Un ricordo della scrittrice Yang Jiang
Corrispondenze con Yang Jiang
di Silvia Calamandrei
Il 26 maggio del 2016 la scrittrice Yang Jiang se n’é andata in punta di piedi, alle soglie del suo 105mo compleanno. Coetanea della fondazione della repubblica cinese, aveva celebrato il suo centenario nel 2011, con tanti omaggi in patria e dal mondo, dove era nota per le sue opere letterarie, teatrali, saggistiche e di traduzione.
Nel giugno di quell’anno ho avuto finalmente l’occasione di renderle visita di persona nel suo piccolo appartamento di Pechino, dopo aver intrattenuto con lei solo rapporti epistolari. La rivista Conférence ha ospitato un resoconto di quell’incontro e mi ha cortesemente chiesto di ricordare la scrittrice e traduttrice al di là della breve nota di cordoglio già pubblicata.
Sono felice di accogliere l’invito di Christophe Carraud perché mi offre l’occasione di ripercorrere gli scambi di lettere con Yang Jiang e ricostruire un incontro approdato oserei dire ad un’amicizia, sia pure nella distanza generazionale e culturale che ci separava.
Vorrei subito sottolineare il privilegio di aver conosciuto questa finissima intellettuale, formatasi in Cina e all’estero, tra Oxford e la Sorbona, che ha animato la vita culturale della Shanghai degli anni Trenta e Quaranta assieme allo sposo Qian Zhongshu, grande letterato e scrittore, autore del romanzo La fortezza assediata, un ritratto vivace di quegli anni e di quegli ambienti intellettuali, progressisti, modernisti e cosmopoliti.
Nel 1949 la coppia si mette a disposizione del nuovo potere comunista, e lavora alacremente nel settore delle lingue straniere, con traduzioni e cure editoriali. Si trova dunque a vivere tutte le vicissitudini degli intellettuali le cui competenze sono utilizzate ma considerate con sospetto dal Partito comunista cinese, specialisti orgogliosi della nuova indipendenza nazionale, patriottici, ma anche gelosi delle proprie conoscenze e della propria autonomia di giudizio. Costoro vengono sottoposti a campagne d rieducazione, dapprima blande e poi sempre più intense, che culminano nell’attacco alle “autorità accademiche borghesi” della Rivoluzione culturale.
Yang Jiang nella nuova Cina si è concentra soprattutto sui lavori di traduzione, dedicando un grande sforzo all’apprendimento come autodidatta dello spagnolo per affrontare il Don Chisciotte. Ma dopo l’esperienza traumatica della Rivoluzione culturale, durante la quale il manoscritto della sua traduzione di Cervantes viene sequestrato come “materiale nero” delle Guardie Rosse, si scopre una vena narrativa di memorialista che caratterizzerà l’attività dell’ultima fase della sua vita.
È in questa veste che l’ho conosciuta ed ho cominciato a tradurre in italiano alcuni suoi scritti . Si era agli inizi degli anni Novanta, ed ero rimasta incantata del suo approccio ironico nel narrare le traversie delle esperienze di rieducazione e persecuzione vissute assieme al marito, sia nella Scuola quadri[1] “7 maggio” in cui erano stati spediti, che poi negli anni Bing Wu e DingWei[2] , i più intensi della Rivoluzione culturale.
In Occidente in quegli anni si traduceva tanta letteratura cinese “delle ferite e delle cicatrici”, fiorita negli anni Ottanta a rievocare drammaticamente le vicissitudini patite nella Rivoluzione culturale. La leggerezza e lo stile fiabesco di Yang Jiang, novella Alice spaesata in un mondo dell’assurdo, e la densità dei suoi riferimenti ai classici della letteratura cinese e mondiale, era una boccata d’aria fresca e un arcobaleno scintillante lanciato a collegare passato e presente, Oriente ed Occidente[3].
Avendo presentato il suo lavoro sulla rivista italiana “Linea d’ombra” (1992) le scrissi chiedendole l’autorizzazione a tradurre le sue memorie della Rivoluzione culturale ed altri brevi saggi e racconti. Le spiegavo di aver avuto una infanzia pechinese negli anni Cinquanta e di essere poi tornata in Cina negli anni Settanta, entusiasta della Rivoluzione culturale, piena di illusioni, che i suoi scritti contribuivano ulteriormente a sfatare.
Inviata attraverso l’Associazione cinese degli scrittori, non avendo io il suo indirizzo diretto, la lettera ci mise un certo tempo a raggiungerla. L’avevo firmata con il mio nome cinese, Jia Yihua, che, oltre ad echeggiare vagamente il cognome Calamandrei rievoca foneticamente le relazioni tra l’Italia e la Cina. Finalmente ricevetti la sua gentile risposta, che avviò uno scambio di corrispondenza e al contempo una condivisione di sentimenti e pensieri:
December 17. 1992
Dear Jia Yihua,
Your kind and interesting letter dated October 15 reached me only this morning after a long delay via the Writers’ Association. It gives me a great pleasure to read the account of your “ideological vicissitudes”. I have read your favourable review of my books and am grateful for you appreciation of them. I shall be much honoured to have my booklet Bingwu yu Dingwei Jishu made accessible to Italian readers by Einaudi. I fully authorize you as its translator. The question of copyright can be waived; the gift of some books on modern Italian literature will be welcome.
La lettere prosegue con qualche indicazione bio e bibliografica, sempre all’insegna della modestia, ed il preannuncio di una antologia in tre volumi che sarebbe uscita nel 1993. Viene accluso il testo del Manto dell’invisibilità, che le avevo richiesto, un’operetta che ben compendia la sua filosofia di vita: rendersi invisibili, restare low profile, evitare fama ed onori per restare autentici e fedeli a se stessi
Da notare la liberalità con cui Yang Jiang trattava la questione dei diritti d’autore. In effetti la casa editrice Einaudi la retribuì con un dono di libri di letteratura italiana della cui spedizione dovetti incaricarmi personalmente da Bruxelles, dove allora risiedevo. Avevo avuto qualche difficoltà a recuperare il pacco di Einaudi alle poste belghe, perché la casa editrice aveva fatto l’invio a Yang Jiang ma al mio indirizzo belga, ed il mio nome non compariva,ma alla fine ero riuscita a rispedire in Cina con l’indirizzo ben scritto in cinese. Nella lettera di accompagnamento le avevo raccontato di queste piccole complicazioni e forse fornito altri dettagli sulla mia persona, accludendo una foto. Del felice arrivo del pacco mi diede conto in un’altra lettera, del 25 marzo 1993, in cui dava notizie anche della salute precaria del marito, reduce da una grave operazione:
March 25 1993
Dear Mrs. Sylvia Calamandrei,
Many thanks for your interesting and intimate letter and the photo of your distinguished self. It is really a pleasure to be better acquainted with you. I should have answered much earlier had it not been for the fact that my husband has been hospitalized since the beginning of last month and had a major operation which was quite a success. He is recovering rather rapidly but still weak and needs looking after.
The books you kindly asked Einaudi to send me arrived safely, and your little adventure did have an happy ending. My husband reads Italian; I only read English, French and Spanish, but I shall try to read your grandfather’s book, especially the story you recommended. These two other books have not arrived yet.
I am grateful for your taking me so seriously. Your translation of my booklet will certainly improve the original by your golden touch.
Yours sincerely
Yang Jiang
Nel complimento finale, oltre alla modestia c’è anche l’orgoglio della traduttrice, che sa che la traduzioni, almeno le sue, possono aggiungere una patina dorata all’originale.
Il libro, pubblicato da Einaudi nel 1994 con il titolo Il tè dell’oblio, ebbe una buona accoglienza in Italia ed ancora anni dopo circolava tra le letture, anche scolastiche. Nel 2008 fui invitata a presentarlo in una scuola media di Bari, dove i ragazzi realizzarono anche un DVD a lei dedicato, ispirandosi alla sua filosofia daoista.
Colsi l’occasione per scriverle dandole notizie dei cambiamenti nel frattempo intervenuti nella mia vita: rientrata dal 2005 in Italia, avevo assunto la presidenza della Biblioteca Archivio di Montepulciano, intitolata a mio nonno Piero Calamandrei e mi ero dedicata alla cura degli archivi e delle memorie di mio nonno e dei miei genitori. Era un modo di spiegare il mio interesse per gli sforzi memorialistici ed archivistici, da lei intrapresi dopo la scomparsa negli anni Novanta del marito e della amatissima figlia. Le citavo ad esempio il volume Una famiglia in guerra (Laterza 2008), curato dal giovane storico Alessandro Casellato, sui complessi rapporti intergenerazionali tra il liberalsocialista Piero e Franco e Maria Teresa, i miei genitori, comunisti e partigiani nella Resistenza romana. Tra gli scritti di mio padre c’era un’autobiografia scritta su richiesta del Partito, come si usava all’epoca, sul modello bolscevico invalso anche in Cina:
“In this book there is a Self-biography written by my father on request of the Party and in commenting it I used your book Xizao just to show the complex relationship between the intellectuals and the Party and to explain how and why a translator of GHide and Proust like my father could write using a language and a structure that had nothing to do with his real self. I beg your pardon if I am writing too much about what I am doing, but it is just to let you understand the reasons for my interest ubn you work”.
Di Xizao[4], il romanzo sulle prime blande campagne di rieducazione degli anni 50, era appena uscita la traduzione inglese sotto il titolo Baptism (alludendo al lavacro dalle colpe che il processo di epurazione evocava), e mi proponevo di trovare un editore italiano, senza trascurare i suoi più recenti libri Women San (Noi tre), dedicato al ricordo del marito e della figlia e alla raccolta di meditazioni Zou dao ren sheng bien shan (Arrivata alla soglia estrema della vita[5]).
Stavolta sui diritti d’autore Le chiedevo chi contattare:
“Last time you were kind enough to ask only for some Italian books; but now we are in the new century and as you write, the God of money is prevailing on the Lord of Heaven“.
Con la lettera le spedivo anche il DVD confezionato dagli studenti di Bari, che in copertina utilizzava nei sottotitoli la parola “totalitarismo”. Fu questo probabilmente a far scattare i sospetti della censura cinese, intensificata alla vigilia delle Olimpiadi di Pechino 2008. Yang Jiang non lo ha mai ricevuto, ed ho dovuto poi portarglielo di persona quando ho potuto finalmente incontrarla nel 2011.
Da quel momento le comunicazioni tra noi sono passate attraverso l’assistenza della sua amica e biografa Wu Xuezhao, che mi ha scritto fornendomi un indirizzo mail, suggerendomi di inviare i messaggi come allegati. Mi ero fatta l’idea che si trattasse di una giovane assistente esperta nelle nuove tecnologie informatiche e solo a Pechino nel 2011 ho scoperto che era una coetanea dei miei genitori, giornalista all’Agenzia Nuova Cina negli anni 50, ed ora biografa accreditata di Yang Jiang. Ma la storia di questo incontro l’ho già raccontata e Christophe Carraud ha avuto l’amabilità di farla conoscere ai lettori francesi.
Sono grata a Carraud anche per avermi reso possibile di offrire a Yang Jiang, per il suo centesimo compleanno l’edizione francese dell’Inventario della casa di campagna di Piero Calamandrei a Yang Jiang: il suo francese , quando mi ha accolto nell’appartamento della residenza dell’ Accademia delle Scienze, continuava ad essere fresco ed accurato come se fosse appena rientrata da Parigi.
Concludo con il suo ultimo messaggio scritto dopo il nostro incontro di giugno, il suo regalo più bello:
Beijing, China
28 June 2011
Dear Mrs. Silvia Calamandrei.
Thank you for your kind visit. I am still wrapped up with the love and friendship we both share.
During Mussolini’s dictatorship, we in China used to say “Mussolini is always right, especially when he is wrong”. You in Roma may have said that too!
I am sure I shall enjoy the book you kindly gave me as my birthday present. I hope I could find time to translate some few pages
With my best wishes
Yang Jiang.
[1] Six récits de l’école des cadres, trad. par Isabelle Landry et Zhi Sheng, Christian Bourgois éditeur, Paris, 1983.
[2] Sombres nuées : chronique des années Bing Wu et Ding Wei, trad. par Angel Pino, Christian Bourgois éditeur, Paris, 1992.
[3] Va notato che l’elaborazione di Yang Jiang e di Qian Zhongshu sulla Rivoluzione culturale continua ad essere oggetto di discussione in Cina e all’estero, tra gli intellettuali cinesi: è del giugno 2016, dopo la morte di Yang Jiang, una discussione tra professori cinesi al riguardo, con critiche e difese, interrogandosi se avessero fatto abbastanza per resistere in quegli anni.
[4] Pubblicato in Cina nel 1988. Traduzione francese Le bain, Christian Bourgeois 1991.
[5] Devo dire con dispiacere che questi libri non sono stati tradotti in italiano, salvo alcuni passaggi comparsi su riviste.
In Italia è stata la rivista “Lo straniero” ad ospitarne le traduzioni, grazie all’attenzione e alla sensibilità di Goffredo Fofi, che già dirigendo “Linea d’ombra” negli anni Novanta aveva ospitato le mie note e traduzioni sulla scrittrice. Lo stesso vale per il francese, dove “Conférence” ha tradotto alcuni brani, ma gli editori non hanno dato seguito alla pubblicazione dei testi di Yang Jiang. Un vero peccato che la finezza e la qualità della sua scrittura sia sottratta al godimento dei lettori, sia in Italia che in Francia.