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Il libro della settimana….dal 22 al 27 marzo 2010: “Stirpe” di Marcello Fois

Marcello Fois

Stirpe

Torino, Einaudi, 2009

Descrizione
È il 1889, eppure si direbbe l’inizio del mondo. Michele Angelo e Mercede sono poco più che ragazzini quando s’incontrano per la prima volta, ma si riconoscono subito: “lui fabbro e lei donna”. Quel rapido sguardo che si scambiano è una promessa silenziosa che li condurrà dritti al matrimonio, e che negli anni verrà rinnovata a ogni nascita. Dopo Pietro e Paolo, i gemelli, arriveranno Gavino, Luigi Ippolito, Marianna… La stirpe dei Chironi s’irrobustisce e Nuoro la segue di pari passo. Le strade cambiano nome e si allargano, accanto alla pesa per il bestiame spuntano negozi e locali alla moda, e se circolano più soldi nascono anche bisogni che prima non c’erano. Come i balconi da ingentilire lungo via Majore, a esempio, e Michele Angelo che sa del ferro come nessun altro, ed è capace di toccare la materia con lo sguardo prima di plasmarla – si spezza la schiena in officina per garantire prosperità alla sua famiglia. Ma “la felicità non piace a nessuno che non ce l’abbia”, e infatti quei Chironi venuti su dal nulla, così fortunati, sono sulla bocca di tutti. È l’inizio della stagione terribile: i gemelli vengono trovati morti, mentre la Prima guerra mondiale raggiunge anche Nuoro, e bussa alla porta di casa Chironi proprio quando Gavino e Luigi Ippolito – taciturno e riflessivo il primo, deciso e appassionato il secondo – sono in età per essere arruolati…

(dal sito www.wuz.it)

C’era bisogno? C’era bisogno di tanto dolore, tanto da schiantare qualsiasi anima, per argomentare che la vita tanto dà e tanto prende? Per dire che non c’è riso senza lacrime? Per raccontare una continuità che si dipana lungo la metafora della forgiatura del ferro? Fois con il suo Stirpe fa questa scelta narrativa, nella sua prosa di ottima fattura, a tratti con qualche indulgenza al poetico.  A libro chiuso rimane un senso di “eccesso”, di personaggi che sono “troppo”, di sentimenti che sconfinano nel sovrumano, con un quanto di quasi magico. Un senso del destino letterariamente più volte incontrato, presentato mai banalmente ma che ripercorre la via della saga, con una conclusione per di più (la lasciamo al lettore) francamente debole. La stirpe Chironi è benedetta e maledetta, e maledetta, forse, proprio perché benedetta. Non c’è amore sconfinato senza sofferenza sconfinata, sembra volerci far intendere Fois. Dopo la spaventosa morte di due figli, la reazione di Michele Angelo Chironi è sì di rabbia, di ribellione contro chi tutto vede e tutto sa, ma contemporaneamente di comprensione, non di rassegnazione: una specie di “patto” con un’entità non definita (il destino? un’entità?). E la vita continua a dare e togliere, mettendo spaventosamente alla prova. Tutti scompaiono, tranne Michele Angelo e l’unica figlia femmina, anche lei sottoposta a prove agghiaccianti. Fino alla catarsi, al cerchio che si chiude, alla forgiatura del ferro che riprende. C’era bisogno?

(Fabrizio Grillenzoni)

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