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Un bell’intervento di Giuliano Olivieri sul testo “La macchina del tempo” di Giuseppe Momicchioli

Vorrei, prima di tutto, ringraziare l’autore, non tanto per avermi permesso di essere qui questa sera, della qual cosa, naturalmente, le sono grato, ma di avermi onorato della sua amicizia che, da alcuni anni è divenuta per me una fonte di arricchimento umano, storico e filosofico, purtroppo tutto questo l’ho scoperto solo abbastanza recentemente, per caso, recandomi nel suo storico ambulatorio, con l’animo poco predisposto alle chiacchiere, tormentato come ero da un fastidioso dolore ad un dente e poi, l’andare dal dentista credo che non entusiasmi nessuno, eppure, mentre preparava i suoi ferri, che non presagivano nulla di buono, il Dottore cominciò a parlare di Montepulciano del suo terrirorio, della caccia, dei suoi carissimi amici, di queste sue passeggiate in Val d’Orcia, aprendo anche dei flash nella mia mente, che,  fino a quel momento non sollecitata, dormiva sonni tranquilli.

Questo comune sentire, la condivisione delle immagini, dei personaggi, della vita sociale ed economica di un tempo che, in parte avevo conosciuto mi immersero in quel mondo che poi nascondeva anche le mie radici, è stato un cemento a pronta presa, è scattata in me una immediata condivisione ed è nato un feeling che tuttora permane.

Uscii dall’ambulatorio, per la prima volta disteso e sorridente e tornato a casa ne parlai subito a mia moglie che attenta e paziente come sempre, soprattutto quando mi lascio andare a teorizzazioni politiche che si rifanno alla mia antica militanza, mi ascoltò felice di essersi liberata, almeno per quella sera di un marito imbronciato e lamentoso per il dolore al dente appena curato.

I nostri incontri naturalmente continuarono e il mio approccio alle cure dentarie fu sempre positivo, mi avvicinavo a questi appuntamenti asssetato di notizie su questo mondo che fù anche dei miei genitori che non avevano lesinato racconti o storie della loro vita, ma allora ero troppo piccolo per apprezzare, per riflettere su quanto ascoltato per trarne insegnamenti, per fortificare il mio pensiero, che si formava in quegli anni.

Oggi sono qui e non nascondo un po’ di emozione, che è quella che ho provato nello sfogliare questo libro certo, come sottolinea l’autore, non  credo si debba leggere come il tentativo di un confronto tra questo mondo, lontano, ma non troppo e l’oggi con l’intento, non dichiarato, di dire “vedete quello era un mondo molto meglio di questo, pieno di facezie, scherzi, risate ma anche di rispetto solidarietà ” .

No, lo stesso autore lo dichiara apertamennte nella sua prefazione : non vuole mandare messaggi, più o meno subliminali a nessuno, non deve influenzare la mente del lettore ma, molto modestamente dichiara che la sua è un’opera che descrive personaggi ormai lontani, silenzi , oggi inascoltabili per il troppo rumore, fatti e arguzie ,celie, tutto quello che allora, povertà regnante, serviva a rendere più lieve il faticoso lavoro di ognuno, sopportando sacrifici enormi e sperando in un mondo migliore, meno aspro.

Certo il “Nostro”, termine che usa più volte l’ autore per indicare il sogetto protagonista di qualcuno dei suoi episodi non può evitare che ciascuno di noi faccia le sue considerazioni e per quello che mi riguarda la prima, che mi ha stupito non poco, è la nitidezza dei ricordi che gli permette descrizioni minuziose, precise, particolareggiate quasi si trattasse di personaggi e avvenimenti recenti, questo è l’elemento che ti cala nei personaggi nel contesto sociale e storico che il libro tratta.

l’altro elemento che vorrei sottolineare  è che ci troviamo di fronte ad uno storico moderno che tratta un periodo storico forse meno aulico, con protagonisti che non verranno citati dai libri di storia,almeno quelli nazionali, come è successo in altre epoche, ma sono quelli che prima combattendo e poi lavorando hanno posto le basi sociali ed economiche per la crescita di queste terre; eppure sono descritti in maniera semplice, evidenziando il loro carattere toscano sempre pronto allo scherzo, qualche volta anche un po’ pesante. 

Le pagine dedicate al periodo della guerra, anzi delle guerre, sono quelle da cui traspare la voglia dell’autore, giovanissimo, di conoscere, sapere, affascinato dai racconti del Padre e del Sig. Furio che durante gli inverni degli anni ’40 (seconda guerra mondiale) raccontavano le loro esperienze della prima;  non manca un’acuta osservazione su come, in quello scorcio di secolo, il mondo fosse cambiato così poco e come invece, facendo il confronto con la realtà attuale lo spinga a dire “ho vissuto in un altro mondo”. Si nota proprio un diverso approccio con cui si avvicina a questi racconti che nella sua fervida mente di ragazzo assumono un aspetto di leggenda, traspare l’orgoglio di essere il figlio del protagonista dell’incontro con il Re soldato, il figlio di una generazione di uomini che, nella loro semplicità hanno creduto, combattuto, sacrificato la loro giovinezza fino, per molti, all’estremo sacrificio per un ‘ideale, per un’obbiettivo condiviso. Tutto questo quale contraltare alla realtà vissuta allora, i tedeschi, i fascisti, il durissimo inverno del ’43 il bombardamento della Villa di Bossona, il formarsi di un pensiero di rifiuto della guerra fortificato da episodi gravi, la morte di Elio Bernabei ,la beffa dei due tedeschi a Scornabue che costò la vita a Giuseppe Marino e a Lanciotto Biagi e soprattutto, credo, l’amicizia con la famiglia Cozzani e quindi la conoscenza di Vincenzo, nel libro è riportato il discorso dell’Autore dal quale traspare la grande ammirazione per Vincenzo e la condivisione delle scelte fatte.

Chi ha meno anni, leggendo questo libro, ha un quadro completo, nitido, della Montepulciano di allora in tutte le sue sfaccettature a cominciare dai personaggi caratteristici, bizzarri o più semplicemente fuori dai canoni di vita allora codificati, mi viene in mente un altra pubblicazione di uno scrittore molto legato a Montepulciano, il Prof Lapucci che nel suo libro “Eroi senza lapide” in prefazione sottolinea come le società precedenti alla nostra fossero più tolleranti, più accoglienti verso questi spiriti semplici e liberi che vivevano facendo piccoli lavori ed affidandosi molto alla solidarietà della società che non lesinava il loro aiuto; oggi, afferma il Lapucci, ed è vero, si paluda dietro un intervento di aiuto attraverso l’assistenza di apposite strutture il desiderio di liberarsi di un fastidio di chi va controcorrente, di chi vuol vivere libero e semplicemente. Ecco perchè persone come il Carbonetti o come Osvaldo o altri, oggi non sono più presenti nella nostra società.

Bellissimo il rapporto di Giuseppe con la Scuola, ha un sapore “Deamicisiano” . Dal suo scrivere traspare la consapevolezza di essere un ragazzo fortunato rispetto a molti suoi coetanei che, dopo le elementari,  vanno a lavorare nelle numerose botteghe artigiane, e tira un sospiro di sollievo quando la maestra consiglia l’iscrizione alla scuola media dove i ragazzi delle elementari si ritrovano, certo la pattuglia è ridotta, ma lo spirito non manca, soprattutto verso il Prof. “Talaqquala” così soprannominato per la sua poca padronanza della lingua ed anche perchè, allora quasi nessuno veniva chiamato con il  proprio nome; persona mite e buona, come apparirà al lettore e vittima di scherzi dei ragazzi ma anche di grandi, di personaggi noti che non disdegnavano lasciarsi andare a scherzi ben costruiti come quello ordito dall’Avvocatone, eppure alla fine l’Autore ringrazia questo Professore per l’aiuto dato e per il sapere trasmesso.

Questo atteggiamento verso la scuola prosegue anche al Liceo, dove la pattuglia originaria si assottiglia ancor più, Scuola di prestigio, “la seconda della Provincia”, insomma blasonata e retta, secondo il costume dell’epoca con  molta severità, che caratterizza tutti, dal Preside al Bidello fino a rasentare per quest’ultimo personaggio per esempio, atteggiamenti di vero sadismo, anche qui fioccano i soprannomi “Cerbero” è il bidello e “Saettone” è il Preside, la cui descrizione richiama quasi il mangiafuoco di Collodi (scrittore caro al nostro Autore); si salva il Vice-Preside Prof Antoni (Matematica e Fisica) ahi !! ahi !!. La Scuola termina con un grande scherzo, pesante verso il Preside “Saettone” ma, con tutti questi scherzi che punteggiano lo scritto, il nostro Autore appare quasi sempre distaccato, racconta gli episodi quasi in terza persona, come se lui fosse solo lo storico che racconta e che rimane in disparte dalle malefatte dei suoi compagni: solo in alcuni episodi come quello della mina artigianale fatta brillare da Trinchetta nel campo di Mimmo si coglie una sua partecipazione. Allora era un ragazzo a modino come si diceva allora, ed anche ora, ma? Il dubbio che assale il Maresciallo dei Carabinieri al bar del Baldi in  procinto di trasferirsi quando gli chiede, molti anni dopo, notizie su chi avrebbe ordito lo scherzo al Preside e le sue risposte evasive lasciano qualche dubbio anche a me.

Le parole ed i miei pensieri si soffermano sui personaggi straordinari che popolano il libro, Dante il sarto e le sue fanfaronate, “Bucovano” pensionato, aiutante dei frati di S. Agnese e mi si permetta di soffermarmi un’attimo sulla barberia di Checco Caroti e dei suoi frequentatori : Cesare del Toro, Pasquale Bruzzichelli, Il Prof. Viciani, l’Avv. Umberto Corsini, l’Ing. Bernabei,  questo cenacolo Socialista; ho avuto la fortuna di conoscere alcuni di questi personaggi : Checco, Pasquale, Cesare e conosco, per letture fatte, gli altri, il loro apporto al CLN e alla lotta partigiana e sono cresciuto all’ombra dei loro pensieri che sono diventati i miei, patrimonio politico e intellettuale del quale sono geloso custode e che ha costituito per me e per altri lo stimolo per il nostro impegno ideale, ringrazio l’autore per questa pagina a me e non solo, molto cara.

Ora la mia emozione non è passata, spero di non avervi annoiato in questo mio viaggiare tra le pagine di questa pregevole opera che non è finita: io ho solo toccato la prima parte, la seconda racchiude una ricerca minuziosa sui tabernacoli mariani sparsi nel nostro territorio sul loro significato artistico e religioso, ma, giustamente chi meglio del nostro Don Azelio potrebbe parlarne.

Finisco salutando idealmente tutti quei concittadini citati nel libro, alcuni dei quali conosciuti da me e che, forse è colpa dell’età mi hanno suscitato un ricordo non triste ma pieno di speranza, una collettività che ha queste radici non può che avere un futuro davanti a se.

Buona lettura.

                                                        Giuliano Olivieri

(testo dell’intervento in occasione della presentazione del libro a Montepulciano, Palazzo del Capitano, 28 febbraio 2016) 

 

 

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