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RECENSIONE. Un ebreo in camicia nera, Solferino 2023

Paolo Salom, Un ebreo in camicia nera, Solferino 2023

 

La scadenza della Giornata della memoria viene utilizzata dagli editori per ripubblicare classici sulla Shoah ma anche nuove testimonianze e memorie, che continuano ad emergere da quel nodo o meglio gorgo tragico del Novecento, in cui ogni storia individuale acquista valenza di lezione da non dimenticare.

Ẻ il caso di questo racconto autobiografico del giornalista Paolo Salom, che ricostruisce le vicende del padre Marcello e del nonno Galeazzo, quest’ultimo ebreo veneto convertitosi al cattolicesimo persuaso di sottrarsi alle persecuzioni che si preannunciavano, imponendo la scelta all’intera famiglia, trasferitasi in Italia dalla Romania nel 1938, proprio alla vigilia delle leggi razziali. Una conversione di opportunità che la moglie rumena non gli perdona, e che comunque non salva la famiglia quando la caccia agli ebrei si intensifica con l’arrivo dei tedeschi dopo l’8 settembre del 1943.

Il quindicenne Marcello, amareggiato dai contrasti familiari, prende la fuga a finisce tra le camice nere, del tutto inconsapevole della guerra civile in corso: indossare la divisa gli sembra una buona mimetizzazione, dopo che il tentativo di passare il confine svizzero per ritrovare parenti ebrei rifugiati si rivela troppo pericoloso.  Un giovanissimo ebreo in camicia nera quasi per caso, che addirittura decide di raggiungere il fronte verso Sud per combattere, ritrovandosi a Rimini proprio nelle giornate della rotta della Linea Gotica. I tedeschi abbandonano alla loro sorte i collaborazionisti fascisti i quali si sbarazzano delle divise per far ritorno disordinatamente a casa. Tra loro Marcello che rischia stavolta non come ebreo ma come fascista, tardando a sbarazzarsi dalla divisa. Sarà un suo vecchio compagno di scuola ad accoglierlo urlando: Cosa fai vestito in quel modo, santo ragazzo! Per carità, entra che se ti vede la ronda dei partigiani ti mette al muro qui, dove ti trova”.

Una delle tante storie di zona grigia, che l’Italia avrebbe poi faticato a metabolizzare. Il figlio e nipote racconta con partecipazione empatica, a distanza di anni. Il racconto non ha la drammaticità delle testimonianze dirette, né il pathos della fiction, ma mette a fuoco l’esperienza individuale di un giovanissimo perso nel gorgo della storia.

(Silvia Calamandrei)

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