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Una bella riflessione di Alfredo Viterbo su Piero Calamandrei

L’avvocato Alfredo Viterbo ci ha gentilmente concesso la pubblicazione di una sua rilfessione su Piero Calamandrei, che sintetizza e rende chiaro uno degli aspetti “politici” essenziali del suo pensiero.

Malgrado il passare del tempo, il ricordo di Piero Calamandrei non viene meno nella memoria collettiva. Anzi si rinnovano pubblicazioni di Suoi scritti (tradotti in varie lingue nel mondo); nascono Centri di ricerca a Lui dedicati, a Lui sono intestate scuole, di Lui si rintracciano continuamente citazioni nei discorsi di studiosi, di politici, di educatori.

Eppure riserve sulla Sua figura altrettanto ripetutamente ricorrono nelle considerazioni di taluni intellettuali di sinistra.

Spesso questi intellettuali contrappongono la scelta di campo fatta dal figlio Franco Calamandrei, combattente partigiano, a quella del padre Piero Calamandrei che si oppose al regime più che altro sul piano scientifico, sul piano dell’etica, sul piano filosofico.

Che Piero Calamandrei sia, poi, stato il cantore della Resistenza appare a questi intellettuali quasi come un’appropriazione indebita.

Certo, Piero Calamandrei è uno dei Padri Fondatori della Repubblica, uno dei maggiori autori della Costituzione più bella; certo la scienza giuridica moderna molto deve al Calamandrei; certo Piero Calamandrei tra le giovani generazioni è ritenuto l’ispiratore della società democratica nata dopo le tragedie dei conflitti mondiali. Certo Piero Calamandrei oltre che Padre della Costituzione è stato anche federalista europeo. Anche l’amore per la natura che Piero Calamandrei coltivò per tutta la vita con scritti, disegni, dipinti, stile di vita è segno della Sua modernità precorritrice.

Ma oltre a tutto ciò, quando si tratta di Piero Calamandrei per comprenderne l’importanza occorre ripetere nel profondo di ciascuno di noi la scelta ideale che fu la Sua e che è quella che sta prevalendo nella civiltà cosmopolita del terzo millennio, malgrado tutto.

Bisogna fare la scelta del superamento della violenza intraspecifica, la scelta della fede nel diritto e cioè della sola laica fede con cui la specie umana saprà sopravvivere e costruire una nuova civiltà seguendo la razionalità della scienza anche nel campo delle relazioni sociali, nella costruzione delle istituzioni sopranazionali, nel ripudio della guerra, nella fondazione della pace perpetua.

La grandezza della figura di Piero Calamandrei sta proprio in questa Sua collocazione ideale assunta quando, invece, la scelta sembrava dover inevitabilmente essere tra le due violenze: quella della Nazione contro quella della Classe. La Storia avrebbe posto sul piedistallo la forza delle Nazioni vincenti nelle più sanguinose guerre, ovvero avrebbe sancito la propria fine col passaggio alla Dittatura del Proletariato all’esito di cruente rivoluzioni.

Queste opposte impostazioni ideologiche non solo hanno distrutto intere generazioni, ma si sono sempre più rivelate incompatibili con lo sviluppo della civiltà, e con la sopravvivenza della specie umana. Le sovrumane forze che oggi mette a nostra disposizione la scienza ci obbligano ad essere pacificamente prudenti.

Dunque si può ritenere che il disagio che alcuni intellettuali di sinistra continuano a manifestare quando si confrontano con la figura di Piero Calamandrei sia il disagio di chi vive nel suo intimo il dubbio per il quale la violenza delle tirannie nazional-socialiste non sia stata tanto più pericolosa di quella dei regimi del socialismo reale.

O per lo meno che la violenza è un male indipendentemente dai fini, è un metodo malsano, una strada che porta all’abisso.

Che il ricorso alla violenza sia ammesso in via di principio per riscattare il destino dell’uomo è una aporia filosofica, una contraddizione in termini che non è più ammissibile.

Se c’è una lezione morale che la specie umana deve aver derivato dalla devastazione delle guerre del novecento, dallo sterminio di decine e decine di milioni di esseri umani, se c’è una lezione che proprio chi vuole il riscatto dei deboli e dei discriminati deve avere imparato, questa è la lezione da portare indelebile nelle menti e nei cuori: la lezione della necessità di percorrere la via non violenta verso la crescente umanizzazione dell’uomo, la via della ragionevolezza della legge illuminata dalla pietas verso le sofferenze del mondo.

Sicché per Piero Calamandrei la fede nel diritto è una fede difficile ma non utopica, anzi è una fede senza la quale non c’è futuro. Quella nella composizione dei conflitti attraverso la legge non è una fede ingenuamente ottimistica ma è un imperativo categorico realista allo stato attuale della società umana nel pianeta, la società detta della conoscenza.

Lo Stato siamo noi e non c’è libertà senza legalità. Calamandrei parlando agli studenti universitari e delle scuole superiori di Milano affermò che il testamento di centomila morti (“Se voi volete andare in pellegrinaggio nel luogo dove è nata la nostra Costituzione, andate nelle montagne dove caddero i partigiani, nelle carceri dove furono imprigionati, nei campi dove furono impiccati. Dovunque è morto un italiano per riscattare la libertà e la dignità, andate lì, o giovani, col pensiero perché lì è nata la nostra Costituzione“) è la Costituzione che sta alla base della Repubblica. Dunque la via del diritto è la sola da percorrersi, è la condizione pregiudiziale di metodo e di merito senza la quale non c’è pace e non c’è civiltà.

Nel nuovo millennio la comunità degli uomini deve essere una pacifica comunità di regole, una comunità di valori, una comunità mansueta, solidale e cooperativa, diversamente sembra certa la fine dell’esperimento uomo.

Se questa ipotesi sul perché del successo della figura di Piero Calamandrei è corretta, ne conseguirà che il Suo insegnamento non sarà sottoposto alla corrosiva critica dei topi, ma sarà, al contrario, sempre più compreso e condiviso dalle giovani generazioni. Ecco perché Piero Calamandrei.

Abbracci federalisti.

Alfredo Viterbo


 

 

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