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Un grande (e scomparso) esempio d’incontro culturale: “Nel Giardino cinese della Luminosità Perfetta” di Luigi Zangheri

Luigi Zangheri

Nel Giardino cinese della Luminosità Perfetta

Firenze, Olschki, 2020

 

Tra i i tanti aspetti sconosciuti in Occidente dell'”universo Cina” ce n’è uno che è una vera e propria curiosità: l’esistenza, a poca distanza da Pechino, di una parte (i Padiglioni Europei) del vecchio Palazzo imperiale d’Estate, costruita in un ibrido stile tardo barocco/cinese durante il Settecento da architetti occidentali, perlopiù gesuiti, su richiesta (cioè, un ordine…) dell’Imperatore Qianlong (1711-1799) della Dinastia Qing (1664-1911). Una premessa: l’Antico Palazzo d’Estate non esiste più. Si trattava di un vasto complesso di edifici, residenza ufficiosa della Corte imperiale Qing, realizzato tra il 1685 e la fine del ‘700, che fu distrutto quasi del tutto alla fine della Seconda Guerra dell’Oppio dai contingenti inglese e francese (1860): la distruzione fu totale durante la Rivolta dei Boxer (1900); la Corte imperiale nel frattempo aveva ripreso sede nella Città Proibita, a Pechino. Il Governo attuale ha deciso, dagli anni ‘990, di conservare le rovine dell’Antico Palazzo d’Estate così come sono arrivate fino a noi, come Museo delle Vergogne del Colonialismo.

 Il lavoro di Luigi Zangheri (n. 1954), conosciutissimo esperto di storia dell’architettura, del restauro e dei giardini, nonchè docente universitario, costituisce un vero e proprio caposaldo dello studio dei giardini cinesi e dell’Antico Palazzo d’Estate. Delineata nel capitolo 1 la complessa figura dell’Imperatore Qianlong e del suo vasto programma di governo, con particolare riferimento alla politica culturale da lui intesa consapevolmente come strumento di consenso, l’Autore passa nel capitolo 2 a illustrare la filosofia del giardino cinese e le realizzazioni dell’epoca Qing, e soprattutto ci fa conoscere gli studi occidentali dell’epoca su questi giardini, che tanto contribuirono all’evoluzione di quelli europei. Il capitolo 3 è una pregevole sintesi che ci porta nel mondo dei missionari occidentali in Cina, soprattutto gesuiti: attraverso un’ampia scelta di citazioni di lettere, memorie etc. possiamo rivivere in modo fresco e vivace i pensieri, i problemi e le “fatiche” di uno sforzo di incontro e comprensione forse non riuscito, ma certo sincero. E scopriamo tra l’altro che la Toscana, tramite la fiorentina Accademia del Disegno dove studiò, fu fondamentale per la formazione di Ferdinando Moggi che tanta parte ebbe nella diffusione in Cina della conoscenza dell’architettura europea e nella costruzione dei Padiglioni Europei come collaboratore di Giuseppe Castiglione, che ne ebbe “l’idea” e ne fu il principale realizzatore. Nel capitolo 4 entriamo nel vivo della vicenda, con la storia della costruzione dei Padiglioni Europei: con minuzia d’informazione l’Autore ci porta per mano dentro le vicissitudini di una creazione grandiosa, che mise a dura prova la teoria e la pratica delle tecniche occidentali e le capacità delle maestranze cinesi, soprattutto per l’imponente assetto idraulico necessario per il funzionamento delle fontane e dei loro giochi d’acqua. Il capitolo 5 ci conduce malinconicamente alle vicende della distruzione del Palazzo: Victor Hugo in una lettera (pubblicata nel 1883 ma datata 1861) così si esprime: “Questa meraviglia è scomparsa. Un giorno, due banditi [il francese Montauban e l’inglese Grant] sono entrati nel Palazzo d’estate. Uno ha saccheggiato, l’altro ha incendiato […] Uno dei due vincitori si è riempito le tasche, a quel che vediamo, l’altro ha riempito i suoi forzieri, e si è tornati in Europa a braccetto e ridendo. Questa è la storia di due banditi.” (p. 133).

La prima Appendice ci permette di ammirare i Padiglioni Europei grazie alla riproduzione di 20 incisioni eseguite tra il 1781 e il 1786 dal cinese Yi Lantai su incarico di Qianlong, che lo Zangheri commenta ampiamente soprattutto dal punto di vista architettonico e con particolare riferimento alle tecniche costruttive e alle funzionalità degli edifici; la seconda Appendice completa l’opera con cenni biografici sui missionari occidentali accreditati a Pechino tra il 1747 e il 1783.

L’opera, diciamolo subito, richiede impegno: la sterminata messe di notizie, i dettagli, le citazioni, l’ampiezza stessa dell’argomento non consentono letture trasversali e mobilitano la massima attenzione. Lo sforzo è però ricompensato: finito il libro, si ha l’impressione di essere entrati nel vivo di una vicenda di incontro culturale forse unica, dove gli occidentali vollero proporre quasi una sintesi esagerata della loro architettura dell’epoca, spingendosi a creare forme assai fantasiose, e unendole a decorazioni ed elementi squisitamente cinesi come l’imponenza dei tetti ricurvi.  E’ veramente triste pensare che tale monumento all’arte e all’incontro tra culture sia oggi un campo di rovine, seppur suggestivo: forse, se fosse rimasto in piedi, avrebbe costituito più di tanti proclami e discorsi uno sprone alla curiosità reciproca tra civiltà ancora così lontane come l’Occidente e la Cina. Ed è ancora più triste che tale rovina sia una conseguenza della superbia di una fase storica dell’Occidente. L’imponente lavoro di Luigi Zangheri, colmando una importante lacuna della conoscenza della storia dei rapporti tra Cina ed Europa, non potrà mancare di incuriosire, aiutando un dialogo spesso difficile. 

(Duccio Pasqui)

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