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Microstoria…o “grande storia”? “Resto qui” di Marco Balzano

Marco Balzano

Resto qui

Torino, Einaudi, 2018

 

Balzano racconta sempre storie intense che hanno un sapore acre, non riconciliate, e ci offre pezzi di storia italiana attraverso personaggi scolpiti con tratti incisivi. Con L’ultimo arrivato (Sellerio 2014) si era guadagnato il premio Campiello e Volponi con la vicenda di un ragazzo immigrato dalla Sicilia a Milano, un romanzo di formazione nell’Italia fine anni Cinquanta, quella di Rocco e i suoi fratelli.

Stavolta invece si immerge nel Sud Tirolo, in un paesino ai confini dell’Austria, Curon, che è stato sommerso da una diga della Montecatini nel dopoguerra . Dal lago ne spunta l’antico campanile, salvato dalla Sovrintendenza, mentre gli abitanti venivano dislocati altrove. I turisti ci si fanno i selfie , intrigati dalla strana immagine, mentre lo scrittore ha voluto immergersi in quelle acque e raccontarci le vicende che si sono svolte nel secolo scorso, a partire dalla conquista italiana della Grande Guerra.

Il contesto è quello di una popolazione contadina e montanara che ha malvissuto l’obbligo a riconvertirsi all’italiano, imposto con ancora maggiore severità dal fascismo. La protagonista, Trina, maestra elementare, è tra coloro che sfidano i divieti per organizzare insieme al prete le scuole clandestine di tedesco. Questa vicenda sudtirolese ci è stata raccontata efficacemente anche da Lilli Gruber, scavando nelle memorie famigliari, e rievocando quel referendum del 1939 che offrì la scelta tra partire o restare, allettando tanti con il miraggio di una risistemazione in Austria e Germania che si sarebbe rivelata un inganno. La scelta scavò un solco anche tra amici e parenti, spezzando legami di affetto e di appartenenza.

Trina e suo marito Erich sono tra coloro che restano, ma perdono una figlia, che preferisce seguire gli zii, lasciando un vuoto che i genitori non riusciranno mai a colmare nonostante il loro attaccamento alla terra, alle bestie che allevano, alle montagne che incombono. Sopravvissuti con tenacia alla guerra e ai rastrellamenti tedeschi, la pace non arrecherà sollievo perché il progetto di una diga destinata a cancellare il paese, già concepito sotto il fascismo, viene rilanciato. Non valgono le petizioni a De Gasperi, le visite a Papa Pio XII o i viaggi di Antonio Segni a rimettere in discussione la decisione di puntare sulla produzione di energia elettrica cancellando interi habitat e tessuti di relazioni umane.

Questo episodio di sviluppo a scapito di popolazione e paesaggio, che poi si rivela anche vano in quanto i risultati produttivi sono deludenti, offre allo scrittore l’occasione e il quadro in cui “ospitare una storia più intima e personale, attraverso cui filtrare la storia con l’A maiuscola”.

(Silvia Calamandrei)

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