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Il libro della settimana…dal 25 al 30 maggio 2010: Aspettando il 150°: “Clelia” di Giuseppe Garibaldi

Data l’imminenza delle celebrazioni per il 150° dell’Unità d’Italia (1861 – 2011) riteniamo interessante proporre ai nostri lettori alcune opere, letterarie ma non solo, scritte da alcuni dei protagonisti del nostro Risorgimento. Il loro valore estetico è variabile, e secondo il sottoscritto in genere assai scarso: ma oltre ad essere divertenti per il linguaggio e lo stile, che ci riporta vivamente ad un periodo culturale ormai tramontato ma di cui i libretti d’opera sono un indimenticato esempio, sono una testimonianza di prima mano dello spirito risorgimentale, o meglio, degli spiriti…

Inizieremo con un romanzo (ebbene si, un romanzo!) scritto nientemeno che da Giuseppe Garibaldi. Pochi sanno che l’Eroe dei Due Mondi è stato anche un prolifico scrittore (torneremo su questo), soprattutto di cose politiche: ma ha al suo attivo anche ben quattro romanzi (“Clelia”, “Cantoni il volontario”, “I Mille”, e “Manlio”).

Li presenteremo tutti e quattro, iniziando da “Clelia”, pubblicato nel 1870. Romanzo fortemente anticlericale (ma Garibaldi non era ateo, anzi…) ed estremamente polemico nei confronti di Napoleone III, ambientato intorno al 1860-70, racconta di una complicatissima vicenda di una giovane popolana romana, Clelia appunto, insidiata da un corrotto Cardinale, e strenuamente difesa dal patriottico fidanzato Attilio. Ma lasciamo allo stesso Garibaldi il compito di avviarci alla lettura, con l’inizio del romanzo:

“Come era bella la perla del Trastevere!

Le treccie brune, foltissime – e gli occhi! il loro lampo colpiva come folgore chi ardiva affissarla. – A sedici anni il suo portamento era maestoso come quello di una matrona antica. Oh! Raffaello in Clelia avrebbe trovato tutte le grazie dell’ideale sua fanciulla colla virile robustezza dell’omonima eroina (La Clelia Romana del tempo di Porsenna) che si precipita nel Tevere per fuggire dal Campo di Porsenna.
Oh sì! era pur bella Clelia! E chi poteva contemplarla senza sentirsi ardere nell’anima la viva fiamma che usciva dalle sue luci?

Ma le Eminenze? Codeste serpi della città santa, i cui cagnotti con ogni più vile arte di corruzione cercavan pascolo alle libidini dei padroni, non sapevan forse che tale tesoro viveva nel recinto di Roma?

Lo sapevano. E una fra l’altre agognava da qualche tempo a far sua quella bellezza che discendeva dai Vecchi Quiriti (I trasteverini si credono pura stirpe degli antichi Romani).

“Va Gianni, (diceva un giorno il cardinale Procopio, factotum e favorito di Sua Santità) vanne e m’acquista quella gemma a qualunque costo. Io non posso più vivere se la Clelia non è mia. Essa sola può alleviare le mie noie e bearmi la stupida esistenza che trascino al fianco di quel vecchio imbecille”(Pio IX).

E Gianni, strisciando sino a terra il suo muso di volpe, colla laconica risposta di “sì Eminenza” moveva senz’altro all’infame missione.

Ma su Clelia vegliava Attilio, suo compagno d’infanzia, ventenne, robusto artista, il coraggioso rappresentante della gioventù romana, non della gioventù effeminata data alle dissipazioni, piegata al servaggio, ma di quella da cui usciva un giorno il nerbo di quelle legioni, davanti alle quali la falange macedone indietreggiava.”

Giuseppe Garibaldi

[Clelia. Il governo del monaco]

Il governo dei preti. Romanzo storico sui vizi e le nefandezze del pretismo

Milano, Kaos edizioni, 2006

 

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