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Tag: scittori

RECENSIONE. Silvia Rizzo, Storie di Val d’Orcia, edizioni di Storia e Letteratura, 2023

Silvia Rizzo, Storie di Val d’Orcia, Edizioni di storia e letteratura 2023

Filologa e docente alla Sapienza di letteratura medievale e umanistica, l’autrice ha acquistato negli anni Novanta una casa di campagna ai margini di Campiglia dove si è trasferita definitivamente dopo il pensionamento. É la scoperta di un’altra dimensione di vita, immersa nella natura e in compagnia di cani e gatti, senza abbandonare i suoi amati libri e studi.

Dedica alla Val d’Orcia pagine intense di descrizioni e di vicende quotidiane, intrecciate a tanti riferimenti letterari e storici frutto dei suoi appassionati studi. In copertina il quadro di Andrew Wordsworth di grande luminosità che illuminava il suo studio e che ha rischiato di andare distrutto per un’esplosione di GPL nel 2013: l’amico americano gliel’ha poi restaurato come nuovo.

Bello il capitolo dedicato alla Sentieristica e risorse naturali, in una concezione del turismo come itinerari tematici, cui la zona idealmente si presta.

Letture che aiutano a conoscere meglio luoghi da esplorare piuttosto che da consumare nella voracità fotografica delle inquadrature di passaggio.

Da gustare lo scambio mail ed epistolare con Luca Serianni a proposito di traduzione di Orazio.

 

[Silvia Calamandrei]

RECENSIONE. Sacha Naspini, Villa del seminario. Edizioni e/o 2023

Sacha Naspini, Villa del seminario. Edizioni e/o 2023

 

Con Naspini la nostra biblioteca ha un rapporto antico, avendone presentato le prime opere ed avendolo seguito nella carriera letteraria commentandone l’evoluzione, fino all’approdo con una casa editrice di grande impatto, riuscita a riproporre anche opere che rischiavano di essere dimenticate, nonché a promuoverne la notorietà globale con le tante traduzioni.

Non possiamo che rallegrarci di questa nuova creazione, già proposta per lo Strega, ed uscita in occasione della Giornata della memoria come un pugno allo stomaco. Già, perché lo scrittore maremmano è andato a scovare una memoria che si è fatto di tutto per occultare. Cone scrive nella nota finale:

“Grosseto ha un primato nella storia dell’Olocausto: l’unica diocesi in Europa ad aver firmato un regolare contratto d’affitto per realizzare un campo d’internamento. A Roccatederighi, tra il ’43 e il ’44, nella villa del seminario furono rinchiusi un centinaio di ebrei italiani e stranieri destinati ai lager di sterminio”.

E ancora:

“Neanche al processo contro i gerarchi fascisti della provincia – incluso Alceo Ercolani – istruito per l’organizzazione e la gestione del campo di Roccatederighi (nonché per il trasporto da lì ai campi di sterminio) si parlò di capi d’imputazione. Su circa ottanta pagine, nemmeno una parola. Venne presto l’amnistia. Se in un primo momento ai condannati toccarono pene severe, i più non scontarono nemmeno un giorno di carcere. La volontà di considerare i crimini contro gli ebrei come un evento minore risulta anche da quanto avvenne nel dopoguerra: il vescovo Galeazzi trovò del tutto normale pretendere dallo Stato italiano il pagamento dell’affitto che l’Ercolani non aveva onorato per l’uso del seminario”.

L’oblio, che si è tentato di fugare con ricerche storiche locali e con il libro di Ariel Paggi Il muro degli ebrei, nonché con una lapide commemorativa, viene ora messo sotto i riflettori da un narratore, particolarmente legato a Roccafedrighi, già protagonista collettiva del romanzo Le case del malcontento, l’opera forse più compiuta di Naspini. È tra quelle case e quei personaggi che lo scrittore ambienta compromessi, collusioni, resilienze e resistenze che caratterizzano il periodo finale che precede la Liberazione, tentando di rispondere alla domanda:”cosa succede se da un giorno all’altro piazzano un campo d’internamento accanto a casa tua?”.

Protagonista un ciabattino e la donna amata in segreto, più risoluta di lui nell’unirsi alla lotta partigiana e a lasciare la “zona grigia” dell’attendismo e della pavidità. Ma Naspini ha modo di modulare nei personaggi tutta la gamma degli atteggiamenti di quel periodo di oppressione, scelta, attesa, trasformismo, in un ritratto impietoso, senza retorica di un passato che merita di essere rivisitato.

Forse non è la sua opera letterariamente meglio riuscita, perché si è fatto prendere dalla foga della denuncia, ma la scelta d rievocare memorie sgradevoli va salutata come gesto di coraggio in un panorama editoriale che moltiplica memorie delle vittime e rischia di dimenticare i carnefici e i loro complici e scansa le responsabilità e le colpe.

Silvia Calamandrei