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Il libro della settimana….dal 6 al 10 aprile 2010: Rosa Matteucci “Tutta mio padre”

Rosa Matteucci

Tutta mio padre

Milano, Bompiani, 2010

 

Descrizione
“Qui non c’è più nessuno.” Una figlia smarrita, che ha perso padre madre e cane, chiosa: “Il cordoglio provato per la scomparsa dei genitori naturali è piscio di gallina in confronto al dolore irrimediabile che si prova per la morte del cane.” È solo l’inizio di un picaresco e straziante viaggio al termine della notte, a ritroso in un tempo spento e bruciante, alla ricerca dell’impossibile riscatto di una figura paterna speculare e complementare a quella dell’io narrante, che mette in scena con coraggio assoluto il gran teatro di splendori e miserie in una decadenza familiare. Una storia unica, ineguagliata eppure simile a tutte le altre nel senso ultimo, da una prova di coraggio all’inevitabile disillusione che sublima la sofferenza. E un’Odissea da vertigine nell’Italia in bianco e nero del secolo scorso, con giganti, maghe, mostri marini e allegrie di naufragi. Qui Ulisse è un uomo che ha tentato così tante vite da non viverne davvero neppure una, la sua; eppure sa – lo aveva sempre saputo, e infatti aveva recitato la parte di se stesso solo per ispirare l’unica persona che potesse raccontarla – che un giorno la figlia lo renderà davvero un eroe, quale nella realtà mai era stato.

(dal sito: www.wuz.it)

 

Rosa Matteucci  calibra i suoi libri, quasi li centellina, curandone la scrittura e l’intensità della narrazione; non sono libri in cui ti viene da commentare che ci sarebbe voluto un editing a sfrondare e dare coerenza, a sforbiciare le lungaggini.

E soprattutto ti fa ridere anche nelle pagine più dolorose passando al registro dell’ironia e del grottesco, con una grande capacità descrittiva, soprattutto attenta al corporeo, ed una ricchezza linguistica la cui ricercatezza suona spontanea e non forzata. Ci sono momenti esilaranti, come la storia della scimmia Affricana rifugiatasi sulla cima del cedro del Libano con un infante in culla, o l’impiego fittizio che la protagonista narratrice riesce a occupare all’ufficio giuridico del Quirinale, grazie ad un’improbabile raccomandazione.

 Tra i tanti narratori della provincia italiana – e tra i giovani scrittori ce ne sono parecchi, in questa Italia spezzatino, di cui ciascuno ci offre dei frammenti- riesce a darci una Orvieto onirica che fa pensare alla Brianza della Cognizione del dolore. C’è molta cattiveria nei confronti dell’umanità squallida descritta, così come ce n’era in Lourdes verso i gitanti-pellegrini e in Cuore di mamma nella relazioni madre-figlia.

 La figura del padre millantatore che insegue le sue ossessioni esoteriche è invece trattata con pietas filiale: la sua follia lo distanzia dal volgo e il suo delirio lo rende unico.

Centrata  ancora una volta autobiograficamente su un trama famigliare la Matteucci è forse ormai pronta per prove di respiro più dilatato.

 (Silvia Calamandrei)

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