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UN INSOLITO CALAMANDREI: “CODICI E ROSE” DI PAOLA RONCARATI E ROSSELLA MARCUCCI

Domenica 5 Luglio 2015, alle 16.30, presso il Lago di Montepulciano, sarà presentato il volume “Codici e rose. L’erbario di Piero Calamandrei tra storia, fiori e paesaggio” di Paola Roncarati e Rossella Marcucci, Firenze, Olschki, 2015.

ll testo, oltre a lumeggiare la multuiforme attività di Piero Calamandrei, è anche una bella testimonianza di botanica storica. Per questo si è scelto di presentarlo al Lago di Montepulciano, importante oasi naturalistica, e da tempo gestito con particolare attenzione ai temi ambientali.

Per una descrizine completa del programma, si veda la locandina allegata.

“In queste appena trascorse giornate primaverili i campi attorno al villino di San Lazzaro, verdeggianti ed in fiore, offrivano tanti tanti degli specimen colti dal giovanissimo Piero nelle sue escursioni botaniche, parte sulle colline attorno a Firenze, parte nelle campagne di Montepulciano e nei boschi di Poggiano. Enormi fioriture di margherite, un esemplare delle quali il piccolo Piero a quattro anni dona alla zia Annina Damaride, in un primo esercizio botanico imbalsamato nell’album dei ricordi che la sorella del padre raccoglie, e nelle cui pagine i sonetti si alternano ai mazzetti di fiori seccati.

Nell’alternarsi delle stagioni, ripercorrendo i luoghi che furono cari a lui e ad i suoi famigliari, e soprattutto a lui e all’amatissima Ada, si ritrovano i fiori, ciclamini e violette, che venivano inseriti nelle lettere d’amore. Nell’archivio di Montepulciano, dove si conservano le carte più private del giurista,  che Paola Roncarati ha consultato attenta ed appassionata con l’aiuto dell’archivista Francesca Cenni, è depositata  la quasi quotidiana corrispondenza giovanile con Ada ed i tanti fiori disseccati che Piero le inviava: oltre a ciclamini e violette poliziani anche tanti fiori “esotici” di montagna raccolti nelle pause della Grande Guerra, a respirare profumi diversi da quelli delle cannonate. Ad ingentilire la corrispondenza dalla zona di guerra, tante testimonianze botaniche e tante descrizioni di una flora e di una natura diversa, che il capitano Piero Calamandrei esplora ed osserva con passione di naturalista, accompagnato da letture di Maeterlink e di Fabre.

Piero viene educato all’osservazione naturalistica fin dagli anni dell’infanzia, non solo in ambito scolastico fiorentino, e grazie alla particolare tradizione toscana, come ben ricostruito dal saggio di Paola Roncarati, ma anche dalla passione scientifica positivistica del padre Rodolfo, che riuniva contadini e familiari sull’aia, a contemplare distesi per terra il firmamento e a riconoscere le costellazioni, e che forzava le balze di tufo di Montepulciano creandovi un giardino pensile di cipressi e corbezzoli. E non solo dai Calamandrei, ma anche dalla famiglia materna dei Pimpinelli, l’amore per le specie vegetali doveva nutrirlo: se l’etimologia dei cognomi indica qualcosa, sia la calamandrea che la pimpinella sono erbe dei campi! La calamandrea nasce tra i sassi ed è un erba amarissima, mentre la pimpinella, aromatica, è ricordata perfino dalla mistica Ildegarda di Bingen. Per darsi un tocco di nobiltà e crearsi uno stemma qualcuno dei Calamandrei attinse al greco, per definirsi uomini di penna (Kalamos e andros), ma in verità è nell’erboristeria che Piero potrebbe trovare le sue radici…

Se si legge l’Inventario della casa di campagna, scritto negli anni più cupi della ultima guerra, dal 39 al 41, a cercare le proprie radici, si capisce quanto l’infanzia trascorsa in campagna a contatto con piante, insetti, uccelli ed altri animali o le passeggiate nei boschi e nelle colline attorno a Firenze con la madre Laudomia abbiano contato nella formazione della personalità e della sensibilità di Piero, favorendone la capacità di osservazione ma anche una vena poetica di simbiosi con il mondo naturale che si trova rispecchiata nelle sue opere letterarie, soprattutto nelle favole giovanili.

Mi è caro in questo Settantesimo della Liberazione, in cui si rieditano opere di Piero C. che ne riflettono il percorso politico e civile, poter presentare un lato essenziale della sua personalità, talvolta trascurato, che Paola Roncarati e Rossella Marcucci hanno contribuito a farci conoscere. Il Calamandrei che voleva essere seppellito con il suo erbario, come le suppellettili delle tombe etrusche, il Calamandrei della farfalla Vanessa, che lo veniva a visitare nel suo studio del Poveromo. E’ quel Piero giocoso che inventa la favola della Primavera , la fata che il re Barbogio non riesce a tenere prigioniera, perché riempie la prigione di fiori, farfalle ed uccelli, scatenando le risate liberatorie dei sudditi. L’amore e gli eterni cicli naturali come antidoti alla malinconia e alla disperazione delle vicende umane.

E’ una vena fortemente presente nell’Inventario, ma anche nella favola scritta nel 1950 sulla fine dell’umanità a seguito di una esplosione atomica. Lo scritto, intitolato Come finì questa storia, pubblicato in una raccolta intitolata Futuro postumo,si allarga ad una riflessione più ampia sul senso dell’esistenza, sulla vita e la morte, di cui si trovano tracce già nelle discussioni con l’amico Luigi Russo, riferite nel Diario, nell’Inventario della casa di campagna,  ed in frammenti e appunti in cui Piero si misura  con  le visioni religiose o storicistiche per privilegiare una dimensione leopardiana ove la sola certezza sta nella natura: la specie umana è un accidente, se non una malattia del pianeta, ed è destinata all’autodistruzione: il mondo va avanti senza gli uomini, e animali e piante riprendono il sopravvento. L’energia vitale si trasferisce in altre specie: e grandi farfalle varcheranno gli oceani. Una sorta di fiducia panteistica nella sopravvivenza della biosfera tempera l’ansia apocalittica di un mondo raggelato dalla Guerra fredda.

In tanti momenti drammatici del suo percorso di vita Piero si rifugia nella riflessione sui cicli della natura: anche nei contrasti che vive con il figlio riesce a sublimare considerando lo scontro generazionale come un fenomeno naturale:

A sentire certi giovani che ieri si credevano ragazzi enunciare certe loro idee che ti percuotono come uno schiaffo si prova noi vecchi lo stesso dispetto che provo quando vedo in un campo all’improvviso fiorito ai primi di febbraio, il primo mandorlo. Quasi si vorrebbe noi anziani che i mandorli per fiorire prendessero prima con noi l’appuntamento: e così ce la prendiamo coi giovani che fioriscono per loro conto, senza chiederci il permesso e senza aver preso le preventive istruzioni (1938).

Questa consonanza con la natura che allevia l’esistenza è sicuramente stata consolidata dagli studi liceali di botanica e dall’esercizio classificatorio dell’erbario. Ma la suggestione del titolo scelto dalle curatrici per l’erbario , “Codici e rose”, ci spinge anche su un’altra pista.

 Mettere le etichette alle piante, classificarle per specie con il nome latino e volgare, indicare il luogo dove sono state colte, fissarle delicatamente alla pagina, è un’operazione che ricorda anche quella dell’archiviazione di un fascicolo, di un caso vivente sottoposto alla  scienza giuridica, di una vicenda umana da classificare sotto la fattispecie legale. Rigore scientifico classificatorio, aderenza alla legge, ma libertà dello spirito interpretativo, che cum-patisce nel difendere una causa e nel giudicare: il codice e la rosa, come nel  logo dell’avvocato Piero Calamandrei.

I due rigorosi e densi saggi di Roncarati e Marcucci aiutano ad inquadrare l’erbario dal punto di vista storico biografico e da quello scientifico-botanico. Preziosa la postfazione che Francesco Cocozza ha apposto al volume, con la ricerca sulle metafore floreali e botaniche nel linguaggio giuridico di Calamandrei, suggestive le pagine introduttive di Enrico Alleva, e preziose le divagazioni finali di Paola Roncarati che preannunciano opere future forse al femminile.

Questo nuovo profilo biografico  di una personalità complessa e variegata, esce quasi in contemporanea con la riedizione integrale dei suoi Diari 1939-45, un reperto che voleva lasciare agli storici futuri come testimonianza di una civiltà forse in via d’estinzione. L’erbario invece, testimonianza di un ciclo di fioritura dalla primavera all’estate della sua adolescenza, avrebbe voluto portarlo con sé, come viatico nell’al di là, tornando alla terra dei progenitori etruschi. I tanti segni, le tante impronte lasciate, soprattutto attraverso la scrittura, saggistica, poetica, letteraria e l’oratoria giuridica e politica, contano forse meno di queste creature vegetali conservate amorosamente, alcune delle qual emanano ancora una vaga fragranza.”

(Silvia Calamandrei)

 

 

 

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