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Monti ed acque: uno sguardo sulla Cina. La visita della Presidente a Pechino alla scrittrice Yang Jiang

Yang Jiang compie cent’anni: incontro a Pechino con due “vecchie signore”

 

Yang Jiang, scrittrice e traduttrice di classici occidentali, compie cent’anni il 17 luglio 2011.

Come ricostruisce la sua biografa Wu Xuezhao, ha attraversato il secolo della entrata della Cina nella “modernità”, fino ad assistere alla sua emersione sulla scena globale. Se negli anni  Trenta è stata tra i precursori del cosmopolitismo, andando a studiare alla Sorbona e a Oxford insieme al marito Qian Zhongshu, uno dei più grandi letterati del Novecento, oggi, arrivata “sul bordo della vita” (titolo del suo libro più recente), scrive poesie classiche e ha da poco tradotto il Fedone di Platone, raccogliendo le sue meditazioni in saggi filosofici.

L’ho incontrata a Pechino in giugno, nel suo piccolo e semplice appartamento nel complesso di residenze dell’Accademia delle scienze a Sanglihe, palazzine a tre piani degli anni sessanta, in un’oasi relativamente tranquilla ma assediata dai grattacieli del nuovo quartiere finanziario di Xicheng. Sono due anni che Yang Jiang non esce più di casa, ma passeggia e fa esercizio nel suo appartamento, mantenendosi in forma. Piccolina, minuta e apparentemente fragile, mi accoglie alla porta con un dolcissimo sorriso ed espressioni di benvenuto in un francese forbito e impeccabile nella pronuncia.

Mi accompagna Wu Xuezhao, con la quale intrattengo una corrispondenza via mail da vari anni a proposito delle opere di Yang Jiang e delle sue traduzioni in Italia : è con lei che ho concordato l’appuntamento prima di partire per la Cina e che me lo ha confermato una volta arrivata a Pechino, soggetto com’era alle condizioni di salute di Yang Jiang. L’ avevo sempre immaginata come una assistente quarantenne o cinquantenne dinamica: a prendermi al mio albergo si presenta invece un’arzilla 82enne, che mi spiega che Yang Jiang non vede quasi mai nessuno ma si tiene sempre al corrente. Ha accettato di incontrarmi, ma alla sua età non deve affaticarsi. Lei va a trovarla due volte al mese, e si è presa questo impegno come amica da quando alla fine degli anni Novanta prima la figlia Qian Yuan e poi il marito di Yang Jiang sono morti e lei è rimasta sola. La biografia che ha scritto è basata sulle sue chiacchierate con Yang Jiang e poi è stata rivista insieme.

Anche Wu Xuezhao appartiene alla élite colta cinese: entrambi i suoi genitori erano professori all’Università di Tsinghua, lei ha studiato a Shanghai assieme alla sorella minore di Yang Jiang, Yang Bi, mentre suo marito era compagno di studi di Qian Zhongshu. Deludendo i suoi genitori è entrata nel PCC giovanissima, facendo poi la corrispondente all’estero per l’Agenzia Nuova Cina. Negli anni Cinquanta ha “coperto” la guerra d’Indocina, e quando le dico che anche i miei genitori erano corrispondenti a Dien Bien Phu si illumina al ricordo e si propone di verificare se si siano incontrati in quell’occasione o per la liberazione di Hanoi. Questi scambi avvengono nel taxi che ci porta da Yang Jiang, ed il fatto che i miei genitori fossero corrispondenti dell'”Unità” negli anni Cinquanta a Pechino, in Indocina ed in Tibet mi guadagna la fiducia di Wu e dischiude i suoi ricordi di giornalista: è stata anche in America latina negli anni Cinquanta. La sua curiosità di reporter scatta rispetto alle mie vicende famigliari: i genitori a Pechino, il nonno capo della prima delegazione culturale italiana in Cina, io in una scuola elementare cinese: dalle sue domande si intravede già la voglia di scriverne che poi mi comunicherà alla fine della giornata. Se l’età non era quella che immaginavo, il dinamismo e l’efficienza ci sono tutti, ed anche l’atteggiamento di protezione e valorizzazione nei confronti della sua amatissima Yang Jiang: uno spirito libero, una libera pensatrice, come più volte la definisce rispetto a se stessa ancora iscritta al Partito, anche se quello che fanno ora non la persuade: ci sono troppe differenze, in certe zone della Cina la gente non ha ancora accesso all’acqua… E poi non le piace la nuova Pechino, sbuffa nel traffico semiparalizzato nonostante quel giorno possano circolare solo le targhe che terminano per 7 e per 9.         Mi ha colpito molto l’amicizia e l’affetto che c’è tra queste due vecchie signore. Wu è premurosa e in adorazione, ma al tempo stesso ferma nella protezione e nella salvaguardia della preziosa amica, con qualche gesto quasi brusco: Yang ha voluto mostrarmi le pagine vergate di caratteri nitidi e eleganti che ogni giorno scrive e Wu era preoccupata che si sciupassero ed impaziente di togliermele di mano. Quando Yang si é messa alla scrivania a scrivermi le dediche sui libri che voleva regalarmi la sorvegliava da dietro le spalle, attenta che tutto procedesse per il meglio. Ma ogni tanto Yang prendeva il sopravvento, con i suoi commenti arguti ed i suoi sorrisi pieni di ironia, e correggeva Wu per aver mal posizionato le statuette in miniatura di Don Chisciotte e Sancho Panza che ho portato in dono, allineandole, spiegandole che Don Chisciotte deve stare davanti e Sancho Panza dietro.

            E a proposito del Don Chisciotte, la traduzione che le era stata sequestrata all’epoca della Rivoluzione culturale e di cui aveva raccontato l’avventuroso riscatto nelle sue memorie di quegli anni ( Il tè dell’oblio, Einaudi 1994), Yang Jiang mi racconta fiera che ha ricevuto un’onoreficenza da parte del Re di Spagna (è andata a ritirarla negli anni Ottanta), dopo che Deng Xiaoping  aveva fatto omaggio a Juan Carlos dell’opera tradotta in cinese. Ed aggiunge con un sorriso malizioso che Deng Xiaoping le aveva chiesto: “Ma tu, questo Don Chisciotte, quando lo hai tradotto?”, fingendo di ignorare tutte le vicissitudini durante la Scuola quadri a cui lei e Qian Zhiongshu erano stati inviati come intellettuali borghesi da rieducare alla scuola dei contadini e le persecuzioni che aveva subito a causa di quella traduzione. “E tu che gli hai detto?”. “Niente”, mi risponde, “sono rimasta zitta”.

            Chiedo se per i suoi cent’anni le faranno festeggiamenti ufficiali, e Wu dice che è poco probabile, dato che il governo considera Yang Jiang una libera pensatrice. Su Internet scopro peró, al mio ritorno, che una visita semiufficiale c’è stata qualche mese fa, da parte del presidente della Conferenza consultiva del Popolo, Jia Qinglin. Yang Jiang, con la sua cultura cosmopolita è un fiore all’occhiello, cosí come Qian Zhongshu, suo marito, le cui opere sono state rieditate più volte::ad entrambi è stato dedicato un seminario internazionale, l’anno scorso, dalla British Columbia University, a cui si sono dati convegno studiosi di tutti i paesi, per discutere di questa straordinaria coppia di intellettuali che appartengono alla generazione della prima apertura della Cina sul mondo, sull’onda del Movimento del 4 maggio.

Di dieci anni più vecchio, lo scrittore Lao She li aveva preceduti negli anni Venti in Europa, e ora Yang Jiang mi racconta di aver consegnato tutte le sue lettere al figlio, e fa cenno al suicidio dello scrittore durante la Rivoluzione culturale. E’ commossa della fotocopia di una dedica manoscritta di Lao She che le ho portato, indirizzata agli amici italiani della delegazione culturale italiana presieduta da Piero Calamandrei, che lo aveva incontrato durante la visita in Cina nell’ottobre del 1955. La dedica, del dicembre 1955, era destinata al numero speciale de “Il Ponte”, edito nell’aprile 1956. Mi promette che ne farà avere una copia al figlio, che ne raccoglie l’archivio.

Ma c’è un altro dono che apprezza particolarmente, tra quelli che le ho portato, ed è la videocassette degli studenti dell’Istituto tecnico commerciale “Piero Calamandrei”. di Bari, che nel 2008 avevano letto e commentato il suo libro “Il tè dell’oblio” Come il manoscritto del Don Chisciotte, anche questo DVD ha subito delle vicissitudini, incorrendo nell’ira dei censori. Glielo avevo spedito per posta alla vigilia delle Olimpiadi, accompagnato da una lettera: la lettera era arrivata, ma senza il DVD, sequestrato. Mi ero chiesta cosa avesse insospettito i censori, in una ricostruzione fotografica e di commento agli scritti di Yang Jiang fatta da giovanissimi studenti. Ero arrivata alla conclusione che l’uso della parola “totalitarismo” nei sottotitoli di copertina, fosse stato la pietra dello scandalo. Ora finalmente Yang Jiang potrà apprezzare il lavoro degli studenti italiani sulle sue opere e la sua vita e quanto avessero colto il senso del messaggio de Il manto dell’invisibilità, un invito a non cercare fama e ricchezze e a tenersi alla larga dal potere, anche rendendosi “invisibili”: una strategia di sopravvivenza appresa in decenni di mancanza di libertà.

Anche Yang Jiang ha dei regali per me: il libro Camminando sul bordo della vita, di cui ho tradotto l’introduzione nel 2008 per la rivista “Lo straniero” e la sua traduzione del Fedone, intrapresa per elaborare il lutto della morte della figlia (1997) e del marito (1998). Mi confida di aver trovato consolazione nelle parole di Socrate sull’anima, la vita e la morte, e questa meditazione si ritrova anche in Camminando sul bordo della vita, centrato sul tema dello spirito e della sua sopravvivenza. Le foto di Qian Yuan e Qian Zhongshu sono sulla libreria, accanto alle loro opere: La fortezza assediata, il romanzo più popolare di Qian Zhongshu, ha conosciuto innumerevoli riedizionia a partire dagli anni Ottanta ed è divenuto uno sceneggiato televisivo di successo.

Al ricordo dell’affetto familiare è dedicato il libro Noi tre. Qian Yuan, nata a Oxford nel 1937, aveva seguito le orme dei genitori negli studi linguistici ed era diventata una anglista rinomata, insegnando letteratura inglese all’Università normale di Pechino. Aveva assistito i genitori negli anni di confino e persecuzione, durante i quali continuavano a scrivere e a tradurre: lui in cinese classico, lei alle prese con la traduzione del Don Chisciotte, avendo imparato lo spagnolo da autodidatta.  Come Lao She, il marito di Qian Yuan, professore di storia, si è suicidato durante la Rivoluzione culturale.

Rimasta sola, è alla memorialistica che Yang Jiang si è soprattutto dedicata, ma è ai giovani che si rivolge, anche nell’introduzione al suo ultimo libro, di cui mi piace citare le parole finali:

 

Sto camminando sul bordo della vita e mi guardo indietro, ma guardo anche in avanti. Se guardo indietro ho già vissuto una generazione, un intero secolo. A che scopo? Se guardo avanti ed avanzo ancora, come è possibile che non ci sia più niente? Naturalmente non ci sarà più il mio corpo, cremato, ma che ne sarà del mio spirito? Non ci sarà più neppure lo spirito? C’è chi dice che lo spirito viene e poi se ne va. Da dove viene? E dove torna? Dire questo significa credere che l’anima è un dono di Dio e poi torna a Dio. Ma Dio esiste? L’anima è immortale?

           

 A mo’ di conclusione

             Sono una vecchia signora della vecchia società. “Vecchia signora” è una formula rispettosa per rivolgersi ad una persona decrepita. Ho sempre accolto con favore le critiche che mi hanno indirizzato i giovani intelligenti. Questo saggio è il mio primo tentativo di proporre loro le mie opinioni e di mettere in ordine coscienziosamente i pensieri confusi che mi stanno nella testa, formulando domande e risposte. Quete parole di conclusione non pretendono di concludere la mia riflessione, bensì di invitare i lettori intelligenti ad esercitare una critica alle mie domande e risposte e a indicarmi i miei errori. Mi auguro che prima di lasciare questo mondo, possa ancora trarne beneficio.

 [Silvia Calamandrei – articolo pubblicato su “Il Manifesto” il 17 luglio]

 

 

 

 

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