Pagina autobiografica intorno a un tema sofferto: “Lontano dagli occhi” di Paolo Di Paolo
Paolo Di Paolo
Lontano dagli occhi
Milano, Feltrinelli, 2019
Paolo Di Paolo scrive un libro difficile e sofferto, andando alle radici, anzi alle origini della propria identità, scavando nei primi anni ottanta, e più precisamente nell’anno della propria nascita al mondo. Era stata appena rapita Emanuele Orlandi, c’erano le elezioni alle porte, e si affaccia al mondo una creatura non desiderata, o meglio la cui nascita non è stata voluta e risulta difficile da accettare.
La prima parte del romanzo [intitolata Vicino] è dedicata a tre percorsi di maternità possibili e tormentosi, di giovani o giovanissime donne che non hanno un compagno o una famiglia a sostenerle o a incoraggiarle nella scelta di accogliere una nuova vita. I maschi compagni non si fanno carico o non sono consapevoli, sono altrove, appena sfiorati da quanto prende corpo. D’altronde, come scrive l’autore “Un uomo che sta per diventare padre non lo riconosci da niente. […] Può lui stesso, per qualche ora, dimenticare, e non sarà certo il corpo a ricordarglielo”! Solo un amico mostra una certa disponibilità.
La scansione dei capitoli è sugli ultimi tre mesi della gravidanza di Luciana, Valentina e Cecilia, tre varianti di giovane madre che alla fine, dopo il parto, firma per abbandonare il neonato. E nella parte intitolata Lontano c’è un infermiere nel brefotrofio a prendersi cura del fagottino del piccolo alieno, e una pagina nera del libro a chiudere la vicenda.
Si dischiude infine la Vita 2, come si intitola il finale, in cui l’autore dichiara “Madame Bovary c’est moi”:
“L’alieno ero io”.
Un indirizzo trovato nell’universo dal piccolo alieno:
“Mentre sostavo nel mio limbo, c’era chi mi cercava.
Un uomo giovane, una donna giovane, decisi ad avermi.
Le combinazioni genetiche si sono impastate con qualcosa di più urgente e necessario, di vitale: stare al mondo insieme”.
Si può scegliere di stare al mondo insieme.
(Silvia Calamandrei)