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RECENSIONE. Gaetano Salvemini, Il diario 1947 a cura di Mirko Grasso Con postfazione di Andrea Becherucci, Biblioteca Clueb 2023

Gaetano Salvemini, Il diario 1947 a cura di Mirko Grasso con postfazione di Andrea Becherucci, Biblioteca Clueb 2023

Nell’archivio Calamandrei di Montepulciano custodiamo un carteggio 1946-1947 che precede questo diario, e mostra la riluttanza pessimistica di Salvemini prima del rientro in Italia ed al tempo stesso la sua urgenza di riprendere contatto con la realtà italiana, da cui è esule sin dal 1925.

Sollecitato da Egidia Calamandrei, sorella di Piero, che gli aveva scritto parole fiduciose, annuncia un prossimo rientro in Italia per fare un “lavoro di investigazione”, per “scoprire se c’è qualcuno che meriti di essere aiutato”. Rinvia la venuta perché “bisogna lasciare il tempo al tempo perché quei due o trecento italiani […] trovino la loro strada da sé. Si difende disperatamente solo quello che si conquista da sé”.

In un commento al carteggio pubblicato sul “Ponte”1 scrivevo che Salvemini coltiva in quel momento “l’idea della formazione di una nuova classe dirigente, disinteressata e libera dalle ipoteche del passato, che possa prendere in mano le sorti del paese”. Sfiduciato dall’azione dei partiti ricompostisi nel 1943 e dalla frammentazione del Partito d’Azione, guardava alle nuove generazioni nella speranza di un rinnovamento dell’Italia.

É proprio quanto andrà ad investigare nel suo viaggio in Italia del 1947, di cui la preziosa trascrizione del diario ci ricostruisce i dettagli (Mirko Grasso ha lavorato sui manoscritti conservati all’ISRT, offrendoci un testo integrale che completa i passaggi finora noti).

Il rientro è per Salvemini l’occasione di riallacciare tanti rapporti interrotti dall’esilio o coltivati solo epistolarmente, di riabbracciare vecchi amici e di incontrane di nuovi, di scoprire come restasse viva la memoria del suo operato e di come fosse stata apprezzata la sua azione nell’esilio americano: tutto questo ci viene documentato nel suo diario dal luglio al novembre 1947, in cui annota le sue peregrinazioni di città in città ed i tanti incontri che ivi si organizzano.

L’attenzione di Salvemini non è rivolta solo alla sua cerchia amicale: quello che registra è anche il senso comune diffuso, l’atteggiamento e le preoccupazioni della gente comune che incontra in treno o in corriera, nell’ansia di ricostruire come si è trasformata la mentalità degli italiani dopo i decenni di dittatura fascista.

Il diario non registra eventi significativi cui partecipa nelle sue peregrinazioni, dalla commemorazione della Resistenza a Firenze alla partecipazione al Congresso del Movimento federalista europeo all’Eliseo di Roma, e è dedicato soprattutto ai contatti e alla registrazioni di conversazioni. Trova conferma dell’opinione positiva che già si era fatto della Resistenza, riscontrando nell’area Giustizia e Libertà i continuatori del proprio pensiero ed entusiasmandosi dei tanti messaggi positivi che raccoglie a Torino, nelle riunioni organizzate da Antonicelli. Al tempo stesso va raccogliendo le opinioni sulle elezioni dell’anno successivo, preoccupandosi della vittoria clerico-fascista che paventa.

Il suo auspicio è che si crei una formazione con i “migliori elementi del partito repubblicano,del partito d’azione, dei due partiti socialisti e dello stesso partito comunista” che si opponga alla destra clericale, “ma sia indipendente dalla estrema sinistra stalinista”.

La sua ipotesi è quella di un piano decennale: “ci vogliono dieci anni di astinenza dal governo e dalle miserabili contrattazioni parlamentari, rieducazione della gioventù, pre­parazione di idee concrete sul da fare quando si va al gover­no su non più che mezza dozzina di materie essenziali, e fra dieci anni fare la epurazione che non è stata fatta fra il 1944 e il 1946, aggiungendo agli epurandi del fascismo quelli del post-fascismo”.

Questo vecchio 74enne propone una sorta di distopia, che nessuno avrebbe poi praticato. Ammette anche che i comunisti sono stati i più fattivi ed attivi e che occorre “ricordare che nella mancanza di carattere ita­liano, i comunisti hanno dato magnifiche prove di carat­tere; nel presente riconoscere che sono la sola diga contro le esosità delle destre; per l’avvenire dichiarare che se si è costretti ad abbandonare ogni speranza di opposizione democratica, nella alternativa tra fascismo e comunismo, sceglieremo il comunismo”.

Anche tra i comunisti trova alcuni interlocutori, ma si preoccupa soprattutto di indirizzare gli azionisti dispersi nei partiti socialisti e nel partito repubblicano, mantenendo un coordinamento. A Milano trova grande consonanza in Bauer: “D’accordo sulla necessità di riconoscersi sconfitti, far punto e da capo, e proporsi un piano decennale. Non ha nessuna fiducia in nessun partito. Bisogna lavorare sulla gioventù,Tutti rubano”.

E ancora: “Bauer conviene con me che una vittoria comunista-socialista nelle prossime elezioni sarebbe un disastro; non saprebbero governare e i vinti sarebbero spinti a fare un colpo di stato avendo perduto la speranza di governare in regime parlamentare. Il mal minore sarebbe una maggioran­za clerico-qualunquista-liberale con una forte opposizione comunista-nenniana, e un centro-sinistra incapace di spostare la maggioranza ma risoluto a far fronte contro destre e solo contro destre, pur tenendosi distinto da comunisti-so­cialisti, pronto a far massa con comunisti e socialisti contro le destre, ma deciso a lavorare soprattutto per preparare una nuova educazione politica dei giovani e a lottare per la vit­toria tra dieci anni.

Dalle sue conversazioni Salvemini ricava un’impressione ottimistica sulla capacità del paese di riprendersi, ma è preoccupato degli orientamenti politici:

Questo paese, se non c’è guerra in pochi anni si rimetterà in bilico, salvo quanto vedrò da Firenze in giù. Ma in politica ho trovato in tutte le persone che ho visto uno scoraggiamento in tutti gli uomini di sinistra, derivante dal fatto che non sanno vedere che un bivio: o essere al governo o fare la rivoluzione. Nessuno comprende la possibilità di un’opposizione che si proponga di fare il governo di domani”.

Negli incontri Salvemini approfondisce anche gli errori commessi secondo lui nel recente passato, come quello di non aver proclamato la Repubblica subito dopo la Liberazione

Occorrerà che io parli con Parri, Valiani, Lombardi e Bauer per chiarire questo punto essenziale. Se i settentrionali non erano legati da nessun impegno – che del resto cessava con la fine della guerra guerreggiata – l’errore commesso a Milano di non scavare un fosso verso il passato proclamando la repubblica il 26 aprile 1945, sarebbe ancora più grave. Si spiegherebbe colla preoccupazione di quanto avrebbero fatto gli inglesi e americani, e colla resistenza che avrebbero opposto i comunisti e i monarchici. Ma l’errore di omissione rimarrebbe e sarebbe grande lo stesso”.

Per tutti gli studiosi della vicenda del Partito d’Azione queste pagine offrono notizie preziose in uno snodo decisivo che precede la conclusione della fase costituente e la vittoria democristiana del 1948.

Ma il diario ci offre soprattutto il ritratto di un uomo che ha un approccio pragmatico, attivistico, con una visione che prevede tempi lunghi per formare una nuova classe dirigente in grado di riformare l’Italia. Una distopia che ci aiuta a rileggere criticamente le vicende della nostra Repubblica.

In appendice raccolti scritti d’epoca ormai difficilmente reperibili, che integrano felicemente questo nuovo apporto.

1 Silvia Calamandrei, Un carteggio inedito 1946-47 tra Gaetano Salvemini, Ciro Polidori ed Egidia Calamandrei, “Il Ponte”, 28 ottobre 2021

[Silvia Calamandrei]

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