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Riflessioni sulla Rivoluzione Culturale cinese alla Bookcity di Milano

Un intervento della nostra Presidente nel quadro di Bookcity Milano 2016

(http://www.bookcitymilano.it/eventi/2016/la-dis-integrazione-della-societa-la-cina-e-il-1966-narrazioni-e-immagini)

 

Silvia Calamandrei

GUARDIE ROSSE E TEATRALITA: MESSA IN SCENA DEL CONFLITTO

Milano 17 novembre 2016

 

A cinquant’anni dalla Rivoluzione culturale nuove letture si offrono, anche grazie alla grande messe di materiali archivistici ormai disponibili: è il caso  della ricerca di Guobin Yang The Red Guard Generation and Political Activism in China..

Il suo lavoro (2016), che prende spunto dai violenti scontri di fazione tra le Guardie Rosse a Chongqing, è dedicato alla generazione delle Guardie Rosse ed al loro percorso e si basa sulle tante raccolte di pubblicazioni ormai disponibili, sulla banca dati  creata dall’ex Guardia Rossa Song Yongyi ad Hong Kong, sulle centinaia di diari , agendine ed epistolari editi e inediti, nonché su  interviste condotte dall’autore alla fine degli anni Novanta.

Lo studioso è il primo a introdurre una nuova lettura delle violenze delle Guardie Rosse, basata sulla teatralità delle loro gesta più che su interessi costituiti contrapposti: gli scontri violenti che dividono la gioventù dopo che si è scatenata contro i demoni dei dirigenti “che hanno imboccato la via capitalista” o “intellettuali e accademici borghesi” le consentono  di inscenare quelle battaglie rivoluzionarie per la quale è stata educata fin dagli anni Cinquanta.

La gioventù nata e cresciuta nella Cina dopo la Liberazione, nutritasi della retorica dei film sulla guerra antigiapponese e dei romanzi sulle sofferenze della vecchia società, delle ripetute campagne di massa e dei manifesti e parole d’ordine di stampo rivoluzionario e militaristico, ha bisogno di canali in cui esprimere la propria vocazione al martirio e testimoniare della propria fede rivoluzionaria. Una volta mobilitati, questi giovani proseguono nelle loro battaglie, in cerca di nemici e bersagli da abbattere, che spesso trovano nei propri stessi ranghi. Degli zeloti della Rivoluzione insomma, che si calmeranno solo una volta spediti in campagna, a contatto con la cruda realtà della Cina contadina.

Dopo la grande “sceneggiata” che dura dal 1966 al 1968, l’immersione nella ruralità è la seconda tappa della formazione di una generazione che emergerà come protagonista della Cina delle riforme, disillusa e capace di trasferire il proprio attivismo nell’imprenditoria. Una parabola straordinaria nell’arco di una sola generazione.

Questa interpretazione, che ovviamente non è esaustiva, aiuta a mettere a fuoco immagini e avvenimenti di quegli anni, e a ricollegarli con una serie di studi sulla iconografia, l’immaginario e l’estetica della Rivoluzione culturale che sono stati avviati soprattutto tra gli studiosi anglosassoni..

Guardiamo ad esempio alle fotografie scattate da Fabio Matteini tra il 1966 e il 1976 e raccolte in tre volumi editi privatamente. Gilda Zazzara mi ha cortesemente coinvolto nella scelta e nella cura delle foto per il volume Lavorare per la rivoluzione il cui fulcro è una intervjsta con l’autore su quella sua esperienza di import export con la Cina finalizzata al sostegno alle Edizioni Oriente e alla rivista «Vento dell’est».

Ebbene la fotografia che mi è balzata agli occhi in mezzo alle tante belle immagini della Cina millenaria, dei suoi bambini, e delle manifestazioni, cortei e danze che celebrano la Rivoluzione, è una foto un po’ sfocata, catturata di notte col flash, che spicca per la sua drammaticità rispetto alle altre più scenografiche.

Si vede della gente radunata in cerchio: è il processo a due dirigenti che Matteini riesce a fotografare di notte dalla sua stanza d’albergo a Canton, dove alloggia assieme a Sandro Paternostro. Mi ha raccontato che ha fotografato altre immagini di queste “sedute di lotta”, ma gli sono state tutte sequestrate: questa è la sola ad essere sfuggita alla censura.

Non ha certo la drammaticità e l’intensità delle tante foto scattate nella provincia del Liaoning dal fotografo cinese Li  Zhensheng, che negli anni 2000 sono state esposte a Londra ed anche in Italia (Reggio Emilia) e sono raccolte nel volume della Phaidon Red Color New soldier (2003), tradotto anche in italiano con il sottotitolo L’odissea di un fotografo cinese attraverso la Rivoluzione culturale.

Ma in quella inquadratura si avverte la piega tragica che potevano prendere gli avvenimenti, confermando lo slogan “la Rivoluzione non è un pranzo di gala”. Nel frattempo da tanta letteratura cinese “delle cicatrici e delle ferite” (degli anni  Ottanta e Novanta), da tanta memorialistica  e soprattutto da ricerche di documentaristi sulle vicissitudini di quegli anni si sa molto di più della ferocia degli scontri e delle persecuzioni. I visitatori stranieri dell’epoca erano relativamente preservati dall’assistervi, e riuscivano a coglierne solo qualche frammento.

Insomma i «terribili dieci anni» hanno visto persecuzioni e scontri e momenti di vera e propria guerra civile, ma possono essere visti anche come una grande sceneggiata, una messa in scena del conflitto che risponde ad una serie di canoni, e può continuamente vedere i ruoli invertiti tra vittime e carnefici.

Una osservatrice attenta e arguta come Yang Jiang, la scrittrice che è scomparsa quest’anno ormai ultracentenaria ci racconta come una recita una «seduta di denuncia e lotta»:

Una recita ben riuscita [Il tè dell’oblio, Einaudi 1994, pp. 35-36]

Recitare non mi piace e non sono una brava attrice: anche la volta che ho dovuto esibirmi sul palcoscenico del Grande teatro Jixiang, ho finito per non recitare.

Fu in occasione della seduta di «denuncia e lotta» contro il compagno He Qifang e altri «banditi neri». Mocun ed io eravamo tra gli «accompagnatori»: chi fosse il regista e quale copione fosse in programma non lo ricordo più esattamente. So solo che l’atmosfera era estremamente tesa e io avevo terribilmente sonno. Mio marito ed io ce ne stavamo seduti sotto il palcoscenico, e io sonnecchiavo con la testa abbassata. […]

Ad un certo punto, prima l’uno e poi l’altra, mio marito ed io fummo chiamati sul palcoscenico, dove bisognava infilarsi gli alti cappelli a punta [una messa alla berlina ripresa dalle lotte contadine contro i proprietari fondiari degli anni Venti, raccontata da Mao]. Io avevo imparato un trucco: se ci si metteva il cappello inclinato il più possibile in avanti, si dava l’impressione di avere la testa abbassata. Se si teneva il cappello diritto, si era invece costretti a piegarsi ad angolo retto se non si voleva incorrere nella collera delle masse, che si mettevano a gridare: «Giù la testa! Giù la testa!». E se gli «accompagnatori» non tenevano la testa abbassata, mal ne poteva incogliere all’imputato principale. […] Prima della fine dello spettacolo fui chiamata al microfono a declinare nome e categoria e a ricevere una bordata di insulti. La cosa finì lì: seduta sotto il palco, ero in preda al terrore di salire in scena, ma una volta in scena, non fu poi così terribile, In fin dei conti essere sul palco tra gli «accompagnatori» non comportava l’obbligo di recitare, mentre in platea, in mezzo alle masse rivoluzionarie, bisognava unirsi al coro degli insulti, i che non era facile se non si condividevano sentimenti di odio e di indignazione verso l’imputato. A dire la verità mi sentivo più a mio agio tra coloro che ricevevano gli insulti che tra coloro che li gridavano: chi insulta si esprime, mentre chi viene insultato può assistere allo spettacolo offerto dagli altri.

In questo episodio Yang Jiang era una semplice «accompagnatrice», e su questo ruolo il marito Qian Zhongshu si è interrogato nella prefazione ai Ricordi della Scuola quadri di Yang Jiang, a proposito del sentimento di vergogna che dovrebbero provare coloro che hanno partecipato a delle campagne politiche, “ivi compresi coloro che si sono limitati ad una partecipazione passiva, mancando del coraggio di denunciare l’ingiustizia”.

Yang Jiang descrive anche una seduta di cui è protagonista come vittima, ma preferisce usare il registro comico per descriversi mentre suona un gong, con il cappello a punta in testa, gridando ripetutamente «Sono un’intellettuale borghese!», e commenta:

 

Non mi sembrò una punizione così terribile. Gli intellettuali, in fin dei conti, non sono tutti «intellettuali borghesi»? Cosa c’era di male a gridarlo ad alta voce? [Ibidem p. 37]

 fin dei conti si convince che gli stessi persecutori, quelle Guardie Rosse che la accusano di essere un «lupo travestito da agnello», non sono che degli «agnelli con la pelle di lupo», e prova pena per la loro sorte, una volta messi sotto accusa  e” deportati” in campagna:

Non avevano un lavoro, nessuno si occupava di loro e non avevano neppure un libro da leggere. Mi domando ancora come abbiano tirato avanti tanti anni. […] Che cosa terribile! Non solo dovettero spogliarsi della pelle di lupo, ma gli fu tosata anche la lana d’agnello, in pieno inverno. Finii per rendermi conto che non sempre chi ti fa torto è il vero responsabile e che bisogna sempre risalire all’origine: tra noi “vecchi furfanti” e i «piccoli generali rivoluzionari» non c’era vera inimicizia. Pian piano smisi di aver paura dei giovani «successori della Rivoluzione». [Ibidem p. 44]

Di questi giovani prima mobilitati e poi cannibalizzati traccia la storia Guobin Yabng, ipotizzando che il soggiorno in campagna li prepari a divenire protagonisti della Cina delle riforme.

 E’ la stessa tesi di un altro storico , Wu Yiching, The Cultural Revolution at the Margins, Chinese Socialism in Crisis (La Rivoluzione culturale ai margini, La crisi del socialismo cinese)., secondo cui non ci sarebbe nessuna vera soluzione di continuità tra Rivoluzione culturale e svolta riformista in Cina.

L’approccio di Wu  è che non interessa tanto comprendere cosa Mao si prefiggesse scatenando le masse studentesche ed operaie contro il quartier generale del Partito, alla ricerca di bersagli tra i burocrati che si fossero allontanati dal popolo e stessero incamminandosi verso una restaurazione del capitalismo. Ciò su cui  bisogna concentrarsi è quanto avvenne nella realtà in quel paio di anni, dal 1966 al 1967, in cui le masse ebbero un margine ampio di espressione e mobilitazione, prima di essere represse e ricondotte negli alvei tradizionali e restituite ad una condizione di passività se non di costrizione. Insomma si tratta di ricostruire quello che i «ribelli» riuscirono ad esprimere approfittando degli spazi che furono loro consentiti da una contraddittoria politica centrale e dalle lotte al vertice. Quei due anni furono un’occasione insperata di critica all’organizzazione dello stato socialista che il Leader supremo offrì ai giovani per poi cannibalizzarli con una repressione feroce. L’ambizione è di scrivere una storia della Rivoluzione culturale dal basso, bottom-up e di mettere in discussione la cesura tra le riforme del post-maoismo e l’ultima utopistica rivoluzione del Grande timoniere: l’autore sostiene che le origini della grande trasformazione degli anni Ottanta vanno rintracciate nell’ondata discendente che si inaugura nel 1967 con la smobilitazione del movimento di massa e la restaurazione dell’ordine, affidata all’esercito. La rivoluzione socialista cinese e la restaurazione capitalista vanno  indagate con la medesima griglia critica e sono parte integrante di un’unica storia, senza vera soluzione di continuità. Interessante la conclusione che analizza la svolta post-Maoista con la griglia della “rivoluzione passiva” di Gramsci. Le riforme e le modernizzazioni sarebbero una soluzione politica di compromesso ad una serie di crisi  acute del sistema. Riassorbono in parte le rivendicazioni delle masse, preservando e consolidando la struttura di potere esistente.

Teatralmente parlando, tanto tumore per nulla?

Per concludere con Yang Jiang, e la sua leggerezza ottimistica,:fiduciosa nella natura umana:

L’orlo dorato delle nuvole [Ibidem Pag.48]

Secondo un proverbio, «le nuvole più nere hanno sempre un orlo d’argento». La comprensione, la simpatia e l’amicizia nate tra coloro che si trovarono a subire le grandi calamità degli anni Bingwu e Dingwei, patendo diverse forrme di persecuzione, non può essere paragonata a quell’orlo d’argfento? Direi addirittura che è un orlo d’oro, dato che quando le nuvole si infittiscono, l’argento si trasforma in oro.

Si dice che le «nuvole rosa si disperdono facilmente». Ma anche queklle nere non durano in eterno.Per quanto penso sia volgere il pensiero a quegli anni in cui il cielo era coperto di nubi, un’immagine però resta impressa nella mia memoria: una frangia dorata che splende e riscalda il cuore.

 

Bibliografia

Guobin Yang The Red Guard Generation and Political Activism in China, Columbia University Press, New York 2016.

Fabio Matteini,, a  cura di Silvia Calamandrei e Gilda Zazzara, Lavorare per la rivoluzione ,Un’impreesa commerciale tra Italia e Cina, Edizioni Ca’ Foscari , Venezia 2016

Wu Yiching, The Cultural Revolution at the Margins, Chinese Socialism in Crisis,. Harvard University Press 2014,

Yang Jiang, Il tè dell’oblio, Einaudi 1994.

 

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