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Il mito della digitalizzazione alla prova di fatti: gli Archivi Giudiziari “storici” (e quelli futuri…?)

UN CONVEGNO A ROMA SU ARCHIVI GIUDIZIARI E STORIOGRAFIA

Lunedì 30 novembre 2015, organizzato dall’ Archivio di Stato di Roma , la rivista “Critica del diritto”e la Fondazione Centro di iniziativa giuridica Piero Calamandrei

 

Ricostruire il fatto, raccontare la Storia. Gli atti giudiziari e la ricerca storica.

 

E’ iniziato all’Archivio di Stato di Roma un ciclo di seminari sul confronto tra il punto di vista del giudice e quello della storiografia, ispirato tra l’altro allo scritto di Calamandrei Il giudice e lo storico.

Gli archivi di Stato stanno progressivamente acquisendo le carte giudiziarie del secondo Novecento italiano, fonti determinanti per ricostruire la storia del Paese , ed è l’occasione per lanciare la proposta di una migliore cooperazione tra giuristi, archivisti, storici per il riordino e l’interpretazione di queste carte.

Nella sala Alessandrina erano riunite eccellenze dell’archivistica e della storiografia, nonché giuristi studiosi dei grandi processi del secondo Novecento.

Il direttore dell’Archivio di Roma Paolo Buonora ha sottolineato come si sia usciti dall’orgia ideologica della smaterializzazione per ritrovarsi con masse di carte “brutte, sporche e cattive” da gestire. Ha auspicato una triangolazione virtuosa tra amministrazione dei Beni culturali, amministrazione giudiziaria e demanio per garantire gli spazi adeguati alla collocazione e consultazione di tali archivi.

Michele De Sivo docente di archivistica si è soffermato sulle carte del processo Moro, sul processo per diffamazione contro Scalfari e Jannuzzi su denuncia di Di Lorenzo e  sulle carte del Piano Solo, carte secretate o destinate allo scarto o perdute e recuperate in extremis che contribuiscono in maniera determinante alla lettura della storia della nostra fragile democrazia.

Il magistrato Antonio Bevere ha dichiarato le sue preoccupazioni per lo stato della conservazione degli archivi, soprattutto per quanto riguarda il Mezzogiorno, mentre Tommaso Nencioni e Francesco Biscione  hanno illustrato il processo di svuotamento della democrazia dall’interno delle istituzioni, in particolare col progetto della P2.

Preziosi gli interventi metodologici di Paola Carucci e Linda Giuva per lanciare un Piano di conservazione in collaborazione tra Beni culturali e Giustizia.

Zeno Zencovich ha suggerito percorsi interdisciplinari a livello universitario con una migliore integrazione tra i vari dipartimenti.

La Presidente della nostra istituzione, Silvia Calamandrei,  intervenendo per apprezzare l’iniziativa, ha ricordato che il problema della cooperazione per gli spazi e della interdisciplinarietà esiste anche a livello di territorio: un esempio sono gli archivi dei tribunali soppressi e le difficoltà connesse alla loro collocazione, nonché ai problemi di competenze professionali adeguate alla loro gestione. Un esempio è quello dell’archivio del tribunale di Montepulciano, la cui parte storica è già custodita dalla nostra istituzione ed offrirebbe opportunità significative di studio della processualistica purché cooperino differenti discipline. Per quanto riguarda gli archivi più recenti, che potrebbero esserci affidati, spazio e competenze sono problemi chiave da risolvere.

(Silvia Calamandrei)


A queste considerazioni della Presidente vorrei aggiungerne una sul problema dlla conservazione degli Archivi giudiziari che si stanno formando al presente in forma digitale: sono stati studiati adeguati modi di conservazione di questa documentazione su supporto “poco materiale”? Cosa, per esempio, all’interno di un “fascicolo digitale” giudiziario deve essere conservato, e quindi se ne deve prevedere una possibilità di consultazione ancorata a mezzi materici certi, e quanto invece può correr il rischio di scomparire in un ipotetico ma possibile crollo tecnologico, o più semplicemente nel caso di una cattiva gestione del complesso dei dati informatizzati?

(Duccio Pasqui)

 

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