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L’eterna Russia al di là dei Soviet: “Tempo di seconda mano” di Svetlana Aleksievic

Un collage di testimonianze orali sulla fine dell’homo sovieticus

Svetlana Aleksievic

Tempo di seconda mano

Milano, Bompiani, 2015

 

Il Nobel letterario del 2015 è andato alla scrittura di reportage della giornalista Svetlana Aleksievic: una registrazione corale di tante voci che raccontano la scomparsa dell’Unione sovietica.

Gli intervistati reagiscono diversamente alla implosione innescata dalla perestrojka di Gorbacev: ci sono gli entusiasti e i nostalgici del passato e le reazioni variano a seconda delle generazioni e della collocazione sociale. Per i vecchi è soprattutto l’amarezza per uno stravolgimento che cancella le ragioni su cui hanno costruito la loro esistenza, sotto un socialismo autoritario ma livellatore, securizzante, mentre il libero mercato ha scatenato una feroce lotta per la sopravvivenza e una corsa sfrenata al benessere materiale per pochi.

Ma soprattutto tragiche sono le testimonianze della rottura del patto di convivenza sovietico tra etnie diverse, che cominciano a scannarsi ripiombando nella più oscura barbarie. E drammatico è il ritratto di tante esistenze di sofferenza, soprattutto di donne, spesso coppie madre-figlia o terzetti nonna-madre-figlia a fianco di padri e mariti abbrutiti dalla vodka, dalla guerra, dai lager, dalla prigionia.

Una bella recensione del libro era uscita sul “Manifesto” ancor prima del Nobel, per la firma di Valentina Parisi, con il titolo Auscultazione del mistero sovietico. Ne riprendiamo alcuni passaggi:

Fedele al metodo già sperimentato nelle sue opere precedenti, Preghiera per CernobylRagazzi di zinco Incantati dalla morte (tutte edite in Italia da e/o), Aleksievic si affida di nuovo alla forma del collage di voci narranti in prima persona, riducendo al minimo la propria presenza nel testo e lasciando quasi esclusivamente spazio ai monologhi delle persone da lei ascoltate o origliate, più che intervistate. 

Tema pressoché esclusivo delle loro riflessioni o dei loro sfoghi è il trauma collettivo rappresentato dal crollo improvviso dell’universo socialista in cui erano nati e cresciuti. Benché l’autrice parta dal presupposto che solo chi ha conosciuto l’Urss possa capire quell’essere affatto particolare che è l’homo sovieticus, anche all’interno di questa categoria antropologica esperienze e percezioni risultano talmente variegate (e, a volte, contrastanti) che si ha l’impressione di avere a che fare con persone provenienti da mondi assai lontani l’uno dall’altro.
C’è chi dà la colpa di tutto a Michail Gorbacëv, reo di aver dato inizio al processo di dissoluzione dell’Unione con il proprio programma di riforme; altri al contrario ricordano la perestrojka come un momento di autentica liberazione; altri ancora – i più anziani – rimpiangono il paese della propria infanzia, l’atmosfera di esaltazione collettiva che aveva accompagnato la fine della seconda guerra mondiale e la vittoria sulla Germania nazista.

Uno dei temi ricorrenti di Tempo di seconda mano è infatti il tragico destino di coloro che non sono stati in grado di sopravvivere al crollo degli ideali in cui avevano creduto.

Tempo di seconda mano resta essenziale per comprendere le contraddizioni attuali della società russa, divisa tra pulsioni consumistiche individuali e il rimpianto più che evidente per quella mobilitazione collettiva permanente che era il fulcro dell’ideologia comunista.

La lettura delle tante e variegate narrazioni coinvolge emotivamente, perché l’autrice nutre una fortissima empatia per i suoi personaggi, appartiene alla stessa vicenda umana (nata nel 1948 nella Bielorussia sovietica). In appendice una cronologia e una serie nutrita di note dei traduttori aiutano ad inquadrare le vicende individuali, anche se si sente la mancanza di un filo narrativo dell’autrice, che si tiene in disparte intervenendo solo con i titoli e sporadiche notazioni, fedele ad un approccio da antropologa.

Un’altra opera recente ci aveva dato uno squarcio sulla realtà post-sovietica : Limonov  di Emmanuel Carrère (Adelphi 2012), dove però l’ego ipertrofico del protagonista e dell’autore prendevano gran parte dello spazio narrativo. Qui  siamo in presenza di tanti personaggi modesti, marginali, che osservano la grande storia di sbieco, senza sapersene dare ragione, e ci fanno partecipare del loro smarrimento. 

(Silvia Calamandrei)

 

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