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Inquietante futuro: “Capitalismo contro capitalismo” di Branko Milanovic

Branko Milanovic

Capitalismo contro capitalismo

Roma.Bari, Laterza 2020

 

Andando oltre Piketty, con maggiore concisione e chiarezza anglosassone, l’economista professore alla City University di New York ci descrive le caratteristiche del capitalismo contemporaneo, ormai dominante sulla scena globale, nelle sue due varianti: la liberal-meritocratica e la politica, rispettivamente rappresentate in modo paradigmatico dagli stati Uniti e dalla Cina.

Molto felice la prima parte, definitoria e descrittiva, che parte dai contorni del mondo per enunciare due assunti chiave: il capitalismo è l’unico sistema socioeconomico mondiale e il riequilibrio del potere economico tra Europa e Nord America da un lato e l’Asia dall’altro. Siamo tornati ai livelli precedenti la prima rivoluzione industriale, che vedevano scarso scarto tra Oriente ed Occidente. La differenza è che allora si trattava di sistemi relativamente separati, mentre oggi interagiscono e sono strettamente imbricati. La grande incognita resta l’Africa, che per il momento non sta recuperando (ma nelle conclusioni si accenna all’investimento cinese che potrebbe avere grandi conseguenze per lo sviluppo e la riduzione della pressione migratoria).

Il capitolo 2 dedicato al capitalismo liberal-meritocratico ne evidenzia le differenze rispetto al capitalismo classico e a quello socialdemocratico del welfare e sottolinea l’aumento delle diseguaglianze al suo interno con la formazione di una élite plutocratica che combina redditi da capitale ad alte compensazioni delle proprie prestazioni manageriali. Il controllo delle scuole di élite e la trasmissione ereditaria dei patrimoni ne rafforzano il potere.

Il capitolo 3 sul capitalismo politico o autoritario taglia la testa al toro sulla natura dell’economia cinese sostenendo che il comunismo è stato il sistema di transizione dal feudalesimo al capitalismo utilizzato nelle società meno sviluppate e colonizzate, in particolare in Asia (Cina e Vietnam ne sono i migliori esempi, combinando rivoluzione sociale e rivoluzione nazionale).Mao è stato l’apripista, ed ha permesso a Deng di essere il fondatore del “capitalismo politico moderno”, che combina dinamismo del settore privato, efficiente governo della burocrazia e un sistema politico a partito unico.

Burocrazia tecnocratica preposta alla crescita, assenza di Stato di diritto vincolante e ruolo autonomo dello Stato nel tutelare l’interesse nazionale e controllare il capitale privato, si combinano con una corruzione endemica. Esiste un patto con la popolazione, che rinuncia a parte dei propri diritti: la garanzia della crescita e di un aumento tangibile del tenore di vita, pur nell’acutizzarsi della diseguaglianza. Il modello statuale ha origini antiche: anche nella Cina imperiale la classe dei mercanti non è mai riuscita a controllare la politica statuale, mentre il mandato dell’Imperatore veniva messo in discussione se non garantiva il benessere generale dei sudditi governandoli con la burocrazia mandarina. L’autore si interroga sulla esportabilità di questo modello, che pur comincia a trovare simpatizzanti anche nell’Occidente in declino: ne sottolinea la peculiarità asiatica, ma constata che Xi Jinping sta cominciando a “vendere” il proprio successo e la propria esperienza a livello globale.

La prospettiva più inquietante la troviamo nelle conclusioni, dopo un’ampia disamina delle interazioni tra capitalismo e globalizzazione: la possibile convergenza tra capitalismo liberal-meritocratico e capitalismo politico autoritario:

Più il potere economico e quello politico si uniscono nel capitalismo liberale, più il sistema diventa plutocratico e finisce per assomigliare al capitalismo politico. […] Il punto di arrivo dei due sistemi diventa lo stesso: unificazione e persistenza delle élites.

Questa deriva potrebbe essere favorita dalla disaffezione dei giovani ai processi democratici, avendo perduto fiducia nei partiti politici: il disincanto e il disinteresse per la politica, gravi minacce alla sopravvivenza della democrazia.

Meno convincente ma da valutare e discutere la parte propositiva: l’autore non crede nel reddito universale né in una politica di eccessiva apertura ai migranti e propone in un certo modo strumenti di “riduzione del danno” per quanto riguarda le diseguaglianze tra paesi e tra cittadini.

Corredato da tre appendici su temi specifici ed un’ampia bibliografia, l’opera è un utilissimo approccio alla conoscenza della realtà contemporanea e delle sfide che incombono.

(Silvia Calamandrei)

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