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Un ricordo di Clara Sereni da parte della nostra Presidente Silvia Calamandrei

31 luglio 2018

Come è noto, la scrittrice Clara Sereni ci ha prematuramente lasciato il 26 luglio scorso. E’ una perdita per la nostra nazione, sia per il valore delle sue opere letterarie che per l’importanza del suo impegno civile. In attesa di una celebrazione della sua vita e del suo lavoro, che abbiamo intenzione di promuovere insieme ad altre Biblioteche durante l’autunno, pubblichiamo un ricordo personale dell’artista scritto da parte della nostra Presidente Silvia Calamandrei.


Ambarabà Ciccì coccò: un ricordo di Clara Sereni

Ho conosciuto Clara in un campeggio di pionieri a Sestola nel 1958, entrambe figlie di famiglie comuniste spedite a trascorrervi un paio di settimane di colonia estiva. Forse ci  incontravamo anche in inverno, nella sede dei pionieri di Roma, con le figlie dei Pajetta a comporre giornalini.  L’ho ritrovata molti decenni dopo, senza esserci veramente incrociate nel Sessantotto, appartenendo a giri diversi, come mi ha confermato la lettura del suo Via Ripetta.

Ma l’avevo già reincontrata nella lettura, folgorata da Casalinghitudine (1987) e Il gioco dei regni (1993), il primo sul versante femminile, di storia personale di donna,  il secondo su quello famigliare, mentre mi trovavo a curare i diari e le opere di mio padre Franco.  Quante ricette riprese dal libro di Clara, per far assaporare piatti semplici italiani agli amici a Bruxelles, dove vivevamo! Soprattutto le melanzane scottate nell’aceto, in un’infusione di aglio e prezzemolo, che continuo a mettere sott’olio alla sua maniera, e continuerò a farlo, ricordandola e citando la fonte! Nella storia della famiglia Sereni  raccontata nel Gioco dei regni avrei poi ammirato  il coraggio di dipanare il groviglio complesso di una famiglia comunista, intrecciato alla storia europea del Novecento. Mi avrebbe aiutato a curare la pubblicazione delle Occasioni di vivere, un montaggio di testi diaristici e letterari di Franco Calamandrei.

Si può dire che l’abbia sempre considerata una sorella maggiore, anche se c’era solo un anno di differenza tra noi, riconoscendole autorevolezza e saggezza, come se mi precedesse sulla strada della vita.

Non le sono stata vicina nelle vicende famigliari, nella energia che ha dimostrato nella reazione ad una maternità resa complessa dalla disabilità del figlio elaborando soluzioni non solo individuali per l’assistenza. Che sarebbero approdate alla Città del sole.  E neppure ho seguito il suo impegno politico e sociale a Perugia, in una stagione in cui era ancora aperta la stagione di un riformismo fattivo ed in cui il noi prevaleva sull’io. Vivevo  all’estero e seguivo da lontano quanto andava scrivendo ed elaborando della sua intensa esperienza, di animatrice culturale, civile e sociale nella realtà umbra.

Ci siamo poi ritrovate tra l’Umbria e la Toscana, anche grazie a Francesca Silvestri e la piccola casa editrice Ali&no, che Clara ha nutrito con la sua intelligenza ed i suoi contatti, facendo della collana Le farfalle una sequela di perle. È stata lei ad insistere perché scrivessi su mia madre, Maria Teresa Regard, e la sua esperienza di giornalista tra Cina, Vietnam e Tibet. Rendere merito alle madri, una operazione difficile, che lei mi ha aiutato a compiere, dopo avermi tanto insegnato grazie a come aveva saputo fare i conti con suo padre. E l’indulgenza, lo sforzo di comprensione le ho apprese da lei, nel rivedere insieme l’introduzione che avevo scritto. L’ho scoperta più sfaccettata ed aperta, più incline a superare le asprezze di giudizio di quanto lo fossi io.

A giugno  di quest’anno abbiamo festeggiato la sua collana, a Perugia, con tanti degli autori, e lei era rammaricata di non esserci. Ci siamo scambiate un messaggio, dispiaciute di non riuscire a vederci, ed ora ci ha lasciati, un po’ interdetti, come se non ci fossimo accorti che se ne stava andando.

Ma a ben pensarci ci aveva già avvertiti, prendendo congedo per ritirarsi nella casetta piccina picciò, una scelta coraggiosa che non tutti avevano saputo apprezzare e che continuava ad interpellarci. Aveva regalato agli amici un poemetto  filastrocca racchiuso tra due copertine di stoffa  fiorata, che aperto faceva scorrere sulle pagine ripiegate il suo messaggio, intitolato Ambarabà ciccì coccò. Vale la pena di rileggerlo ora e meditarlo, quasi messaggio in una bottiglia:

 “Compatto i miei pezzi, mi compatto la vita, egoista come mai, come mai liberata. Con tutto il mio tempo, con l’allegria di essere davvero soltanto mia. […] Quel che s’è rotto, aggiustar non si può, ma nella casina piccina picciò si può riprendere a progettare, sognare, e perfino- avessi visto mai?- ad amare… La strada è aperta, e non ha barriere che impediscano l’andare e il tornare. La strada è aperta, più che stretta stretta: dite la vostra, ché la mia l’ho detta!”.

Nel senese, dove seguo l’attività di biblioteche ed incontri letterari e culturali, Clara è stata una presenza significativa, ricercata come oratrice ed interlocutrice preziosa. Le sue difficoltà di mobilità degli ultimi anni hanno creato tanto rammarico per non poter continuare ad ascoltarla. L’ultimo incontro l’abbiamo avuto  nel 2012 a Montepulciano sul romanzo Una storia chiusa, un’opera poco  promossa dallo stesso editore per le tematiche ostiche che affrontava. Eppure non era solo una riflessione personale sulla  malattia e la terza età, era una meditazione sulla nostra  Italia invecchiata, attorno al 150mo anniversario dell’Unità, e sulla difficoltà di continuare a coltivare speranze.

Con Via Ripetta 155 Clara ha fatto a tempo a lasciarci una testimonianza sulle speranze della gioventù, che resta prezioso  tassello della memoria di una generazione.

 

 

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