Il fascino del “vero” artigianato: “Pavone e rampicante” di A. S. Byatt
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Antonia Susan Byatt
Pavone e rampicante. Vita e arte di Mariano Fortuny e William Morris
Torino, Einaudi, 2017
L’autrice di Possessione (1990 )e Angeli e insetti (1992) ha meritato un premio, il Booker Prize, per questa ricerca amorosa su due maestri dell’artigianato, della moda e della decorazione, Mariano Fortuny e William Morris, distanziati di una generazione ma accomunati dalla passione per la bellezza, la riproduzione di motivi tratti dall’attento studio del passato, dalla Grecia classica alla pittura del Rinascimento, e la cura ossessiva del dettaglio, della qualità delle stoffe e delle carte da parati.
Splendidamente illustrato, è il racconto dell’incontro con due talenti artistici che fabbricano abiti, mobili ed oggetti in costante dialogo con le altre arti, dalla letteratura alla pittura. Morris frequenta i pre-raffaelliti, condividendo la moglie con Dante Gabriele Rossetti, che la ritrae algida e bellissima negli abiti e negli sfondi immaginati dal marito, con in mano la melagrana che ricorre nei motivi decorativi intrecciata agli uccelli e ai draghi. Proust immagina Albertine in abiti di Fortuny, visti addosso anche alla duchessa di Guermantes, ed accenna all’odore sgradevole del bianco d’uovo cristallizzato che veniva utilizzato come fissativo, all’uso cinese. Fortuny veste anche l’eroina di D’Annunzio di Forse che sì forse che no, così descritta:
“Ella era avvolta in una di quelle lunghissime sciarpe di garza orientale che il tintore alchimista Fortuny immerge nelle conce misteriose dei suoi vagelli rimosse col pilo di legno ora da un silfo ora da uno gnomo e le ritrae tinte di strani sogni e poi vi stampa co’ suoi mille bussetti nuove generazioni di astri, di piante, di animali”.
Si pensa subito alla sciarpa di Isadora Duncan, che danzò in abiti Delphos plissettati che Fortuny aveva brevettato assieme alla sciarpa Knossos, ispirandosi ai ritrovamenti cretesi: la Byatt ci rassicura però che quella che si impigliò nella ruota dell’automobile fu una sciarpa dello stilista russo Roman Chatov e non una Knossos, prediletta anche da Eleonora Duse. Fortuny avrebbe vestito anche Peggy Guggenheim, mentre Susan Sontag l’avrebbe scelto come vestizione funebre.
Per la Byatt, che ha sulle pareti della sua casa motivi di Morris ed è familiare con la sua vicenda, Fortuny è la vera scoperta che si nutre del fascino del suo palazzo veneziano, delle recenti mostre e dell’aura di Venezia e dei suoi canali. Ma di entrambi quello che l’appassiona è il lavoro:
” due lavoratori ossessivi, infinitamente inventivi, infinitamente rigorosi, infinitamente belli. [—] Entrambi si sporcavano le mani, con le tinte e le plissettature, con i blocchi di stampa, cercando procedimenti diversi o migliori”.
Sporcarsi le mani per produrre velluti di seta dai colori cangianti e tappezzerie che simulano un giardino inglese: la Byatt sembra quasi invidiare i due artisti, lei che lavora solo con le parole. Ma l’empatia, la capacità di rendere i dettagli di quelle meravigliose creazioni, lo scintillio dello stile ce l’apparentano alla maestria artigiana che ha voluto raccontarci.
(Silvia Calamandrei)