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Per il giorno della Memoria: il libro della settimana…dal 24 al 28 gennaio 2011: “Il Bambino di Varsavia” di Frédéric Rousseau

Questo testo viene recensito nell’ambito delle presentazioni per il Giorno della Memoria 2011

Frédéric Rousseau

Il Bambino di Varsavia

Roma-Bari, Editori Laterza, 2011

 

Un libro da leggere, per tutti. Per imparare cose del passato e riflettere sul presente. Si impara che la famosa fotografia del bambino ebreo rastrellato nel ghetto di Varsavia, che terrorizzato alza le mani in segno di resa, non è una foto casuale. Fa parte del “Rapporto Stroop”, che il generale Jürgen Stroop, capo delle SS e della polizia nazista a Varsavia, trasmette nel maggio del 1943 ai suoi superiori, e in particolare a Himmler, documentando giorno per giorno la distruzione sistematica del ghetto e il rastrellamento degli ebrei superstiti dopo l’insurrezione del ghetto dello stesso anno. A Stroop (processato poi a fine guerra e impiccato) non basta la parola scritta, allora incarica un fotografo (o più) della sua truppa di realizzare un servizio sulle sue gesta: così il rapporto è corredato di cinquantatre immagini. Quella del bambino con le braccia alzate è una di queste. Una scoperta ulteriore e una conferma della barbarie nazista. Impariamo poi che l’immagine del bambino, che ormai da mezzo secolo nessuno è autorizzato a non conoscere, compare di rado fino agli anni Sessanta, in particolare in concomitanza con il processo Eichmann in Israele. Perché un fatto del genere? Perché, ci spiega Rousseau, fino a quegli anni tutti, e gli ebrei per primi, rifuggivano da esporre immagini di vittime innocenti: erano ancora gli anni in cui la dimensione era quella resistenziale, si esaltavano le vittime combattenti, la sorte degli ebrei era in qualche modo omologata a quella degli altri resistenti, l’insurrezione di Varsavia e episodi analoghi erano messi in primo piano. E giocava anche il fattore della “vergogna ebraica”, la vergogna di essere andati al macello “come pecore” che si ritrova in molti commentatori e scrittori ebrei in quegli anni. Con il processo Eichmann è come se si squarciasse un velo sulla Shoah: sulla sua unicità, sulla non omologabilità a nessun altro crimine contro l’umanità, a parte forse quello commesso contro i rom. Si chiarisce definitivamente che l’ebreo era perseguitato, annientato dal nazismo non “per quello che faceva” ma “per quello che era” e di qui l’unicità del suo essere vittima. La Shoah emerge dunque nella sua vera essenza.

Da quegli anni l’immagine del bambino di Varsavia diventa dunque una “icona vittimaria”, riprodotta dovunque. E inflazionata, abusata, distorta. Inflazione, abuso e distorsione che Rousseau documenta puntualmente e che servono a riflettere sull’oggi. L’immagine del bambino di Varsavia serve a denunciare i crimini del comunismo in Ucraina, la repressione israeliana contro i palestinesi, la dittatura castrista da parte degli esuli cubani in Florida. Con un doppio effetto negativo: far dimenticare l’unicità della Shoah e impedire che quelle denunce siano puntuali ed efficaci. Raccontando le peripezie dell’immagine del bambino, Rousseau ci invita ad una riflessione che sia al tempo stesso comprensione dell’atrocità della persecuzione nazista contro gli ebrei e capacità di cogliere la specificità delle situazioni e degli atti del presente contro cui ci si vuole ribellare.

 (Fabrizio Grillenzoni)

 

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