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Un profonda testimonianza umana: “Al giardino ancora non l’ho detto” di Pia Pera

Pia Pera

Al giardino ancora non l’ho detto

Firenze, Ponte alle Grazie,  2016

Un libro intenso di meditazione, ora in libreria, che Serena Dandini aveva preannunciato in ottobre su “Io donna” definendolo “bellissimo e struggente” e che in quarta di copertina l’editore Luigi Spagnol dichiara avrebbe preferito non dover pubblicare: il libro “non esisterebbe se una delle mie scrittrici preferite non si trovasse in condizioni di salute che non lasciano campo alla speranza”. L’amica Pia Pera, che ci ha insegnato tanto su giardini, paesaggi e natura, racconta con coraggio, leggerezza e intelligenza l’esperienza dolorosa della perdita della salute, tanto più acuta perché la distacca dal contatto concreto con la terra, le piante, le radici, le sementi, a cui prodigava attenzioni e cure. In primavera l’avevamo ringraziata per la bella recensione dell’erbario di Piero Calamandrei sul Domenicale del Sole 24ore, accostandolo al giardino di Virginia Woolf ed ora le siamo tanto più grati di aver voluto commentarlo nonostante le sue energie dovessero fare i conti con tante altre priorità dell’esistenza. E Paola Roncarati ci fa notare come nella recensione si parlasse dell’eredità della cura del giardino dopo la scomparsa di Virginia, un segnale che Pia lanciava agli amici e che ci era sfuggito. Ma soprattutto dobbiamo ringraziare Pia di queste pagine intense e dolorose che ha voluto condividere e della grazia con cui racconta sentimenti e pensieri sempre immersa ed in dialogo con il suo giardino, le piante, la natura, gli animali e gli affetti. In apertura la poesia della Dickinson I haven’t told my garden yet che dà il titolo all’opera; in chiusura la poesia di Stevenson Bed in Summer, [A letto d’estate], la cui ultima quartina suona:

Ma non vi pare brutto, col cielo così chiaro e azzurro, quando si vorrebbe tanto giocare

Dovere andare a letto di giorno?

Sul Domenicale del 14 febbraio Nicola Gardini, recensendo il “ libro splendido” e definendo la poesia una “protesta contro l’incomprensibile necessità di sparire dal mondo”, ne ripesca una propria versione, offrendola come un fiore alla giardiniera scrittrice:

Su, ditemi, non è forse un peccato

Che quando il sole non è tramontato

Ed io avrei tanta voglia di giocare

Uno si debba addormentare?

Mentre le energie fisiche si riducono ed il giardino è contemplato ed agito attraverso intermediari, Pia attinge alle tante sue risorse di pensiero, di cuore e di cultura, e centellina la sua meditazione in una scrittura raffinata e sobria. E’ il momento dei bilanci e degli interrogativi, che assediano del resto tutti coloro che avanzano negli anni. Mentre “il vento è disegnato dai petali del susino che cadono leggeri” [un’ immagine giapponese], Pia annota: “Non ha senso rimpiangere ora vie non percorse. Tormentarsi immaginando che la vita avrebbe potuto essere più ricca. Avevo questa idea: vivere la pace e la serenità emancipandomi dal volere sempre di più, dal bramare ogni cosa. Era un ideale di frugalità, di opposizione all’avidità dominante. Desideravo un mondo meno lacerato da conflitti [il progetto degli Orti di pace!], ove si imparasse a sentirsi felici di quanto si ha, assaporarlo, apprezzarlo. Questa continua a sembrarmi un’aspirazione degna.[….]Fortuna che un poco almeno ho avuto la disciplina di meditare, fortuna che un poco almeno sono andata contro la corrente: perché così, pur nella tempesta, pur nel collasso delle energie, non è escluso possa trovare un punto, non importa quanto minuscolo, di appoggio”. Un libro ricco di poesia, dalla buona poetessa che ci ha dato una versione di Pia de’ Tolomei memorabile, assieme a Gianna Nannini, ma un libro ricco anche di ironia, nella descrizione dei tanti incontri con improbabili guaritori. Ed infine un omaggio ai tanti maestri e maestre che l’hanno guidata e la confortano nel suo cammino, come Vita Sackville-West, di cui riprende la biografia scoprendo di quando, afflitta dall’artrite e con il corpo che comincia a tradire “il giardino non è più la preoccupazione principale, diventa il teatro dell’esistenza. La prospettiva è cambiata, e il giardino, all’inizio corpo a corpo quotidiano, comincia a recedere nello sfondo, diventa parte di un mondo da cui si viene costretti a separarsi”. Ma Vita non cede, è quella che ha scritto la poesia The Garden, che termina coi versi I will believe in April while I live, I will believe in Spring. Commenta Pia toscanamente: “Non da lei sacrificare un solo istante al pensiero di morte villana”.

(Silvia Calamandrei)

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