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Per ricordare…e capire: “Città sommersa” di Marta Barone

Marta Barone

Città sommersa

Milano, Bompiani, 2020

 

Presentato a giusto titolo da Enrico Deaglio per il premio Strega, il libro della Barone è il frutto di una lunga ed accurata ricerca di una figlia sulle tracce del padre, di una trentenne di oggi che si misura con gli anni Settanta ed il tortuoso percorso di un giovane militante, Leonardo Barone, sessantottino a Roma, studente di Medicina, per poi approdare a Torino, prima in “Servire il popolo” e poi nelle lotte della FIAT, sfiorando il terrorismo di “Prima linea”.

L’autrice ha scavato negli archivi di Bianca Guidetti Serra che conservano al centro Gobetti i documenti dei processi degli anni di piombo (Barone venne accusato come fiancheggiatore da un pentito, per poi essere assolto dopo un anno di carcere), ma ha soprattutto incontrato ed intervistato tanti amici e compagni di quegli anni che le hanno saputo raccontare le tante sfaccettature di un padre precocemente perduto, di cui poco sapeva se non per le memorie delle estati trascorse insieme bambina.

Ho letto tanta letteratura e memorialistica su quegli anni, ed è raro trovare accenti di verità come in questa narrazione, forse grazie al distanziamento che la scrittrice è riuscita a conquistarsi nel travaglio della elaborazione. C’è tanta materia viva e tanta sofferenza, e nello stesso tempo nostalgia per un impegno totalizzante, di dedizione alla causa della giustizia, che fa aderire a rituali settari quali si celebravano in “Servire il popolo”, o spendersi per aiutare tanti disperati e diseredati nella Torino dei ghetti meridionali, delle occupazioni delle case, dell’assistenza sociale e delle cure. Il rischio di deriva verso la violenza armata, la perdita di compagni che si sono avuti al fianco, i percorsi individuali di sopravvivenza, la rinuncia ad una professione per l’andata in fabbrica o il mettersi al servizio dell’assistenza quotidiana: tutto questo è ben raccontato in una Torino cupa e livida, dove si consumerà la sconfitta di tante speranze. Ai toni sarcastici sui cerimoniali e le ipocrisie codine di “Servire il popolo” seguiranno le pagine drammatiche sulle azioni di “Prima linea”, l’organizzazione che insegue in crescendo le Brigate Rosse dopo l’assassinio di Moro in una lotta per la supremazia. Leonardo Barone viene accusato da un pentito di aver prestato cure mediche ad un terrorista ferito, e ci vorrà del tempo prima che la sua innocenza venga provata.

L’episodio più efferato è quello del 1979 alla Scuola di amministrazione aziendale (SAA), dove vengono gambizzati studenti e docenti; non ha a che fare direttamente con la vicenda del padre, ma Marta ha voluto raccontarlo per dar conto dei tempi che si vivevano, in cui si pretendeva nel delirio di onnipotenza di colpire uno per educarne cento.

È commovente la ricerca della figlia sui vari momenti della vita del padre, anche quelli dell’infanzia pugliese, o delle giornate di valle Giulia e dell’occupazione fascista di Legge alla Sapienza con i banchi tirati giù a colpire gli studenti accalcati sotto. E l’emozione che prova nelle agnizioni, quando ne trova l’immagine in una scena di massa e lo riconosce, o quando ascolta i ricordi della cugina che lo ha conosciuto ragazzo. E le tante testimonianze di affetto ed amicizia e stima di coloro che lo hanno conosciuto e frequentato.

Una ricostruzione intensa di un percorso di vita, ma anche di un pezzo della nostra vita nel secolo breve. Come già per Benedetta Tobagi, va detto che è bello trovare nelle nuove generazioni autori che si fanno carico di capire e raccontare, quasi a riempire con la loro voce i troppi silenzi.

(Silvia Calamandrei)

 

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