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Uno sguardo inedito sul P.C.I.: “La Provvidenza rossa” di Lodovico Festa

Lodovico Festa

La provvidenza rossa

Palermo, Sellerio,  2016

 

      Molto promosso nelle recensioni, forse perché l’autore appartiene ormai al mondo della carta stampata (“Il Foglio”), La provvidenza rossa di Lodovico Festa utilizza la struttura del noir come pretesto per raccontarci il Partito comunista milanese della fine anni Settanta.

      Festa lo conosce bene, essendone stato dirigente all’epoca, passando successivamente dalla FGCI, alla Federazione, alla Lega delle cooperative, e può descriverci nei dettagli i meandri di una macchina efficiente e articolata, dalle strutture centrali alle sezioni, alle  associazioni di massa e sindacali affiliate.

      Se lo si legge come un saggio, l’informazione è ampia e dettagliata e spazia anche sui rapporti internazionali con l’URSS e i paesi dell’est, nella fase in cui il PCI comincia a sganciarsi ma è ancora interno al movimento comunista internazionale: i ricevimenti al consolato sovietico e i viaggi in Bulgaria sono ancora eventi non trascurabili negli equilibri complessivi. Alcuni recensori hanno anche elogiato la descrizione della Milano dell’epoca, delle sue trattorie e dei suoi bar, dei personaggi tipici del mondo comunista milanese. Siamo prima della “Milano da bere” e c’è una vena nostalgica, la memoria di una struttura funzionante quasi militarmente, in cui l’autore ha fatto il suo apprendistato. E’ una struttura autosufficiente, parallela a quella statale, tant’è vero che l’indagine su una fioraia comunista assassinata viene condotta con grande abilità dai probiviri del Partito, mentre la polizia annaspa nel buio.

      Insomma il doppio Stato è quello del PCI, che riesce a controllare non solo i suoi militanti, ma anche i compagni di strada, e ad evitare che la verità sul caso possa nuocere al Partito.

      L’indagine sul delitto si dipana per più di cinquecento pagine, e non viene alimentata dalla suspense, ma piuttosto dai tanti ritratti dei comunisti d’epoca e dalla rete di relazioni che si irradia attorno al Partito nella società civile, nell’amministrazione cittadina, nelle iniziative culturali, nei piani regolatori, ecc. Tanti personaggi sono probabilmente riconoscibili da chi ha vissuto quegli anni a Milano (il che farà la fortuna del libro) ed alcuni massimi dirigenti sono presentati per nome e cognome, come quel Giorgio Napolitano i cui “atteggiamenti assai rotondi” aiutavano “confusi esiti politici”: purtroppo, e si sente qui una partecipazione dell’autore, Giorgio Amendola, “il più schietto e coraggioso esponente dell’ala modernizzante del PCI”, “era sempre più vecchio e stanco”, e “spaventava vedere che il suo naturale erede avesse così poca fibra politica”.

      Non mancano le battute divertenti, come lo squash paragonato al “tennis in una stanza sola, come direbbe il compagno Stalin”, e i ritratti psicologicamente per lo più funzionano. Oltre alla suspense e  ad un autentico andamento da giallo c’è un altro elemento che manca, ed è la società reale di quei cupi anni di piombo. E’ come se  i  funzionari di partito ed i suoi militanti vivessero in un mondo a parte, autoreferenziale e rassicurante, non avvertendo i sommovimenti in corso nel corpo sociale e non presagendo le voragini che si annunciavano.

(Silvia Calamandrei)

 

 

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