole del mercato non avessero stravolto tutto.

Nesi non è un esperto di economia ma capisce che la globalizzazione a Prato non ha portato quel benessere tanto auspicato da esperti economisti e non è stato quel fenomeno positivo di opportunità da cogliere, bensì un uragano che ha travolto e accomunato in un unico e tragico destino padroni e operai e impiegati.

Nel libro, la crisi non viene descritta con numeri e percentuali, grafici e tabelle, ha nomi e cognomi, volti tristi di uomini e donne che hanno perso il lavoro e che devono essere raccontati.

Il sentimento principale che spinge Nesi a scrivere questo libro è la rabbia che prova nei confronti di un destino di decadenza che sembra irrimediabilmente segnato per tutti. Questo senso di impotenza lo rende furioso soprattutto contro quel mondo di politici impreparati ed economisti accademici da cui si sente tradito che non sono riusciti a trovare soluzioni e prevedere le conseguenze di questo cambiamento epocale.

La concorrenza tra le imprese nel mercato di Prato non sarà riequilibrata dalla mano invisibile teorizzata dalle fallimentari teorie liberiste, le aziende chiuderanno schiacciate da una concorrenza sleale, quella cinese.

Anche il mondo  clandestino è visto con l’umanità di chi ha creduto e crede ancora che nel nostro Paese le leggi della Costituzione, il garantismo delle leggi per il diritto e la tutela del lavoro potranno costituire una difesa per quell’esercito silenzioso ed invisibile di ricattati malpagati e sfruttati.

E così Prato diviene paradigma della crisi economica nazionale fatta di omissioni e mancato rispetto delle regole dove il vantaggio economico ed il profitto a tutti i costi hanno prevalso su qualsiasi senso di correttezza e di onestà.

In questo libro la vicenda della famiglia Nesi si incontra con quella di una intera comunità orgogliosa della sua storia fatta di lavoro, di affari, di competizioni, di fatica, di guadagni, di piccole e grandi vittorie che vuole continuare a lottare unita per superare la crisi e riprendere a lavorare.

Il merito di questo breve romanzo è quello di raccontare con chiarezza una storia vera, concreta che non può lasciarci indifferenti. Nesi ci rende partecipi del dolore che si prova ad essere scippati del proprio lavoro, dello smarrimento profondo che si sente quando non si riconosce più il mondo che ci ha cresciuti nel benessere e nella felicità.

La forza di questo libro è il suo essere una narrazione autentica e vera che riesce a trasportare il lettore a Prato, nelle sue strade e tra la sua gente. C’è comunque un messaggio di speranza:la riscoperta dell’unità di una comunità come  l’unica via di possibile rinascita.

(Brando Mazzolai)

 

 

 

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