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Un italiano del Novecento intuisce la Cina del Duemila: il “Viaggio in Cina 1907-1908” di Giovanni Vacca

Tiziana Lioi (a cura di)

Viaggio in Cina 1907-1908. Diario di Giovanni Vacca

Roma, L’asino d’oro edizioni, 2016


Bisogna essere davvero grati al figlio Roberto Vacca per aver conservato e a Tiziana Lioi per aver riordinato e presentato le tante scritture e documentazioni relative al viaggio in Cina di Giovanni Vacca agli inizi del secolo scorso. Ci consentono di scoprire un approccio fresco e non supponente alla Cina alle soglie della modernità da parte di un italiano curioso, intraprendente e culturalmente ferrato sia dal punto di vista scientifico che letterario e linguistico. Un italiano sui generis, che si muove contro corrente ma non si fa scoraggiare dalle difficoltà, prima tra tutte quelle del finanziamento della sua missione, da parte di autorità e istituzioni nazionali chiuse in un gretto provincialismo o in grette rivalità accademiche.

Con un background matematico che lo spinge a incuriosirsi della scrittura ideografica cinese, ispirato anche dai commenti di Leibniz sui nessi tra il sistema binario e i segni divinatori dell’I Ching, Vacca si appassiona allo studio del cinese che approfondisce all’università di Firenze con Puini. Il suo spirito pragmatico lo spinge a cercare un contatto diretto col paese, e trova l’appoggio dell’antropologo Mantegazza, presidente dell’Associazione per l’esplorazione dell’Asia centrale e dell’Estremo Oriente, e di Ludovico Nocentini, professore di lingue e letterature dell’Estremo Oriente dell’Università di Roma. Grabndi difficoltà invece ad ottenere pubblici finanziamenti, tanto che soetrrà personalmente gran parte delle spese di viaggio.

Siamo agli albori degli studi sinologici italiani e Vacca ne è un antesignano ed un promotore al ritorno, annoverandosi tra i fondatori dell’ISMEO, quell’istituto di studi sul Medio e l’Estremo Oriente  il cui prezioso patrimonio bibliotecario ed archivistico rischia di andare disperso dopo la messa in liquidazione nel 2012.

Già nell’avventura coraggiosa e nelle relazioni di Vacca durante e a seguito della permanenza di due anni in Cina, si colgono i tratti distintivi della prudenza italiana a muoversi nella dimensione asiatica e la mancanza di supporto a cui saranno condannati tanti valenti studiosi (si pensi a Giuseppe Tucci, che sarà allievo di Vacca, e che ha una rinomanza internazionale senza riscontro in una continuità di struttura culturale di sostegno.in Italia).

Il diario di viaggio di Vacca, le sue relazioni e le lettere che scambia con accademici e intellettuali italiani (anche Prezzolini e Papini) sono di grande interesse e fascino sia per la concretezza descrittiva dell’approccio, sia per la mancanza di pregiudizi e la grande apertura verso la civiltà e la popolazione cinese. Spirito laico e di formazione socialisteggiante, Vacca cerca un rapporto paritario e conquista amicizie tra i cinesi, osservandone la spinta verso la modernizzazione e auspicando che l’Italia riesca ad inserirsi nelle relazioni commerciali e diplomatiche che incoraggino questa antica civiltà ad aprirsi allo sviluppo tecnico e scientifico.

“La verità.-scrive nella sua Relazione di viaggio– è che l’Europa e l’Asia non sono due continenti separati, ma un continente solo, che felicemente è stato chiamato Eurasia, e che le due civiltà che si sono svolte all’estremo oriente e all’estremo occidente di quest’unica terra, si completano a vicenda e sono legate da vincoli assai più molteplici e diretti di quanto generalmente si crede”.

C’è voluto forse più di un secolo perché questa consapevolezza si facesse più diffusa.

Apprezzabile l’apparato di note e la bibliografia finale, così come l’abilità di Tiziana Lioi di raccordare e sintetizzare quanto non pubblicato; forse una indicazione più minuziosa delle fonti archivistiche avrebbe giovato.

(Silvia Calamandrei)

 

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