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Un importante tassello di storia culturale toscana, e non solo: “Bernard Berenson” di Rachel Cohen

Rachel Cohen

Bernard Berenson. Da Boston a Firenze

Milano, Adelphi,  2017

 

Una biografia di Berenson dettagliata e ricca di riferimenti alle sue frequentazioni, alla sua rete di relazioni europee ed americane (una “ragnatela”come qualcuno la definì, che comprende personaggi come Marcel Proust), che arricchisce quell’Abbozzo di autoritratto che egli stesso compose negli anni della seconda guerra mondiale, dedicato alla moglie Mary Costelloe, ed attinge a tanti studi dedicati al maestro della storia dell’arte del Rinascimento italiano.

Fu lui a far conoscere ed amare Botticelli agli americani, che alla fine dell’Ottocento lo consideravano un minore, appassionati com’erano del gotico e del Medioevo. Lo presentò come “il più grande artista del lineare” ed aiutò Isabella Stewart Gardner, nel 1895, ad acquistarne un’opera, Le storie di Lucrezia, per il suo museo di Boston, ispirato a Venezia e Firenze. Fu pagata 16.000 dollari, ma le quotazioni sarebbero salite vertiginosamente con il volgere del secolo.

L’autrice sottolinea la natura bizzarra del personaggio, diviso tra la vocazione alla critica d’arte e le esigenze del mercato, tra il ruolo d’esperto ed il ruolo di mercante d’arte, tra l’aspirazione ad una carriera accademica ad Harvard, peraltro difficile per un ebreo all’epoca, e l’amore per la vita mondana ed agiata delle colline fiorentine, dove si erano insediati tanti anglosassoni innamorati delle armonie rinascimentali. La concezione dei giardini ed i restauri della villa i Tatti, acquistata assieme alla moglie, furono affidati all’architetto Cecil Pinsent, lo stesso che avrebbe progettato la villa ed i giardini della Foce per i marchesi Origo in Val d’Orcia. Una vita da aristocratico, in una cerchia eletta, dopo un’infanzia difficile nella comunità ebraica di Boston dove il padre era emigrato dalla Lituania e viveva di commercio di stoviglie. Ed un’ambizione di riconoscimento che avrebbe inseguito fino alla fine, lasciando in eredità ad Harvard, dove aveva studiato, la villa e la preziosa biblioteca, che la collaboratrice ed amante Nicky Mariano lo aveva aiutato a raccogliere e riordinare (l’archivio custodisce ben 300.000 foto di opere d’arte raccolte e schedate da Berenson con il suo aiuto).

Ben ricostruite sono le relazioni amicali con gli scrittori americani Henry James, ed Edith Wharton, la cui frequentazione nutre il suo gusto raffinato, mentre lo psicologo William James, che aveva avuto come maestro ad Harvard, gli dà preziosi spunti sulla fruizione e l’emozione estetica come esperienza dell’anima e del corpo, combinando percezione visiva ed esperienza tattile. Potrebbe essere un personaggio dei loro romanzi e racconti, impregnato della contraddittorietà dell’impatto europeo sugli americani che quegli scrittori tanto sapientemente ci hanno descritto. Quanti americani ingenui e sprovveduti popolano quella letteratura: personaggi che si innamorano della grande bellezza italiana ed inseguono un’armonia rinascimentale cercando di impossessarsene grazie alla ricchezza accumulata meno nobilmente! Ma quanta complessità psicologica in quella esperienza di conoscenza e acquisizione, e quante ambiguità ed equivoci! Isabelle Gardner, mecenate e patrona di Berenson, pare abbia ispirato Ritratto di signora e La coppa d’oro di Henry James, mentre Indignazione (1911) ritrarrebbe nel giovane critico d’arte proprio lo stesso Berenson. Ma anche quanti trasferimenti di opere dall’Italia agli Stati Uniti, ad opera di J.P. Morgan (con il quale Berenson condivise la relazione con Belle Greene) e di Fry, ad alimentare le loro collezioni di capolavori!

Nella ricostruzione della Cohen Berenson è messo a nudo, ma anche esaltato nel fascino che seppe esercitare, non solo su una serie di donne sapienti che diventarono sue ottime collaboratrici oltre che compagne di vita, ma negli ambienti intellettuali ed artistici, che impararono da lui una nuova visione del Rinascimento. Era un abilissimo oratore, “stregone delle parole”, e seppe diffondere la sua visione dell’arte in conferenze e conversazioni. La Villa I Tatti, che ora è sede di studi sul Rinascimento per giovani americani, ospitava negli anni Trenta e Quaranta colte conversazioni, mentre Berenson girava per l’Europa a illustrare la pittura italiana del Rinascimento.

La sua formidabile memoria visiva e le capacità intuitive e di immedesimazione con le opere fanno di Berenson uno straordinario attributore. Egli teorizzava la necessità di raggiungere una vera e propria “intimità” con l’artista, tale da garantire un riconoscimento spontaneo, naturale, una “agnizione” di qualcuno che già si conosceva: dopo di lui sarebbero venuti personaggi come Federico Zeri, grande conoscitore ed enciclopedico commentatore del panorama pittorico italiano. Oggi possiamo forse annoverare Vittorio Sgarbi tra gli epigoni. Ma sule orme di William James, è l'”intensificazione vitale” che a Berenson interessava come frutto della fruizione dell’opera d’arte, andando al di là della classificazione e dell’inquadramento attributivo.

Alla ricerca dell’armonia rinascimentale, gli esteti e letterati anglosassoni cercavano di tradurla nella case che si costruivano e che arredavano, inseguendo un modello ideale del tutto artefatto. La reinvenzione del Rinascimento fiorentino nei giardini e nelle ville sulle colline potrebbe essere considerato un primo esempio del “postmoderno”.

Ben ricostruite le frequentazioni antifasciste di Berenson, da Salvemini a Umberto Morra, che gli dedicà il libro Colloqui con Berenson. La visita ai Tatti era un must dei circoli intellettuali antifascisti, come testimonia anche l’album di foto delle passeggiate degli anni Trenta di Calamandrei. Ovviamente la sua situazione si fa più difficile a partire dalle leggi razziali, anche se è un ebreo convertito (prima al protestantesimo e poi al cattolicesimo) e se gode di protezioni tra le autorità fiorentine.

Il momento più rischioso, anche per le sue ricche collezioni d’arte a Villa I Tatti, fu comunque quello della occupazione tedesca: la caccia nazista ai capolavori e le sue origini ebraiche lo esponevano a sequestri ed arresto, e Nicky Mariano riuscì ad organizzarne il trasferimento alle Fontanelle, ospite del marchese Serlupi, rimanendo lei a custodire la Villa, avendo avuto cura di nascondere o traslocare i beni più preziosi.

Curiosamente nessun cenno si trova nel saggio alla partecipazione di Berenson alla tematica della ricostruzione di Firenze, testimoniata anche dai suoi interventi sulla rivista fiorentina “Il Ponte”. Mentre ben documentata è la visita del 1951 delle giovanissime sorelle Jackie Kennedy e Lee Radziwill, che ne rimasero affascinate.

Corredata di tante belle fotografie, questa ricca biografia si conclude con il lascito della Villa e della biblioteca alla Università di Harvard, per ospitare studenti delle arti del Rinascimento. Simbolicamente, nel 1959 il funerale di Berenson si snodò sulle colline di Vincigliata, sul medesimo sentiero raffigurato nell’affresco di Benozzo Gozzoli sull’Adorazione dei magi, immerso in quel paesaggio ideale che tanto aveva descritto e evocato suggestivamente ed in cui aveva messo radice.

(Silvia Calamandrei)

 

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