Italia di ieri….o anche di oggi? “La macchina imperfetta. Immagine e realtà dello Stato fascista” di Guido Melis
Guido Melis
La macchina imperfetta. Immagine e realtà dello Stato fascista
Bologna, Il Mulino, 2017
Già dal titolo, dal sottotitolo e dalla frase in retrocopertina, Quello che volle e non riuscì a essere lo Stato fascista, si desume l’approccio dell’autore, autorevole storico dell’amministrazione italiana, che evidenzia gli elementi di continuità amministrativa della macchina statale nel ventennio fascista. Macchina statale e forma di governo che peraltro erano già state profondamente modificate nella centralizzazione e militarizzazione degli anni di Guerra. Molti degli strumentari dell’Italia moderna si forgiano in effetti in quella temperie, ed il fascismo non fa che consolidarli.
Sul solco di Sabino Cassese, ma anche di Renzo De Felice, Melis si addentra nella ricostruzione dettagliata dei meccanismi di governo del regime mussoliniano, passando in rassegna governo fascista, Partito, istituzioni e Stato attingendo abbondantemente agli archivi. La sua tesi è che si trattò di totalitarismo mai compiutamente realizzato, con forti elementi di continuità col passato, imposti da una burocrazia servile ma dotata di una propria cultura amministrativa e giuridica. Insomma si sarebbe mantenuta sempre una certa doppiezza, che avrebbe poi reso difficile l’opera di epurazione dopo la Liberazione.
Nel capitolo dedicato alle istituzioni ampio spazio è dato alla riforma dei Codici ed al ruolo di Calamandrei nella collaborazione alla redazione del codice di procedura civile. Nel libro Melis si interroga sulla relazione di presentazione al Re che sarebbe stata redatta da Calamandrei e poi pronunciata da Grandi in una versione riveduta ed integrata. Nel frattempo lo studioso ha fatto visita al nostro archivio dove è custodito il manoscritto della relazione di pugno di Calamandrei, ed assieme a Guido Alpa e ad un giovane ricercatore, Donzelli, si sta mettendo a punto una edizione comparata per evidenziare le varianti tra testo originale e testo finale pubblicato in Gazzetta ufficiale. Sarà un ulteriore tassello del dibattito su questo tema, che ha visto il concorso di Cipriani, Taruffo, De Cristofaro ed altri giuristi e storici.
Ovviamente Melis fa i conti con la tesi di Emilio Gentile della natura totalitaria del fascismo, che contraddice alle minimizzazioni del suo maestro De Felice, sottolineando la triade Partito. Stato Duce. Tuttavia, con la lente d’ingrandimento della ricerca storico-istituzionale, agli occhi di Melis il quadro si scompone:
“Insomma- scrive nelle conclusioni-un totalitarismo annunciato e mai interamente realizzato, un sistema di istituzioni imperfetto, fatto di vecchi e nuovi materiali confusamente assemblati senza un progetto lineare, con un’evidente vocazione, nei momenti cruciali della ricostruzione dello Stato, al compromesso tra vecchio e nuovo”.
Anche sotto il fascismo si scopre l’Italia del Gattopardo, del trasformismo e della continuità? Sicuramente un libro che farà discutere e che fornisce abbondante documentazione alla propria tesi. Ci piace rileggerlo in controluce al testo di Calamandrei Il fascismo come regime della menzogna (Laterza 2014) un bilancio a caldo del fascismo scritto subito dopo la Liberazione, proprio per cercare di costruire una discontinuità.
Ammoniva Calamandrei nel 1944:
per colui che nel lontano avvenire vorrà scrivere pacatamente la storia del fascismo, una avvertenza: guardarsi dal credere che per farsi un’idea esatta del regime fascista possa bastare il leggerne la descrizione nelle leggi da esso create. Creder che per ricostruire l’aspetto giuridico di una civiltà sia sufficiente interrogare le leggi del tempo senza occuparsi di ricercare se e come erano in fatto applicate, è sempre un errore storico, perché quasi sempre tra le leggi come sono scritte e la loro applicazione pratica vi è un certo scarto, e la legalità proclamata nei codici è temperata nella realtà sociale da una certa dose di illegalismo che l’autorità non è in grado di impedire. Ma l’errore diventerebbe particolarmente grave di fronte a un regime come quello fascista, il quale ha avuto il carattere singolarissimo, anzi unico nella storia, di appoggiare i propri ordinamenti costituzionali, quasi arco su due colonne, da una parte sulla legalità ufficiale, dall’altra sull’illegalismo ufficioso: cioè da una parte sulle leggi e dall’altra sulla violazione delle medesime adoprata anch’essa, al par delle leggi, come strumento politico di governo.
E ancora:
Ma quando ci si mette a cercare una definizione giuridica del regime fascista, in cui si incontra questo singolarissimo paradosso che è una legalità appoggiata sull’illegalismo, ovvero un illegalismo non di fatto ma di diritto, il compito di chi voglia descrivere in maniera chiara questo ibrido ordinamento diventa quanto mai arduo. Era ammirevole l’impegno con cui i professori di diritto costituzionale cercavano di sciogliere i mille indovinelli che venivano fuori da quel regime: era rivoluzione o non era? La monarchia rappresentativa c’era ancora o era stata abolita? Contava più il capo dello stato o il capo del governo? Lo Statuto era ancora in vigore o era stato soppresso? C’era ancora l’uguaglianza di tutti i cittadini dinanzi alla legge, ovvero si era introdotta una distinzione tra iscritti che hanno tutti i diritti e non iscritti che hanno tutti i doveri? I detti interpreti aguzzavano gli espedienti della loro ermeneutica su quelle leggi; e credevano di trovare in esse la risposta a tutti quei problemi. Ma non si accorgevano, o figuravano di non accorgersi, che la soluzione, più che alle leggi, sarebbe stato necessario chiederla a quella pratica politica a cui le leggi servivano soltanto da schermo figurativo.
In verità nel regime fascista c’è stato qualcosa di più profondo, di più complicato, di più torbido dell’illegalismo: c’è stata la simulazione della legalità, la truffa, legalmente organizzata, alla legalità. A tutte le tradizionali classificazioni delle forme di governo bisognerebbe aggiungere una nuova parola che riuscisse a significare questo novissimo tipo di regime: il governo dell’indisciplina autoritaria, della legalità adulterata, dell’illegalismo legalizzato, della frode costituzionale…
In un regime siffatto le istituzioni vanno prese non per quello che è scritto nelle leggi, ma per quello che è sottinteso tra le righe di esse: e le parole non hanno più il significato registrato nel vocabolario, ma un significato diverso e assai spesso opposto a quello comune, intelligibile soltanto agli iniziati.
(Il fascismo come regime della Menzogna, Laterza 2014, pagg. 5-6)
(Silvia Calamandrei)