Skip to content Skip to left sidebar Skip to footer

Documenti. Sec. 19. Carlo Minati, di Antonio Discovolo, in “Minerva Medica”, 1969

 

Da “Minerva Medica”, 1969, aprile 21, 60 (32), pag. 1578 – 87

 

  

Il Prof. Carlo Minati

(1824-1899)

Con lettere inedite sue, del Dott. Francesco Piazza, Chirurgo del 1° Battaglione volontario fiorentino in Lombardia, e uno scritto inedito di Antonio Discovolo *) su Carlo Minati, suo patrigno.

 

Carlo Minati. Molti si chiederanno: “Chi era costui?”. I pochi che sanno chi era, potrebbero rispondere a chi lo ignora ed io che sono uno dei pochi a saperlo, sono convinto che tale personaggio meriti di non essere lasciato nell’oblio, sia per le benemerenze che egli acquistò nelle scienze mediche, nella storia e nelle lettere che coltivò con grande passione, sia mper la parte importante ch’egli ebbe nei moti politici del Risorgimento Italiano. E qui sento il dovere di ricordare quanto di Lui scrisse e con ben maggio re competenza, l’illustre Prof. Pietro Berri, medico, storico e musicologo. Dal suo articolo dal titolo “A proposito degli ultimi istanti di Giuseppe Mazzini”, comparso su “Minerva Medica” il 1° Set. 1954, desidero riportare il seguente brano: “Questo dunque quel Prof. Carlo Minati, non soltanto ostetrico, ma grande medico perché versato in ogni branca della sua scienza, grande e aperto intelletto e grande cuore. Le lacrime da lui piante sull’emaciato e stanco frale di Giuseppe Mazzini, lacrime d’amore per colui che era stato l’idolo della sua giovinezza e insieme di dolore e di disinganno per non essere riuscito a strappare alla Parca la preziosissima vita, conferiscono al Maestro toscano un ulteriore titolo di nobiltà e lo additano alla riconoscenza dei posteri, di coloro soprattutto che, come il Minati, del verbo mazziniano hanno fatto norma di vita morale, familiare, politica”.

Una figura dunque da non dimenticare e di cui, anche se indirettamente, io stesso vado orgoglioso. Egli era infatti il patrigno di mio padre, avendo sposato in seconde nozze mia nonna Geltrude.

Nato a Montepulciano il 17 aprile 1824, educato severamente ma con amorevoli cure avviato ai princìpi di rettitudine, sentì anche in tenera età amore allo studio. A soli 12 anni, pur non trascurando le scuole, mentre i suoi compagni si divertivano, egli andava da un negoziante a tenere i conti. Retribuito per tale ufficio, era felice di possedere quel po’ di denaro per essere utile anche ai suoi piccoli colleghi, dividendolo con loro. Il babbo Olinto, architetto, sperava che il suo Carlino avesse un giorno scelta la stessa professione, ma invece seguì quella del nonno Rodomonte che fu medico. Proseguendo gli studi classici con entusiasmo, egli riportò premi ed onori. Tra le vecchie carte di casa, ho ritrovato alcuni quaderni di suoi scritti giovanili. Nel frontespizio di uno di questi è scritta la seguente epigrafe:

 

“Onde negli anni più maturi conosca

Quale fosse mia mente

Toccato di mia età il terzo lustro ed anche prima

Io Carlo A. Minati

I miei seguenti scritti trascrivo.”

 

Dunque, a 15 anni e anche prima, Carlo Minati scriveva in prosa e poetava e suoi sono vari canti che leggo nel suo taccuino e che hanno titoli come questi: “Passaggio dell’Eritrea”, “La morte di Ettore”, “La morte di Priamo” che, se oggi fanno un po’ sorridere per certi versi come:

 

“Di gridi festosi

Suonavan le valli

Di trombe e timballi

S’udiva il fragor…”

 

Denotano però una capacità e maturità artistica non comune per così giovane età. E leggo ancora: “La corsa delle navi troiane” tolta dal Libro V di Virgilio e tradotta in versi; e poi: “Il dì dell’Incoronazione di Ferdinando I Imperatore”, “La morte di Numa”, “Attilio Regolo”, “Scevola”, “Orazio Coclite”, “Camillo”, “L’Ascensione”, “La Pentecoste”. Seguono poesie in latino e una traduzione delle Odi di Orazio in versi italiani, preceduti da questa postilla:

 

” Ho ben conosciuto essere per me tali traduzioni prive di ogni merito benché scelte fra molte altre che mi sembravan peggiori. Nulladimanco havvi inserito ancora alcune di quelle che maggiori difetti mi parea contenessero, a mostrar meglio il progresso che forse ho fatto in questo mio esercizio. Vogliano le presenti, a rammentarmi anch’elle (poiché tal libercolo dovrassi trovar sempre in mia mano) che la delicatissima musa Oraziana toccòmmi il core e mel toccò poeticamente. Poetiche furono le mie riflessioni si di essa e la mente appena trilustre spinsemi a poeticamente tradurle. Forse mi sarà grato tra d’altri studi ed occupazioni, versare una lagrima sopra una musa che dopo il vagito dovrà trovare la tomba!!”.

 

Questo era il giudizio che il Minati dava a sé stesso. Il taccuino contiene altre sue poesie, epigrafi e citazioni di autori greci e latini **).

Altri due quaderni contengono le traduzio0ni da lui fatte del “L’Andria” e de “Gli Adelfi” di Terenzio. E queste portano la data del 1839. Non aveva che 15 anni e ottimi erano i risultati dei suoi studi. Nel mese d’ottobre del 1841, si portò a Pisa a studiare medicina, approfittando dei mezzi che gli somministrava la nonna Marianna Padroni, che era sorella del celebre letterato Giovanni Battista Casti “poeta cesareo” al seguito dell’Imperatore Giuseppe II.

 

“Alla nonna Marianna Minati – Montepulciano

Pisa 22 Dicembre 1841

 

Carissima Nonna

 

Desiderata, con entusiasmo ricevuta fu da me la sua lettera di risposta; consolante per le buone nuove di sua salute, utilissima pei saggi conforti e consigli da’ quali, conoscendomi bisognoso, cercherò di non allontanarmi giammai. Sbalzato quasi direi, di recente in un mondo novello per me, sento pur troppo bisogno di trar profitto dai consigli specialmente di chi per lunga ed infallibile sperienza mi ha preceduto. Io confesso intanto che è verissimo che io ho comune il destino con tutti gli altri giovani studenti, ma restami un dubbio ancora di sapere cioè, se ho comune con essi un animo bollente d’amore per la mia famiglia, e una incontentabilità, su ciò che gli uomini chiamano sollievo.

Ma basti qui il dubitare: chè quantunque durassi a esporle questi dubbi anche per intiera una giornata, non avrei dimostrato altro che quel che dissi nella mia lettera passata, e di cui ella cerca confortarmi, cioè, che l’abitudine a star lontano dalla famiglia, non è così facile a conseguirsi.

Colgo di questa favorevole circostanza della risposta, per venire ad una cosa essenziale. Corre antica usanza di scriver lettere di buoni augurj nella prossimità del S. Natale e del nuovo anno: lettere invero che riescono poco pregevoli, per chi scrive onde segni meramente la ceremonia: e riguardate sotto quel titolo, non sono che vere esagerazioni e finzioni. Questa mia lettera però ha tutt’altra impronta. A me tolto di poco ai gaudj della famiglia e dei parenti, e da non breve tratto di cammino tenutone lontano, che altro restami se non il poter desiderare felicità a tutti i miei, a Lei specialmente a cui son tanto dovuto? Come potrei dimenticare di quanta letizia siano questi giorni nella famiglia, io, cui tutte le memorie di costassù, sono sempre innanzi agli occhi schierate? Oh! Torni pure il Natale, ed ella possa godere di tutte quelle felicità che il dolce familiare consorzio le possa somministrare! Questi giorni trascorsi, il presente anno correrà alla meta. Non sono me lo creda indifferenti i voti che io porgo al rinnovarsi di quello. Ogni bene io imploro per lei dal Dio che consola e il seguito di una lunga serie di anni. Ma se lunga la seri degli anni io domando v’è in me pure un desiderio giovanile, che mi spinge a bramare che ratti scorrano quelli, alla fine de’ quali sta la meta delle mie fatiche, il compimento dei desideri di tutti, il frutto dei sacrifizi da Lei fatti per me. Allora tardi scorrano gli anni, ed io possa avere il doppio contento d’impiegarmi in sollievo della umanità, e di avere appagati i miei voti consolandomi con la di Lei presenza.

Questi voti pertanto non vengono dalla cerimonia. Ella sa bene quanto poco io mi adatti ad essa. Ma spero che li vorrà riguardare dettati da un animo candido pari a quello con cui baciandole la mano, a Lei mi raccomando e dichiaro:

aff.mo Nipote Carlo”.

 

Morta la sua avola nel 1842, fu da insigni professori presentato al Gran Duca di Toscana che, per un anno, volle personalmente mantenerlo agli studi mentre poi negli anni successivi egli godè del posto governativo che gli fu mantenuto fino al 6 luglio 1846 in cui ottenne la laurea con plauso.

In una lettera da Firenze il 13 novembre 1846, tra l’altro, così scriveva al padre:

 

“Ho trovato una camera in Via Fiesolana, al n. 6855, per L. 12 al mese, senza fuoco e senza olio, ma colla biancheria. Fincheè non si presterà l’ccasione, vado alla trattoria dove non trovo avverati i prognostici dello Zio Ettore”-

 

Studiò poi tre ani a Firenze, come volevano i regolamenti d’allora e prese la matricola di libero esercizio nel gennaio 1849 in chirurgia e nel febbraio dell’anno successivo in medicina. In questi anni in cui si preparavano alti destini per l’Italia, il Minati fu ardente ed operoso patriota e fu uno dei tre federati a cui Mazzini aveva dato incarico d’impiantare a Montepulciano la “Giovane Italia” e per la ptria patì persecuzioni, carcere, esilio e per la patria andò volontario nel 1848 nella Lombardia.

Le sue lettere, che di questo periodo conservo, ne sono la testimonianza ***):

 

“Pistoia 22 Marzo 1848

 

Carissimo babbo,

 

Col cuore gravemente commosso ma collo spirito sereno per la coscienza di avere adempiuto ad un dovere sacrosanto, le d’ avviso che sono giunto in questa città facendo parte del Corpo dei volontari che si è mosso per guardare i confini. La reverenza che ho sempre custodita entro di me a riguardo dei di Lei consigli, mi spingeva a chiedere il di Lei consenso, ma la istantaneità del partire e del risolversi, mi tolse anche questo conforto grande e solenne per me e altissimo desiderio.

Oh Babbo mio! Ho pensato tanto e poi tanto a voi e alla cara mamma e a quell’angiolo di Penelope: eppure, non ho saputo sottrarmi alle gravi esigenze attuali e mi son  persuaso di compiere anzi l’ultimo e sacrosanto dovere verso la mia famiglia. E’ vero, noi navighiamo in un mare ignoto: ma forse è meno pericoloso che non si creda. Iddio ci aiuterà!

Babbo mio, non fu segno il mio di immaginazione commossa. Se avesse udito il fremito di una popolazione di oltre centomila abitanto, come era imponente, nessuno avrebbe esitato di fare un passo che tutti i miei colleghi concordemente hanno fatto, non badando a niuna condizione di salute, ne’ di facoltà. Con me, sufficientemente rinvigoriti di forse, marciano professori persone quietissime, giovani ottimi, persino tisici a stadio avanzato. E questo son circostanze affidate alla gioventù, ed ella le sostiene con vero amore, perché sa che sul di lei fucile riposa la nostra quiete, l’onore di tutti. Io non ho rimorso di avere abusato delle circostanze, ma ho però la coscienza di essermi serbato alle estreme e di averle seguite con dignitosa abnegazione di me medesimo, e consacrate con l’estremo dei sacrifici.

Oh! Beneditemi – ve lo chiedo col profondo dell’anima – beneditemi insieme an la cara mamma e pregate colla nostra Penelope Dio, per il vostro Carlo, che vi abbraccia con la più grande espansione del cuore.

Tanti saluti da parte della Sign.ra Civinini e dei di Lei fratelli e figli carissimi da i quali tutti in quest’oggi sono stato ricolmo di immense gentilezze. Anzi siccome non mi è dato di precisare il mio itinerario, a quest’ora, vi prego di dirigervi a questi signori se vorrete saper qualche cosa, ove le comunicazioni migliori fossero interrotte, e restassero quelle soltanto che sono ampiamente concesse dalla vicinanza dei  luoghi.

Io intanto vi scriverò per la posta; ma siccome può darsi che istantaneamente varj la mia stazione, di queste mutazioni io avvertirò alcuno di questi signori, i quali potranno così rimettermi le lettere ch’Ella potrà diriger loro, avendoli richiesti colla massima caldezza di favorirmi, e sono certo d’essere esaudito.

Tanti baci e tanti abbracci,

Aff.mo figlio Carlo”.

 

“Castelnuovo Garfagnana 26 Marzo 1848

 

Carissimo Babbo

 

Da Pistoia le diressi la notizia della mi determinazione presa: ora per ogni sua quiete sappia che sono arrivato insieme co’ nostri nel Ducato di Modena, non senza qualche pericolo al primo scontro, ma però senza offesa di nessuno, Questo e i paesi circonvicini gridano Viva Leopoldo secondo, e così sembrano conquistati senza sparo di fucile. Di Modena non le dico nulla perché dai giornali sarà anche più di me informato. L’ardore di questa Milizia è immenso: la tolleranza alle fatiche esemplare e ognuno è più sano di quando partì. Io di salute non sono stato mai tanto bene. E mi dispiace solo di non poterLa informare di quel che si deve fare in appresso, giacchè i superiori ci tengono da soldati veri e non ci danno gli ordini che alla circostanza. In prova di ciò le farò riflettere che la mattina che partimmo da Pistoia eravamo tutti diretti a Modena dalla parte di S. Marcello, quando un comando divise in due la nostra colonna e la prima seguì la strada indicata fornita di 8 cannoni, di una compagnia di Cavalleria; la seconda cui io stesso appartengo, seguì la via di Lucca, diretta alla Garfagnana. Per ora dunque è presa tutta la Garfagnana e Massa Carrara e son ritornati i nostri antichi Dominj. Il resto è nelle mani di Dio. Nella 1° colonna citata, trovasi Gaspero Portelli; nella mia, quel Francesco Caneschi detto Fustavo e Torquato Mazzoni.

Resta ora che Lei e Mamma e Penelope raccomandino a Dio il loro Carlo, il quale in questa nobile impresa e santa, non d’altro è turbato che dalla loro lontananza.

Dell’indirizzo nostro di Pistoia non è da farne più conto, essendomi allontanato anche di troppo. Piuttosto, se vuol farmi sapere qualche cosa, che si figurerà con che ansia io l’attendo, si dirigerà al Dr. Odoardo Bargagli praticante in S. Maria Nuova il quale non avendoci potuto seguire per essere cieco quasi affatto, si è prestato a tenere animata qualunque corrispondenza colla Capitale e col resto delle famiglie dei suoi più stretti amici.

Raddoppio i baci consueti alla Mamma, a Penelope, a Lei, mentre le chiedo la S. Benedizione e sono:

 

aff.mo figlio Carlo.

 

P.S. – Perdoni se ho scritto con molto disordine, ma il frastuono della milizia non perfettamente disciplinata del paese che sembra ardere di gioia, il viaggio di circa 70 miglia (che esso mi ha poco stancato) non mi hanno permesso di meglio. Se Dio mi concederà di tornare, allora rammenteremo e forse con gioia questi giorni, che creda per me sono stati fecondi di emozioni profonde.”

 

“Fivizzano 2 aprile 1848

 

Carissimo Babbo

 

Dopo lunghe e faticose marcie giungemmo a recuperare Fivizzano d’onde dopo il soggiorno di 4 giorni partiamo domani per la Pieve a Pelago nel Modenese. Ho visto ormai cosa è la vita del militare; m al’esser privo d’ogni nuova di Lei, mi accora oltremodo e mi prostra lo spirito. Io ho intenzione di seguitare ormai questa impresa almeno finchè seguiteranno gli studenti dell’Università. Sper che intanto le cose prenderanno buona piega. Babbo mio, le raccomando caldamente di darmi qualche sua nuova perché altrimenti passo delle ora in tale mestizia da farmi disperare. Le lettere, perché mi giungano sicuramente, devono essere recapitate in Firenze a Comando di Piazza colla mia direzione indicandovi altresì la colonna capitanata dal Fortini e la Compagnia Bettini: però se mi vuole scrivere, occorre che si diriga qualcuno in Firenze: e perciò le proposi già il Dr. Odoardo Bargagli praticante in S.M. Nuova. Ma per quanto le abbia scritto tre o quattro volte, non ho mai avuto risposta. Per carità mi scriva. Stia tranquillo che per ora non corriamo alcun pericolo. Abbracci e baci per me la Mamma e Penelope principali oggetti con Lei di ogni mia tenerezza, mi benedica e mi creda di core

 

aff.mo figlio Carlo”.

 

Da questa lettera del 2 aprile 1848 risulta che il Minati avrebbe prseguito con la colonna toscana per la Pieve d Pelago, ma può darsi che egli fosse stato rimandato a Firenze. Lo conferma infatti una sua lettera al padre datata Firenze 6 maggio 1848, in cui è interessante la seguente notizia:

 

“il signor Sotto-prefetto ha fatto richiamare presso questo tribunale il Landi col titolo di aver abusato dl denaro che ognun sa essergli giammai stato affidato nella spedizione dei volontari”.

 

Si trattava del suo caro amico Prof. Pasquale Landi col quale nel 1852 si recò in Francia a completare i suoi studi scientifici sulla applicazione della elettricità alla medicina, sotto la direzione del celebre Duchenne de Boulogne.

Che il Minati dall’aprile al giugno del 1848 fosse in Firenze, chirurgo nell’Ospedale di S. M. Nuova, lo confermano anche le lettere del suo amico Dott. Francesco Piazza, milite toscano e chirurgo del 1° Battaglione volontario fiorentino in Lombardia.

Molto importanti sono queste lettere e infiammate di entusiasmo. Di alcune trascrivo i periodi più interessanti.

 

“Da Modena, 9 Aprile 1848

Alle ore 3 pomeridiane di questo giorno s9 siamo entrati in Modena in n. di 2000 fra Civici e Bianchini; giunti, abbiamo trovati 800 Ungheresi che hanno capitolato e sono qui prigionieri con 30 capitani e il nipote di Metternich con altri generali. Questa notte partono, lasciando i fucili, ma 130 cavalli gli sono stati rilasciati. A dir la verità mi girano i … nel vederli, ma sono tanto avviliti che fanno pietà!…

…Domani andiamo a Mirandola sotto Mantova…

Forse ci batteremo domani l’altro Dio lo voglia! Me ne sento struggere, cioè tutti sono d’unanime sentimento. Siamo disposti a tutto, intanto in questa città si sta bene e ci sono da 3 ore. Ora scrivo da tavola insieme col Prof. Zannetti. Che buon vino! Domani o doman l’altro palle! Pazienza. Mi pare d’essere in paradiso. Si sa che i tedeschi più che a Mantova, sono nel forte e noi ce li leveremo. Si dice anche che abbiano inalberata la bandiera di pace e che, altra notizia, i Piemontesi gli abbiano anche tolte le acque per bere. Bella cosa!

In altro momento ti darò più minuto ragguaglio dei fatti.

Bella mia Bionda!”.

 

“Da Gazzolo 21 Aprile 1848

Ieri mentre tornavo da impostare la lettera che ti ho diretto e che avrai ricevuta, trovai una tua carissima del 13 corr. ove sentii con piacere le tue buone nuove di salute; mi consola il sapere che tu serbi buona memoria di noi e di cui nutri grande stima mentre nulla ancora si è fatto a meritarla.

Stiamo propriamente di fronte al nemico, né gli volteremo la faccia; pare però che dopo aver perduto il senno, abbia anche perduto la forza, perché ad ogni incontro ne tocca sempre, e molte. Facilmente Lunedì si passa l’Oglio per avvicinarci a Mantova, poiché nella settimana entrante è stato prognosticato l’assalto.

Nulla rispondo sulle tue poche determinazioni e su quelle che sarai sempre per prendere in seguito, come traspare dalla tua, solo ti dico, e ti ripeto nell’altra mia, che tu pensi alle tue cose nel miglior modo possibile senza detrimento del tuo amor proprio e della tua già considerata reputazione”.

 

“Da Montanara 9 Maggio 1848

Ogni volta ch’io ricevo i tuoi caratteri il mio cuore si apre a nuova vita; la tua carissima del 30 Aprile mentre mi è stata cara perché tua, da una parte mi è rincresciuta per le tristi notizie che per essa mi dai dello stato pessimo a cui soggiace Firenze e la provincia. Io non so far ragion e a me stesso di questo intestino movimento, mentre la Toscana sa d’avere i suoi figli di fronte al nemico per liberarla.

Si vergognino quelli d’ogni partito e pensino che dovranno fare i conti con Noi.

Noi soffriamo e molto da non descriversi. Non abbiamo un tetto che ci difenda dai rigori della notte, non un letto e invece di questo un prato ma estremamente fangoso, scarso pane cattivo e per carne manzi del 300.

Finalmente un nemico che tutti i giorni ci attacca. Eccoti intanto le notizie d’ieri. Alle 10 ½ gli Austriaci ci attaccarono da due parti contemporaneamente.

Il combattimento durò 1 ora e ½. I Napoletani ne toccarono poiché morirono 5 o 6 feriti passano adesso per andare allo Spedale di Bozzolo; caddero molti Austriaci. Laugier poi ha fatto la strage degli Innocenti e senti come.

Quando egli si accorse che si avanzavano fece schierare le truppe per fila di battaglia, dietro pose tre pezzi di cannone, intanto ordina il foco di plotone, quindi passa a quello di fila; gli Austriaci si avanzano, tirano e pensano certa la disfatta, ad un tratto ordina per fianco destro e per fianco sinistro ai Battaglioni schierati apre a passo carica la divisione. Tira sui Tedeschi tre o quattro colpi di mitraglia che ne colpiscono un’infinità. Al cento si provarono se potevano sfondare e si avanzarono per lo stradone alla distanza di 300 passi, ma poi pensarono meglio e tornarono in fortezza. Quattro nostri dragoni gli andarono dietro e gli portarono via dai posti avanzati fino una montura e raccattarono le palle che gli venivano dalla fortezza. E’ un ridere, non ci fanno più paura né cannonate, né fucilate. Tutti i giorni scaramucce al solito con perdita sempre degli Austriaci.

Mi dimenticavo di dirti perché i Napoletani e Livornesi ne toccarono ieri e come avevano cercato di buggerare anche noi. Dalla Fortezza tirano un razzo e questo era il segno dell’attacco da ambedue le nostre Ali, di poi marciando tirarono certi razzi che facevano gran fumo per cui ottenebrarono il tragitto che dovevano eglino percorrere per arrivarci addosso coi pezzi d’artiglieria, fecero codesto lavoro ai Napoletani (privi di cannone) ma questi tirarono per molto, gli Austriaci sventolarono allora la bandiera tricolore ed urlarono Viva Pio IX, i Napoletani li cedettero dei Nostri e sospesero il fuoco per un momento e i Tedeschi gli fecero fuoco addosso e li rovinarono un poco, però più sanguinosa ricominciò la battaglia, non perderono un palmo di terreno.

Abbiamo la notizia certa che la Fortezza di Peschiera è presa non però la Città.

Qui si son manifestate delle febbri con carattere di periodica, ne prevedo delle gravi e se non ci danno un poco di riposo, le cose vogliono andar male, perché non si può sopportare la vita infame che ci fanno fare.

Assicura la mia Stella che io sono vivo, sano e salvo”.

 

“Da Montanara 11 Maggio 1848

Ieri l’altro 9 a ore 6 antimeridiane avemmo l’ordine di partire immediatamente non si sapeva per dove. Infatti furono richiamati gli avamposti di S. Silvestro (la nostra ala destra dell’esercito) passammo per Curtatone quivi raggiungemmo le truppe di Laugier e via facendo si unirono a noi quelli del Quartier Generale e tutti insieme fummo portati a Goito lasciando il nostro campo già ben fornito di capanne e di qualche altro comodo che il poco tempo ci diede di provvederci. Il primo battaglione rimase a Sacca lungo lo stradale che conduce a Goito a due miglia dipresso. A Sacca intanto ci si annunzia la perdita del nostro Colonnello Giovannetti per volere superiore mentre ci si faceva succedere il Colonnello Melani venuto quivi appunto per prendere il comando della nostra colonna volontaria. A questo annunzio ne succedette una rivoluzione, ogni Civico si armò a conto suo e immediatamente fu bloccata la casa del nostro amato Colonnello; questi pianse per tale notizia; intanto ci rimaneva una via per riacquistarlo; una deputazione di volontari e Capitani Civici di fatto andarono al Quartiere generale ove ebbero la promessa che il Colonnello ritornerebbe con noi. Il giorno appresso ci venne ordinata una marcia per Castelluccio non si sa a che fare, ci dicevano a scortare la munizione dei Napoletano che mandarono con noi. Si va a Castelluccio ove erano gli Scolari i quali hanno fatto una retromarcia di 20 miglia e sono tornati a Casal Maggiore. Alle ore 4 si grida all’arme, ci sono i Tedeschi. Si sentono dei colpi di fucile ripetutamente per 1 ora. Disgraziatamente era il Maggiore Landucci che si batteva alle Grazie, della quale battaglia è rimasto vittima perché fu ferito mortalmente nell’epicardio destro. I Tedeschi ebbero le sue, un ufficiale perì fra loro.

Si fanno qui estese fortificazioni. Laugier è nostro Generale supremo, ma intanto non vediamo Giovannetti. Ci disse il Generale essere molto malato, quando partì fu fischiato e gridato abbasso il Generale Ferrari, è un Codino.

Ora più d’ogni altro tempo siamo in un bivio terribile. Carlo Alberto non vuole volontari, si rilasciano permessi e congedi a chi li domanda. Il nostro Corpo va a poco a poco disciogliendosi, molti se ne vanno scoraggiati, altri per ben riflettute ragioni; tutti non sanno a qual partito appigliarsi. La guerra è lunga e tutti dicono non è da volontari; altri, credo giustamente, dicono: la gloria la vole tutta Carlo Alberto e così sia!

Intanto a fomentare lo sgomento e la determinazione alla partenza si aggiunge il cattivo trattamento, infatti è quattro giorni che ci tengono sulle armi, ne’ ci danno da mangiare o quando ce lo danno è una minestra di riso all’acqua.

Quanto a me non so cosa farò, ma sono oltremodo stanco del continuo soffrire, per ora ho forza di resistere, domani non so. Mi avveggo che i volontari devono e dovranno fare da comparsa nel teatro della guerra. Persuaditi che vi è un gran malumore però la Civica è sempre la stessa di fronte al nemico ma fra qualche giorno è diminuita della terza parte e se sarà così, tra pochi giorni sono a Firenze nauseato troppo dalle iniquità del Governo e dalle vedute di Carlo Alberto.

Il carattere della guerra attualmente è di assedio. Questo non è per volontà nostra. Cosicchè o prima o poi bisognerà tornarsene tutti alle nsotre case”.

 

“Da Rivalta 20 Maggio 1848

 

Scrivo in replica alle tue due carissime del 13 e 17 corrente. E quanto alla prima mi duole assalissimo che corrano delle voci a carico de’ nostri battaglioni di volontari, i quali ti giuro non hanno a rimproverarsi che molte sofferenze male a proposito patite; se poi a dir male di Noi, prendono argomento dai fatti accaduti ad opera dei Livornesi, non trovo strano il rimprovero che se ne fa a tutti, poiché, ove hanno posto il piede hanno commesso ogni sorta d’infamità che è meglio tacere compreso da troppa vergogna. Ne’ taccio d’aver voltate piangendo le spalle al nemico presso S. Silvestro. Infamia eterna imperdonabile! Del resto quanto a Noi siamo stati sempre obbedienti, non agli Ufficiali, ma all’appello delle armi pressante il nemico; qualche tuo e mio compagno si è cacato, in queste circostanze, nei calzoni.

Come avrai saputo il giorno 13 fu tremendo per l’inimico, e da quel giorno non si è più visto in faccia. Da quel giorno ho prese contrarie determinazioni, e penso di restare qua.”.

 

“Da Rivalta 22 Maggio 1848

 

Ieri mattina alle ore 9 cominciò un cannoneggiamento a Peschiera che durò fino alle 6 di ieri sera e continuamente. Credemmo che Carlo Alberto incominciasse la breccia, ma notizie positive che ci arrivano in questo momento ci dicono che erano i Tedeschi che tentavano impedire i lavori preparativi che si stanno facendo per la breccia, ma gli fu impossibile di farli desistere dal lavoro. Questa mattina è incominciato a tuonare il cannone. Per quanto sappiamo a Montanara non ci sono più i Tedeschi dal giorno 13 in poi. Finalmente dopo un mese e 20 giorni, ieri sera ho salito il letto.

Abbiamo una bella villa del Conte Arrivabene di Mantova, vi è anch’esso. Annesso alla villa abbiamo un bel giardino con bosco inglese lambito al di sotto dalle acque del Mincio. Insomma non manca nulla. Speriamo che questa vita duri un pezzo, ciò che non credo. Le Compagnie che quivi stanno sono la 1a e la 2a “.

 

“Da Montechiaro, 5 giugno 1848

 

Estremamente consolante mi è stata la tua cara del 2.

Saprai che colla Colonna Giovannetti non ci siamo anche riuniti e domani forse ci troveremo a Brescia, perché lui stesso ce lo disse passando di qui; sappiamo però che a Montanara furono orribilmente disfatti e molti sono morti da veri italiani e moltissimi sono stati fatti prigionieri. Là perderono tutti i cannoni. Puoi figurarti in quale desolane situazione ci troviamo tutti e quale sia lo scoraggiamento perché immense furono le perdite.

Carlo caro, fu un gran giorno il 29 per Noi! E forse ha decise le cose d’Italia poiché il seguito di fatti ce ne dà la speranza. Ma è grave la perdita, è tanta, credilo e mi si strazia il cuore a ripensarci. Il povero Pilla, il povero Montanelli, il Tonino Porra e forse Morandini, il povero Pecori ed Emilio Nespoli sono le vittime immolate alla Patria, senza dire d’altre molte carissime che non annovero per non affliggerti di soverchio come di tanti altri poveri Scolari figli di questa Patria infelice. Ma sappi che i Toscani si sono battuti quattro ore e mezza in n. di 6.000 contro 22.000 artiglieri e 24 pezzi di artiglieria!

Iddio è con Noi mi hai detto più di una volta. Egli non ci è. O se ci è, perché può permettere tanta strage? Perché coadiuvare alla nostra disfatta? E che abbiamo fatto noi di delitto per meritare sì tanto desolate gastigo di fronte ale orrevoli infamità dei nostri nemici? Iddio non c’è!!!”.

 

“Da Brescia, 12 Giugno 1848

 

Ti darò notizie tali che se sei dicattivo umore, andrai a letto cotesta sera ubriaco. Si sa certamente che Montanelli è vivo, che Pecori è vivo ed ha scritto, Frosini è medico coi Tedeschi, insomma tutti sono tratati divinamente, si sa dalle di loro lettere che ci pervengono al Campo di Carlo Alberto il quale tutti i giorni manda a Verona e a Mantova un aiutante maggiore a prendere e portare lettere dei prigionieri.

Qui a Brescia abbiamo 266 feriti. Noi siamo tutti allegri e speriamo che Firenze anch’essa si rallegrerà. Non posso descriverti cos’è per noi Brescia. Tutti ci ammirano, tutti ci rispettano e ci prodigano inaudite gentilezze, credi che si sta come in Paradiso, ma si spende un orrore. Tanto avrei a dirti di questa Città, ma sono tante le premure che ci fanno che è meglio tacere che dir poco. C’è una grande anima nel Bresciano, nel Milanese non si cogliona e intanto vengono di Milano ad encomiarci come tanti prodi; non so cosa si sia fatto di più quando si è fatto il nostro dovere”.

 

“Da Brescia 20 Giugno 1848

 

Per commissione straordinaria vengo mandato immediatamente a Firenze, a tale oggetto questa sera alle 8 parto per Milano, ora vado a prendere gli ordini al Comando Generale e il foglio di rotta.

Dal Campo nulla ho da dirti, per ora siamo qua fermi attendendo delle risoluzioni.

Martedì mi portai a Peschiera. Ebbi molte occasioni di divertirmi. Vidi anche Carlo Alberto a Desenzano nel mentre che faceva la rivista agli studenti di Milano”.

 

“Da Pontremoli 22 Agosto 1848

 

In questo momento ci giungono gravi notizie di Livorno e sono partite questa notte tre Compagnie per cotesta città, la ventura notte partono anco i Civici. Si dubita che a Pontremoli vengano i Tedeschi col Duchino, perché ora qu è tutto scoperto essendo partite tutte le truppe. Io resterò qua per qualche altro giorno primieramente perché ci rimarranno molti ammalati”.

 

Del medico Piazza, amico del Minati, non si ha più notizie e del Minati si sa che nel 1849, cadute le sorti del Paese ed essendo la Toscana occupata dagli Austriaci, si rifugiò in S. Donato in Poggio dove, per due mesi, esercitò la professione di medico condotto****). Egli era attivamente ricercato dalla polizia.

Azzardatosi a tornare in Firenze, fu subito sorpreso dalla polizia che lo pose di nuovo sotto processo e fu condotto al Bargello, reo di aver preso parte col Fabbrucci a una violenta dimostrazione repubblicana in Montepulciano. Ma tosto fu liberato per la famosa amnistia per i condannati politici, concessa da Pio IX.

Come già accennato, nel 1852 andò in Francia e nel 1854 ritornò in Italia e prese parte attivissima nella cura e nella assistenza dei malati colpiti dal colera che infuriò nel 1854-55.

Dopo questa epidemia, fu s

« Torna indietro